Junger Deutscher Film
Movimento cinematografico tedesco, nato negli anni Sessanta del Novecento nella Bundesrepublik Deutschland sulla scia della Nouvelle vague francese, con l'intento di far rinascere nel Paese un cinema d'autore, nuovo sia per forme sia per contenuti e realizzato a basso budget con il sostegno economico dello Stato.
In un'affollata conferenza stampa, il 28 febbraio 1962, all'VIII Festival del cortometraggio di Oberhausen venne letta una dichiarazione, sottoscritta da ventisei giovani cineasti tra cui Alexander Kluge, Edgar Reitz, Peter Schamoni e Herbert Vesely, passata alla storia del cinema come il Manifesto di Oberhausen. Fu il primo segno di rivolta nella BRD ("il vecchio cinema è morto, crediamo in quello nuovo", così le parole conclusive) contro il cinema commerciale. Nata al di fuori dei tradizionali canali dell'industria, la nuova generazione dei ribelli partiva da spinte e suggestioni politico-culturali variegate: le nuove esperienze in campo architettonico e musicale (la musica colta elettronica); l'influenza della letteratura postbellica (H. Böll e il Gruppe 47); la filosofia esistenzialistica di J.-P. Sartre; gli insegnamenti della 'teoria critica della società' della Scuola di Francoforte e/o del marxismo brechtiano, che li portavano a schierarsi contro l'omologazione collettiva provocata dal boom economico dell'era Adenauer ormai al tramonto. Era a questo bagaglio, generoso e multiforme, che avevano attinto in varia e difforme misura tutti gli 'Oberhausener'. Senza sopravvalutarne l'importanza e malgrado il suo linguaggio escatologico, il Manifesto di Oberhausen non è stato solo un vuoto documento per almeno due motivi: perché identifica l'importanza del cortometraggio quale "scuola e campo di sperimentazione del film a soggetto" (e la forma corta, soprattutto di non-fiction, non soltanto divenne subito la prima palestra per esercitarsi nel nuovo, ma anche in seguito sarebbe stata frequentata da molti autori del cinema tedesco, da Kluge a Werner Herzog); perché in esso si annunziano le modalità pratiche del cambiamento riconoscendo la necessità di proposte operative, che poi si sarebbero concretizzate alla metà del decennio nel Kuratorium Junger Deutscher Film, un organismo statale che erogava finanziamenti ai progetti dei debuttanti. Portavoce e teorico dei giovani ribelli ‒ un gruppo non omogeneo, in gran parte frutto di amicizie oppure di frequentazioni casuali a Schwabing, il quartiere bohème di Monaco ‒ si rivelò essere Kluge, alla cui attività sono da ascrivere le principali mosse strategiche del movimento. Pochi, tra i firmatari, erano conosciuti dall'ambiente del cinema: tra essi il viennese Vesely era la personalità più nota perché aveva appena ultimato un film imparentato allo stile di Alain Resnais, Das Brot der frühen Jahre (1962). Unico tratto comune tra i firmatari del Manifesto, la maggior parte dei quali avrebbe avuto un'influenza secondaria nel successivo sviluppo dell'Autorenfilm nella BRD (v. Germania), era la frequentazione del Festival di Oberhausen, una delle pochissime istituzioni progressiste nella Repubblica tedesca di quegli anni. Sempre nel 1962, va segnalata, infine, l'istituzione di una 'sezione cinema' diretta da Kluge, Reitz e Detten Schleiermacher all'interno della Hochschule für Gestaltung di Ulm, il primo tentativo di creare una scuola tecnica nel campo dei media a cui presto seguirono a Berlino la Deutsche Film-und Fernsehakademie (DFFA) nel 1965 e a Monaco nel 1966 la Hochschule für Film und Fernsehen (HFF).
Dopo il Manifesto, il secondo successo degli 'Oberhausener' fu l'invito a sorpresa di Das Brot der frühen Jahre a rappresentare la BRD al Festival di Cannes. Oltre a essere il primo lungometraggio ascrivibile allo J. D. F., il film di Vesely è, al tempo stesso, la prima riduzione per lo schermo di un testo (l'omonimo romanzo del 1955) di H. Böll, un autore che sarebbe ricorso spesso nelle produzioni dei giovani cineasti tedeschi. L'integrità morale dello scrittore e il suo essere stato un attento sismografo delle varie fasi del lungo dopoguerra tedesco ben si rapportano all'atteggiamento etico della nuova generazione, che voleva combattere la 'rimozione collettiva' degli anni Cinquanta. In quest'atmosfera rientrano sia il modesto film di Vesely sia il cortometraggio Machorka-Muff (1963), con cui debuttarono Jean-Marie Straub e Danièle Huillet. Già qui, e sempre a partire da un testo satirico di Böll (questa volta l'Hauptstädtisches Journal), la coppia di cineasti francesi sviluppò i canoni del loro sistema 'anticulinario' mutuato dalla lezione di B. Brecht: lettura del testo in assoluto rispetto filologico, uso (quasi esclusivo) di attori non professionisti che lo recitano 'straniandolo', suono in presa diretta, pause di meditazione (con sequenze interrotte da pellicola nera). Fu la prima lezione di rigore estetico-morale che lo J. D. F. apprese dal cinema di Straub-Huillet, i quali realizzarono ancora altre tre opere nella BRD prima di trasferirsi a Roma nel 1968. Negli stessi anni due altri autori non tedeschi dettero un contributo fondamentale alla nascita dello J. D. F.: lo iugoslavo Vlado Kristl e lo statunitense George Moorse, due filmmakers presto quasi dimenticati. Emigrato nella BRD dopo che un suo corto General i resni-človek (girato nel 1962 ma uscito solo nel 1975) era stato vietato dalle autorità iugoslave, Kristl espresse la stessa carica di spontaneità anarchica che lo aveva messo in contrasto con la burocrazia del suo Paese nei lungometraggi Der Damm (1964) e Der Brief (1966) e nei suoi lavori successivi, dove sviluppò uno sperimentalismo tutto interno al sistema professionale del 35 mm. Opere singolari, i film di Kristl ‒ che per alcuni hanno assunto status di culto ‒ furono dei criptici esperimenti, forse molto datati ma sintomatici di una grande epoca creativa, che ben si attagliano all'emblematica figura di un solitario artista poliedrico, cineasta, pittore e poeta, fuori da qualunque regola o logica di gruppo. Molto più facilmente inquadrabile è, invece, George Moorse, nella BRD dal 1958: sin dal debutto di Inside out (1964), un corto immerso in una sognante atmosfera pop, Moorse si dimostrò un notevole narratore per immagini con un occhio attento allo sperimentalismo d'oltreoceano. Questa dote, grazie alla stretta collaborazione con il suo direttore della fotografia, l'olandese Gerard Vandenberg, si ritrova in tre successivi lungometraggi, tra cui svetta Der Findling (1967), adattamento attualizzato dell'omonima novella di H. von Kleist.
Il processo di rinnovamento del cinema tedesco giunse a maturazione dopo un lungo tirocinio nel cortometraggio, quando nacque, alla fine del 1964, il Kuratorium Junger Deutscher Film. Con i cinque milioni di marchi messi a disposizione dal governo federale (ma dal 1968 il Kuratorium sarebbe stato finanziato dai Länder) si arrivò alla realizzazione, nel biennio 1965-1967, dei primi lungometraggi dello J. D. F.: Abschied von gestern (1966, Premio speciale della giuria alla Mostra del cinema di Venezia) di Kluge, Mahlzeiten (1967, altro Leone d'argento a Venezia) di Reitz, Der Brief di Kristl, Chronik der Anna Magdalena Bach (1968; Cronaca di Anna Magdalena Bach) di Straub e Huillet, Lebenszeichen (1968, Premio speciale della giuria al Festival di Berlino) di Herzog e Jagdszenen aus Niederbayern (1969; Scene di caccia in Bassa Baviera) di Peter Fleischmann.
Sulla scia delle polemiche che si accesero al Festival di Oberhausen del 1965, intorno alla scelta di presentare o meno all'interno del programma principale lo scan-zonato cortometraggio di debutto di Rudolf Thome Die Versöhnung (1965), si rivelò l'esistenza di un secondo gruppo di giovani filmmakers, diverso dai firmatari del Manifesto di Oberhausen, i cosiddetti sensibilisti monacensi. Critici cinematografici militanti, cinefili 'duri e puri' che amavano il cinema americano classico e la Nouvelle vague, Eckhart Schmidt, Klaus Lemke, Rudolf Thome, lo sceneggiatore Max Zihlmann (e in parte lo stesso Wim Wenders) si muovevano sotto l'ala protettrice di Straub e del documentarista Peter Nestler, proponendo, in radicale polemica con l'illuminismo e l'impegno realistico dei loro 'avversari' di Oberhausen, un modello di cinema sbarazzino e giovanilista, contiguo a quello dei cugini francesi. Così Lemke, su sceneggiature di Zihlmann, girò uno dopo l'altro 48 Stunden bis Acapulco (1967, in bianco e nero) e Negresco**** ‒ Eine tödliche Affäre (1968; Una donna tutta nuda, a violenti colori pop), mentre nel 1968 Wenders, giovane studente della HFF, presentò al Festival di Mannheim il corto Same player shoots again. Più che per i risultati, i due gialli di Lemke, popolati da vistose 'pupe', grossi macchinoni e gangster stereotipati, sono interessanti per quel che lasciano intendere: trasudano una cinefilia cerebrale in gran parte ispirata al Jean-Luc Godard di À bout de souffle (1960), fatta di continue citazioni colte dai classici americani, nell'idea, forse un po' folle, di creare un b-movie tedesco d'autore. Ma sono anche guidati ‒ ed è ciò che li salva dal confondersi con la coeva produzione commerciale ‒ da un piacere per l'immagine cinematografica assente nel freddo razionalismo brechtiano di Kluge e del suo gruppo. Sulla stessa lunghezza d'onda di Lemke, ma con esiti più compiuti, si orientava l'opera di Thome, il cui mondo di Gangster-Detektive e superdonne ‒ un curioso mix tra le dark lady del noir e le femministe del movimento studentesco ‒ si snodò con l'aiuto del talento dell'attore Marquard Bohm, da Detektive (1969) sino a Fremde Stadt (1972), passando per Rote Sonne (1970) e Supergirl (1971).Alle soglie del Sessantotto lo J. D. F. sembrò decollare grazie alle sovvenzioni del Kuratorium, che aiutò un piccolo gruppo di giovani produttori come Rob Houwer o Hansjürgen Pohland (entrambi firmatari del Manifesto di Oberhausen) oppure allettò qualche produttore tradizionale a calcare la via del nuovo: sotto le ali di Franz Seitz, per es., Volker Schlöndorff, rientrato dalla Francia, realizzò dal romanzo di R. Musil una bella opera prima, Der junge Törless (1966; I turbamenti del giovane Törless), che vinse due Filmband in Gold per la migliore sceneggiatura e per la regia. Per diversi registi della Neue Welle i film di debutto restarono tuttavia i migliori: ciò vale per Schonzeit für Füchse (1966, Premio speciale della giuria al Festival di Berlino) diretto da Peter Schamoni e per quello del fratello Ulrich (Es, 1965, Filmband in Gold per la migliore regia), per Johannes Schaaf di Tätowierung (1967; Il tatuaggio) o per Franz Josef Spiecker di Wilder Reiter GmbH (1967).In questo gruppo di opere, tutte molto eterogenee nello stile, si ritrovano, anche tramite i testi di scrittori moderni e contemporanei non frequentati dal cinema commerciale (H. Böll, G. Grass o R. Musil), le inquietudini della prima generazione nata nella democrazia; perciò abbondano i problemi legati al rapporto di coppia (e ai figli), la grande questione del 'superamento del passato' e dell'identità con annesso odio edipico per i padri, oppure le paure per l'inserimento nell'affluente e beota società dei consumi. Si ricorreva in prevalenza a un montaggio fortemente ellittico e (quando possibile) al suono in presa diretta; si voleva mostrare una Germania poco vista: Amburgo, Francoforte, Düsseldorf, Monaco e Berlino vengono ritratte con un occhio sociologicamente attento in un nitido bianco e nero (per una questione di costi), evitando l'uso tradizionale dei teatri di posa.A queste escursioni nel realismo del quotidiano contribuì il contemporaneo, potente processo di rinnovamento intervenuto nel campo del documentario. Esso si sarebbe riverberato anche sulla produzione di fiction dei giovani cineasti tedesco-occidentali, spesso documentaristi non occasionali. Due dei firmatari del Manifesto di Oberhausen, Hans Rolf Strobel e Heinrich Tichawsky, realizzarono agli inizi degli anni Sessanta Notizen aus dem Altmühltal (1961) e Notabene Mezzogiorno (1962), quest'ultimo girato nell'Italia meridionale, salutati dalla rivista "Filmkritik" come profondamente innovativi. Mentre Klaus Wildenhahn portava nella BRD il Cinéma vérité con un reportage televisivo di diciotto minuti, Parteitag '64, sul Congresso del partito socialdemocratico del 1964, Peter Nestler si contraddistingueva per un approccio stilisticamente rigoroso simile a quello di Straub con piani fissi estremamente studiati e un commento fuori campo letto (o meglio 'citato') il più delle volte dallo stesso autore con tono distaccato. Ai nomi menzionati, e a quello per es. di Hans Jürgen Syberberg, che nel 1965 debuttò con uno splendido documentario teatrale Fünfter Akt, Siebte Szene. Fritz Kortner probt Kabale und Liebe, si legava un profondo rinnovamento nel campo della nonfiction (ma non solo), ormai definitivamente affrancatasi dalla tradizione del vecchio Kulturfilm dell'UFA.
Lo sviluppo dello J. D. F. venne messo in forse dall'approvazione, nel dicembre 1967, di una nuova legge-quadro sulla cinematografia, che privilegiava il cinema commerciale con un sistema di ristorni automatici. Malgrado alcuni successi iniziali di pubblico e i premi vinti nei grandi festival internazionali, i giovani cineasti tedeschi si videro di nuovo esposti alla dura legge del mercato. D'altro lato l'esplodere della rivolta giovanile con la sua palingenetica radicalità 'bruciò', fece apparire invecchiato di colpo il loro impegno. Il cinema tedesco della fine degli anni Sessanta si poneva dunque sotto il segno di una crisi che preludeva a un nuovo e più vitale inizio, mentre si accavallavano i debutti di una serie di altri autori non più legati all'esperienza di Oberhausen. J.-M. Straub e D. Huillet, prima di abbandonare la BRD, girarono ancora Der Bräutigam, die Komödiantin und der Zuhälter (1968; Il fidanzato, l'attrice e il ruffiano) e regalarono a un giovane regista teatrale, Rainer Werner Fassbinder, una lunga sequenza sulla Lansbergerstrasse che egli avrebbe inserito, come cammeo, nel suo primo lungometraggio, Liebe ist kälter als der Tod (1969; L'amore è più freddo della morte). A Fassbinder presto seguirono Syberberg e Wenders, preceduti da Herzog nel 1967. La stagione dello J. D. F. era ormai giunta al termine, ma il successivo movimento, denominato Neuer Deutscher Film fu il fenomeno culturalmente più rilevante degli anni Settanta cinematografici.
Neuer Deutscher Film. Eine Dokumentation, hrsg. von Verband der deutschen Filmclubs, Frankfurt a. M. 1967.
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Junger Deutscher Film (1960-1970), a cura di G. Spagnoletti, Milano 1985.
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Nicht versöhnt. Filme aus der BRD 1964-76, hrsg. von S. Settele, Wien 1997.