VIDEO.
– Videoclip. Gli anni Duemila. La nascita del lyric video. Bibliografia
Videoclip. – Il music video o videoclip (in lingua italiana) è una forma audiovisiva che traduce in immagini brani musicali, perlopiù di musica pop e rock. La video-musica nasce ufficialmente il 1° agosto del 1981 con la comparsa di MTV, canale televisivo specializzato nell’emissione di video musicali. Il primo music video trasmesso fu Video killed the radio stars dei Buggles (regia di Russell Mulcahy), il cui titolo allude al passaggio epocale, ovvero al v. che uccide i divi della radio. Gli antecedenti del videoclip sono innumerevoli, a partire dalla stagione delle avanguardie storiche degli anni Venti (gli esperimenti animati sul rapporto suono/segno), passando per le chansons filmée degli anni Trenta, realizzate tra gli altri da Jean Epstein. Dagli anni Quaranta ai Sessanta vennero poi inventati dispositivi di diffusione di protovideoclip, sorta di videojukebox (il Panorama Soundie negli Stati Uniti, lo Scopitone in Francia e il Cinebox in Italia). Un altro progenitore del v. musicale è rappresentato dal genere cinematografico del musical: i numeri coreografico-musicali che costituiscono questo tipo di film si sono poi sviluppati negli odierni music video di genere pop-dance che mettono al centro l’aspetto performativo. Negli anni Sessanta anche i cosiddetti rock movies, a cominciare dai lungometraggi realizzati da Richard Lester con i Beatles (A hard day’s night, 1964, o Help!, 1965) e proseguendo con opere rock come Tommy (1975) di Ken Russell con i Who o Pink Floyd Thewall (1982) di Alan Parker, costituiscono una sorta di videoclip espansi.
Negli anni Ottanta il music video divenne fenomeno di costume e mediale che, se da un lato attingeva all’immaginario cinematografico, dall’altro ne influenzava lo stile, soprattutto per quanto riguarda il montaggio. Tra i registi che hanno fortemente innovato il genere in questa prima fase si ricordano Julien Temple, David Mallet, Sophie Muller, Kevin Godley & Lol Creme, Jean-Baptiste Mondino, Anton Corbjin, che spesso si legarono a musicisti, costituendo tandem vincenti (per es., Mallet/David Bowie, Corbjin/Depeche Mode). Negli anni Novanta l’estetica del videoclip o, in forma abbreviata, del clip diventa più complessa e raffinata; i registi – i cui nomi in precedenza non erano neppure riportati durante la messa in onda – acquistarono più rilievo. Tra i nomi del decennio: David Fincher, Mark Romanek, Spike Jonze, Jonathan Glazer e Chris Cunningham, poi accreditato anche come artista visivo, tanto da esporre un suo clip, All is full of love (1999), all’interno di una Biennale veneziana. È il francese Michel Gondry, tuttavia, uno dei più importanti autori di v. musicali della storia, il quale, dopo il Duemila, pur essendosi dedicato al lungometraggio a soggetto, ha continuato a realizzare alcuni videoclip epocali come Hardest button to button (2003, per i The White Stripes) e Come into my world (2003, per Kylie Minogue): opposti e complementari per l’uso di ingegnosi trucchi analogici e sofisticati effetti di compositing digitale.
Gli anni Duemila. – Dal punto di vista tecnologico il passaggio dagli anni Ottanta ai Novanta fu segnato dall’avvento del digitale e dall’abbassamento dei costi legati alla postproduzione. Il graduale abbandono della pellicola (35mm, 16mm e super 16) a favore delle videocamere digitali, legato all’uso di software e di sistemi di montaggio, consentirono a tutti di accedere ai dispositivi di ripresa e di edizione, trasformando completamente il panorama. Inoltre, negli ultimi dieci anni, il v. musicale ha potuto contare sulla diffusione mediante il web: un portale come You-Tube, che si è affiancato alla visione televisiva, non solo ha modificato le modalità di fruizione e di percezione, ma ha, per es., incoraggiato la produzione di v. alternativi, ‘non ufficiali’, creati ‘dal basso’, cioè direttamente da fan e appassionati. Anche il canale Vimeo, con i lavori postati direttamente dagli autori, è di notevole importanza. Nel frattempo MTV è diventato un canale generalista rivolto ai giovanissimi e la programmazione dei music video si è spostata sui canali specialistici (satellite e digitale terrestre), suddivisi per categorie (hits, dance, rock ecc.).
Sotto il profilo stilistico e tipologico il videoclip musicale non è sostanzialmente cambiato fra il 2000 e il 2015. Esistono ancora promo basati essenzialmente sul playback – ovvero sulla mera esecuzione del brano – che nella maggior parte dei casi non riveste alcun interesse dal punto di vista linguistico. Molto diffusi sono ancora i videoclip coreografici o concettuali, in netto calo i v. narrativi, ma soprattutto si è intensificata – grazie all’estetica della post produzione e dell’elaborazione dell’immagine – lavori sperimentali e/o basati su tecniche di animazione al computer di vario tipo. L’interfaccia tra music video e arte digitale ha sicuramente contribuito a elevare la musica da vedere a una forma sempre più sofisticata, avvicinandola in parte anche alla dimensione dell’installazione e del live (la pratica del veejayng, ovvero la creazione di immagini congiunte ai suoni in tempo reale).
Tra le star dell’ultimo decennio della scena pop internazionale, va sicuramente citata Lady Gaga (v.), una figura chiave – così come lo è stata Madonna negli anni Ottanta e Björk negli anni Novanta – per comprendere l’evoluzione iconografica della videomusica. I videoclip di Lady Gaga sono performativi fino all’eccesso (Alejandro, 2010, diretto da Steven Klein) assumendo la forma expanded di minifilm articolati in più parti (G.U.Y., 2014, diretto dalla stessa artista) e tentando di replicare lo scandalo suscitato da Madonna due decenni prima. Ma, se a predominare sull’immaginario dei v. musicali sono i Paesi anglosassoni, vi sono anche altri Paesi che sono emersi in questo campo.
Pensiamo all’Islanda, prima grazie a Björk poi per merito dei Sigur Ros, una band molto attenta alla componente visuale della loro musica. Molto competitivi sono i danesi e gli svedesi, grazie al primato della musica elettronica, ma anche i dj francesi David Guetta e Bob Sinclar, i cui v. hanno una risonanza internazionale.
Tra i registi più significativi degli ultimi anni vanno almeno nominati: Yoann Lemoine, Nima Nourizadeh, Patrick Daughters, Mark Klasfeld, David Wilson, Dough Wilson, Joseph Kahn, Emil Nava, Jake Nava, David Meyers, il francese Denis Thybaud, l’inglese Mat Whitecross (per i Coldplay), Philip Andelman, Alex e Martin, Martin De Thurah, Nabil, i collettivi Megaforce, Encyclopedia Pictura e CANADA. Già molto attivi negli anni Novanta vanno poi segnalati la italo-canadese Floria Sigismondi, il cui talento visionario di alto livello continua a produrre lavori di grande impatto visivo, Anthony Mandler, Jonas Akerlund, Garth Jennings (che nel 2001 ha firmato il suo capolavoro Imitation of life per i R.E.M.), Diana Martel, ma anche una veterana come Sophie Muller. In Italia il regista più prolifico è sicuramente Gaetano Morbioli, che ha firmato videoclip per popstar mainstream come Tiziano Ferro, Laura Pausini, Francesco Renga, Alessandra Amoroso. Tra gli altri nomi attivi ricordiamo Cosimo Alemà, Maki Gherzi e Lorenzo Vignolo. Ma il v. musicale nostrano ha raggiunto notevoli risultati nell’ultimo decennio soprattutto nel campo dell’animazione. Un autore come Virgilio Villoresi, creando piccoli set tridimensionali e utilizzando la stop-motion, ha realizzato videoclip per Vinicio Capossela quali Una giornata perfetta (2009) e Pryntyl (2011), oltre che lavori di ‘animazione in tempo reale’ con tecniche ed effetti artigianali (Walt Grace’s submarine test, 2013, per John Mayer).
Da sottolineare il fenomeno di alcuni musicisti e band che, sempre più spesso, firmano o cofirmano alcuni video. È il caso degli Ok Go, i cui spettacolari e fantasmagorici music video sono tra le cose migliori di questi ultimi anni (pensiamo a This too shall pass del 2010) o a Bartholomew Cubbins alias Jared Leto, front man della band statunitense dei 30 Seconds to Mars, che ha diretto diversi videoclip per la sua band, tra cui il suggestivo music video Hurricane (2010) di lunga durata.
La nascita del lyric video. – La diffusione del videoclip in rete ha tuttavia generato una nuova tipologia di music video: il cosiddetto lyric video, basato solo sul lettering (ossia la scelta di particolari caratteri grafici, animati) del testo integrale della canzone, che viene prodotto contestualmente al music video. L’esigenza di creare lyric è dettata sia dalla moda del karaoke, sia dalla volontà di contrastare il fenomeno dei clip-fai-da-te creati con photoshop riportando in sovrimpressione il testo in modo graficamente piatto e banale. Il lyric video ufficiale rende giustizia a tutto ciò, dando valore al testo, senza naturalmente sostituire il music video tradizionale, di cui rappresenta solo una versione alternativa.
Anche in passato vi sono stati esempi di v. musicali costituiti solo da lettering, ma la tendenza a visualizzare il testo di una canzone si può far risalire forse al 2009, quando i R.E.M. realizzarono Hollow man, un videoclip di puro lettering. Il testo del brano – tratto dall’album Accelerate – si materializza con font sempre diversi e un gioco di intarsi e sovrapposizioni su una texture di immagini stratificate (in movimento, fisse, disegni, videografica). A creare questo straordinario gioco di graphic design audiovisivo, in cui la band di Athens non compare mai, fu lo studio Crush, che ha sede a Toronto, costituito da Gary Thomas e Stefan Woronko.
Alcuni di questi lyric video sono minimali, giocano cioè con i font, i colori, l’impaginazione e il movimento, altri sono più elaborati e prevedono l’integrazione tra parole e altri elementi grafici o disegni, realizzati ovviamente in computer 3D: pensiamo, per es., a Turn me on (2012) di Guetta con Nicki Minaj oppure a Stand (2011) di Lenny Kravitz, basato su tre colori (giallo, nero e bianco), ma con un gioco di animazioni che ricorda le coreografie di Busby Berkeley. In un altro caso, quello del lyric video dei Maroon 5 Moves like Jaegger (2011), l’idea di fondo è di conservare per tutta la durata la ‘M’ sigla della band – vero e proprio logo riprodotto sulle copertine dei dischi e su altro materiale promozionale, ma anche nel videoclip ufficiale del brano diretto da Jonas Akerlund – scomposta nei tre colori primari e trasformata in texture su cui viene sovrapposto, incorniciato su una striscia nera orizzontale, il testo della canzone. L’idea del logotipo collegato a una band, caratterizza ancor di più un altro gruppo statunitense, quello dei Scissor Sisters, noto per l’elegante marchio di un paio di forbici innestate su due gambe femminili.
Esiste poi una tendenza ‘analogica’ del lyric video che non utilizza la moderna immagine digitale e computerizzata, ma punta tutto sui vecchi dispositivi, con uno stile da film sperimentale, come in due v. della statunitense Christina Perri, The lonely (2011) e Arms (2011), entrambi di Elliot Sellers. Da questi e altri esempi è evidente che il confine tra music video e lyric video è assai labile, e molti lyric sono di fatto videoclip così come molti videoclip sono di fatto lyric, in linea con quella intertestualità e porosità tra i formati audiovisivi che finiscono con il confondersi all’interno di un unico flusso net-televisivo.
Bibiliografia: B. Di Marino, Clip! 20 anni di musica in video (1981-2001), Roma 2001; P. Peverini, Il videoclip. Strategie e figure di una forma breve, Roma 2004; H. Keazor, T. Wübbena, Video thrills the Radio star. Musik videos: Geschichte, Themen, Analysen, Bielefeld 2005; A. Amaducci, S. Arcagni, Music video, Torino 2007; L. Berton, Videoclip. Storia del video musicale dal primo film sonoro all’alba di YouTube, Milano 2007; D. Liggeri, Musica per i nostri occhi. Storie e segreti dei videoclip, Milano 2007; Rewind play fast forward. The past, present and future of music video, ed. H. Keazor, T. Wübbena, Bielefeld 2010; L. Pacilio, Il videoclip nell’era di YouTube. 100 videomaker per il nuovo millennio, Milano 2014.