WEB.
- Interpretazioni del web. Il web nascosto. Il web 2.0 e il cloud computing. Confronto tra web e social network. Bibliografia
Fino ai primi anni del nuovo millennio, il w. veniva recepito come un archivio di informazioni da cercare ed estrarre e solo molto raramente come un modo alternativo di acquisto di beni e servizi, che rimanevano una prerogativa dei punti vendita tradizionali. Negli anni successivi tutto è cambiato, e il w. è divenuto il nucleo centrale della vita quotidiana di molti di noi, perlomeno dei due miliardi di persone che vivono in un habitat digitalmente evoluto, indispensabile per gestire agende, prenotare viaggi e vacanze, fare shopping, comunicare in mobilità, interagire attraverso social network e comunità virtuali per condividere interessi e comportamenti distribuiti attraverso un’agenda quotidiana diffusa tra un numero di individui che si estende oltre la cerchia tradizionale di amici e così via. Un fenomeno, la cui rapida crescita, e le cui profonde contraddizioni, ne rendono difficile un’interpretazione univoca, in particolare a causa della mancanza di modelli di confronto con il passato, in cui i canali di comunicazione erano semplici e spesso identificabili con i contenuti che gestivano (un esempio su tutti è la telefonia).
In opposizione a un mondo che aveva compiuto pochissimi progressi nella trasmissione e condivisione dell’informazione fino al 19° sec. (prima del sistema Morse, venivano ancora usati strumenti e modalità concettualmente equivalenti a quelle dell’antichità), gli ultimi due secoli hanno imposto l’elettronica come disciplina chiave del progresso, e negli ultimi due decenni il w. ha ulteriormente cambiato la forma delle comunicazioni, secondo un processo difficilmente prevedibile. In particolare, negli ultimi anni la multicanalità e la multifunzionalità di molti servizi ne hanno trasformato radicalmente la natura e le funzioni socioeconomiche (riprendendo l’esempio della telefonia, quest’ultima è diventata una piattaforma molto complessa di interscambi, al cui interno la trasmissione vocale è solo una delle componenti). Caratteristiche che hanno consentito molte opportunità e benefici, come la diminuzione dei costi e dei tempi di accesso, ma altresì hanno favorito la proprietà e il controllo delle informazioni stesse, poiché l’economia di scala della gestione delle informazioni porta inevitabilmente a immagazzinarle in grandi banche dati interconnesse. E questi enormi magazzini di dati, gestiti da società prevalentemente a capitale privato, possono essere difficilmente accessibili sia agli organismi pubblici competenti sia, in particolare, al cittadino comune. Si potrebbe modellare questo fenomeno come un complesso di asimmetrie informative che si diffondono sempre più su larga scala e che potrebbero inficiare la stabilità evolutiva che ha segnato lo sviluppo del w. fino a oggi.
Interpretazioni del web. – È necessario quindi cercare linee interpretative che superino i confini offerti dai modelli tecnologici, in quanto questi ultimi sono in una fase di così rivoluzionario sviluppo da non fornire paradigmi sufficienti. Un’originale proposta (Dennett, Roy 2015) cerca di comprendere il futuro del w. a partire dall’opposizione trasparenza/opacità. Gli autori propongono di confrontare l’attuale rivoluzione digitale dell’informazione con quella biologica del Cambriano, quando, nel giro di alcuni milioni di anni (un tempo geologicamente molto breve), la vita sul nostro pianeta, intesa come nascita di nuove specie e crescita del numero degli esseri viventi, si diffuse sui mari a un ritmo mai visto in precedenza. Circa 500 milioni di anni fa, la chimica dei mari sarebbe cambiata permettendo agli animali una maggiore visibilità, e di conseguenza una più efficiente tecnica di locomozione, grazie alla quale predatori e prede avrebbero via via migliorato la capacità di attacco e fuga, a seconda dei casi. Tutto questo avrebbe permesso un aumento di performance ed efficienza. Il filosofo Daniel C. Dennett cita alcuni biologi evoluzionisti che attribuiscono questa crescita a un fenomeno nuovo: la trasparenza. In altre parole, l’idea di Dennett è quella di utilizzare questo modello come strumento di misura delle performance delle reti dinamiche: quella evolutiva degli esseri viventi, mezzo miliardo di anni fa, e quella dello scambio di informazioni nel w. (o nei social network) di oggi. Per chiarire meglio, si pensi a un social network digitale, dove chiunque può seguire migliaia di messaggi lanciati da altrettanti individui e contemporaneamente essere seguito dagli altri, uno scambio che richiama da vicino la metafora evolutiva predatore/preda.
Sono apparsi di recente diversi studi di teoria delle reti, in particolare quelli di Albert-László Barabási, che utilizzano modelli matematici comuni per spiegare la diffusione e la criticità di sistemi naturali, tecnologici e sociali, tra cui il w. e le comunità digitali, ma l’approccio di Dennett è epistemologicamente abbastanza diverso. Dennett non utilizza principi di dinamica statistica per configurare le reti secondo modelli evolutivi, ma cerca un connubio tra la filosofia della mente, la biologia e lo studio dei sistemi sociali, sfruttando la sua straordinaria competenza multidisciplinare. L’autore si rende conto che l’impatto del w. nei confronti delle nostre organizzazioni, istituzioni (governi, chiese, forze militari, banche ecc.) e canali commerciali, è sempre più radicato in profondità, con la conoscenza e le informazioni conservate in segreto. L’individuo diventa cieco o miope, in maniera molto più pervasiva e diffusa del passato, in quanto tutta la manualità e la localizzazione delle operazioni cartacee dei decenni scorsi sono sostituite con operazioni automatiche e globali. Il rischio è che chi detiene questo tipo di potere sia determinato a mantenerlo, per motivi di competitività personale e aziendale, il che presuppone una strategia antievoluzionista basata in questo caso sull’opacità e sull’asimmetria. Ma fortunatamente sussiste un controfenomeno molto rilevante, che si attua quando qualcuno, che sia un privato cittadino o un ex agente di organizzazioni segrete (si pensi alle polemiche degli ultimi anni sul caso Wikileaks e su Edward Snowden, l’ex tecnico della CIA rivelatore di segreti sulla sorveglianza) o, ancora, un ente governativo (come nel caso delle intercettazioni statunitensi nei Paesi europei), apre una breccia nella segretezza e nell’opacità informativa, costringendo inevitabilmente a fare luce.
Più in generale, si può dire che quando queste istituzioni, o meglio, la loro base di conoscenza, viene rivelata all’esterno, non esistono contromisure altrettanto efficaci come quelle della trasparenza. Dennett afferma che se si risponde all’opacità con maggiore opacità, si è destinati all’estinzione, e si auspica che le organizzazioni si rendano conto della sempre maggiore esposizione agli attacchi nei confronti della loro opacità, proprio per la natura stessa delle operazioni guidate dal mondo digitale, che sono strutturalmente troppo complesse per offrire sicurezza deterministica e controllata. Per fare esempi più comuni, i social network sono in grado di propagare ovunque, in pochissimo tempo, informazioni potenzialmente incontrollabili dai gestori stessi dei social network, e altresì i consumatori hanno la possibilità di recensire online i prodotti di loro gradimento separandoli da quelli meno apprezzati. Ciò può cambiare le relazioni tra istituzioni e individui, come quelle tra aziende e consumatori, in favore di un bilanciamento più proficuo. Ma il conflitto tra le parti è comunque aperto. Gli insegnamenti, come quelli deducibili dall’articolo di Dennett, devono fare i conti con la legge del social dilemma, ovvero lo scontro tra profitti privati immediati e benefici della collettività a medio-lungo termine, un tema di importantissima attualità, non solo per l’analisi del web.
Il web nascosto. – Si è qui cercato di esporre una panoramica sul futuro del w. secondo un asse interpretativo basato sul confronto tra trasparenza e opacità. Esistono però diversi livelli di opacità: fondamentalmente quelli basati su un controllo attivo, in cui qualcuno nasconde le informazioni a qualcun altro, e quelli invece passivi, in cui l’informazione è nascosta perché non viene trovata. Quest’ultimo aspetto di scarsa limpidezza, in un sistema come il w. ha un’importanza molto rilevante. Fin dai suoi esordi, o perlomeno dopo soli 2 o 3 anni dalla sua nascita, il w. è stato caratterizzato da una modalità dapprima inconsueta per la ricerca di informazioni, diversa dalla consultazione di archivi o ‘pagine gialle’ (Internet yellow pages): i motori di ricerca. Questi effettuano una scansione dell’archivio globale del w. e permettono agli utenti di interrogarlo secondo una modalità che utilizza parole chiave. Ma la scansione in questo archivio globale non è completa, dato che una parte consistente delle informazioni non viene esposta, non tanto per mancanza di volontà, quanto per la difficoltà tecnologica insita nell’operazione di ricerca, dal momento che i crawlers (software che analizzano i contenuti della rete) dei motori di ricerca devono scansionare siti amatoriali e di scarso interesse e siti a pagamento, quindi protetti da password. Questa parte che resta nascosta, oscura è definita il deep web, in contrapposizione al dark web, che occupa invece la porzione di spazio nella quale l’informazione è celata per scelta, e che contiene una serie di dati e scambi spesso illeciti (si va dai siti di pedofilia alle comunicazioni di cellule terroristiche, dalla vendita di armi a quella di sostanze stupefacenti). Senza entrare in dettagli sulle tecniche per non essere tracciati in rete, che sono tipiche di tecnologie di crittografia e di hackeraggio, il dato più saliente è quello riguardante i volumi del w. nascosto: secondo certe stime, il deep web occupa una sezione vastissima, circa il 90% di tutto lo spazio, mentre il dark web soltanto lo 0,1%. Secondo altre fonti, come quelle della rivista «Wired», il deep web è invece molto meno vasto. Al di là delle diverse posizioni su queste cifre, il messaggio che si può trarre è che, a mano a mano che il w. cresce, aumenta inevitabilmente la parte invisibile dell’informazione globale, probabilmente con una velocità maggiore dell’informazione globale stessa, a meno di non cercarla con tecniche costose e mirate. Il w. tende quindi a una maggiore complessità informativa, sia per nuove strutture e servizi, che sostituiscono o si integrano ai precedenti, sia per l’aumento dei dati stessi, sia per la crescita dell’informazione oscura (attiva e passiva) che vi si addensa. Un fenomeno al quale è stato dato di recente il nome di big data.
Il web 2.0 e il cloud computing. – Si può però analizzare la possibile evoluzione del w. a partire dall’ultimo decennio seguendo un altro approccio, ossia quello del pensiero tecnologico, più calato in una dimensione fenomenologica dell’uso del sistema e della mutazione delle interfacce tra il sistema stesso e i suoi utenti. Negli ultimi anni, due espressioni chiave sono emerse all’attenzione del pubblico, e costituiscono il fenomeno più profondo di cambiamento: il web 2.0 e il cloud computing.
Il termine web 2.0 (con tutte le sue sottocategorie, spesso abusate), contrapposto al precedente web 1.0, ossia il w. delle origini, connota generalmente una diversa modalità di utilizzo dei servizi, dal punto di vista sociale, collaborativo, interattivo, e normalizzato rispetto a tutti i dispositivi attraverso i quali è possibile consultare il w. (personal computer, PC, smartphone, tablet, i futuri ‘indossabili’ e altro); coinvolge quei servizi (e-commerce avanzato, on-line banking, social-commerce, mobile-commerce, e-governance ecc.) e quelle tecniche che hanno permesso al w. dell’ultimo decennio di ricoprire un ruolo chiave nella nostra interazione quotidiana con le istituzioni private e pubbliche e con la nostra sfera di amicizie private. Ne sono esempi le news dei quotidiani, che ormai sono spesso consultate, scoperte e condivise attraverso i social network e non solo nei loro siti ufficiali; la ricerca di locali di intrattenimento, negozi e informazioni turistiche, veicolata da mappe interattive (integrate con GPS, Global Positioning System, nella loro versione mobile) che vengono aggiornate in tempo reale grazie a tecnologie di refresh condizionate dalla stessa mobilità del dispositivo, in automobile o a piedi; l’utilizzo di sistemi di comunicazione voip (Voice Over Ip), che consentono di effettuare chiamate vocali e video all’interno di social network, di applicazioni di comunicazione e di servizi di videoconferenza integrati alla comunicazione aziendale.
Il cloud computing, più recente del web 2.0, si può tradurre nell’infrastruttura sommersa che consente di utilizzare servizi di calcolo e archiviazione in maniera molto più efficiente e molto meno costosa. Secondo questa modalità, i processi di calcolo e le informazioni non sono localmente concentrate in un luogo (il proprio PC o un server di rete), ma distribuite in maniera dinamica in funzione della quantità di spazio o della potenza di calcolo necessari per una determinata applicazione. In questo modo l’utente (in particolare, nell’ecosistema Apple, che per primo ha diffuso queste modalità nel mondo dei consumatori) può salvare i propri dati (foto, video, archivi vari) in archivi remoti (detti clouds) e sincronizzare gli aggiornamenti degli stessi dati nei diversi dispositivi di cui dispone, senza preoccuparsi di controllare queste operazioni manualmente. Questa rivoluzione è più avvertita in ambito aziendale. Per una società è più conveniente espandere i propri servizi applicativi rispetto alle esigenze non solo del giorno, ma anche di unità temporali più frazionate, come la frazione oraria, pagando solo il tempo effettivo di utilizzo e, soprattutto, senza essere costretta a utilizzare un insieme di server, in modo statico. Per es., uno studio di architettura che necessiti saltuariamente di programmi di grafica digitale, per i quali sono necessarie grandi potenze di calcolo, fino a pochi anni or sono era costretto ad acquistare, o a gestire in leasing, un parco macchine potente e costoso e a tenerlo fermo per il tempo di mancato utilizzo (anche nei modelli commerciali di tipo hosting e housing il tempo minimo contrattuale di utilizzo raramente scendeva al di sotto del mese, per cui la flessibilità era limitata). Grazie al cloud computing (come il servizio Amazon AWS, Amazon Web Services) oggi per l’azienda è possibile ridurre i costi anche 10 volte o più, in modo tale da renderla competitiva in mercati che in precedenza erano oligopoli di multinazionali, con budget ben più elevato. La stessa argomentazione può estendersi al settore delle archiviazioni: gli archivi in rete di molti terabyte avevano costi proibitivi, ora diminuiti anche fino a 100 volte, per unità dimensionale, perché i costi delle unità di memorizzazione diminuiscono continuamente e quelli dei servizi di storing sono dinamici e in funzione della frequenza di utilizzo (un database consultato soltanto una volta l’anno è molto meno costoso di uno con le stesse dimensioni ma consultato dieci volte al giorno).
Confronto tra web e social network. – Sebbene concettualmente abbiano una diversa tradizione e un differente significato, i social network sono inscritti fondamentalmente nel w. e rappresentano un sottofenomeno della sua espansione (formalmente un social network è raggiungibile da un indirizzo url e si basa in gran parte su protocolli tipici del w. anche nei casi in cui si utilizzino le applicazioni mobili che nascondono questo percorso). Per l’utente comune, tuttavia, w. e social network sono spesso visti e usufruiti come fenomeni a sé stanti, soprattutto dalle nuove generazioni e specialmente nei Paesi dove il w. si è diffuso soltanto nell’ultimo decennio, come quelli africani e molti asiatici. Secondo un punto di vista sociopsicologico, i social network devono il loro successo a un’esigenza che il w. non è mai riuscito a soddisfare, ossia quella di veicolare una ‘dipendenza psicologica dall’altro’. Se ci si chiede come mai Facebook sia riuscita a superare, già nel 2013, la pagina di ricerca di Google come numero di visitatori, la risposta è che le ricerche in rete sono praticamente soltanto di carattere informativo, e non fanno parte di un grafo relazionale dove gli individui si cercano tra loro; in altre parole, si tratta di una partecipazione solo attiva, e isolata, all’interno di un rapporto assolutamente privato e individuale con le risorse da consultare.
La ricerca individuale e l’interlacciamento relazionale sono agli antipodi tra loro, motivo per cui fenomeni ibridi, che cercano di coniugare i potenziali profitti di entrambi, non hanno mai avuto successo. Il cosiddetto social search, ossia l’insieme delle tecniche che raggruppano i risultati di più ricerche individuali sullo stesso tema, è stato solo una moda effimera di qualche anno fa. Una maggiore fortuna, seppur di breve durata, l’hanno avuta i social-bookmarking, che contengono e condividono le liste dei siti ‘preferiti’ (bookmarks) che si aggiungono di volta in volta nel browser. Il fenomeno potrebbe essere letto come un surrogato tra i motori di ricerca e le ‘pagine gialle’ in chiave social: un modo semplice e utile per trovare quello che altri stanno già cercando con più frequenza (le Internet yellow pages sono state infatti, agli albori del w., il primo elenco statico, ma comunque funzionale, per orientare l’utente nella ricerca di siti utili).
A confermare la complementarietà tra le due tendenze presentate è il fatto che lo stesso Facebook ha eliminato progressivamente i motori di ricerca interni dedicati a temi, app (v. applicazioni ed ecosistemi) e news, limitandoli alla ricerca dei nomi dei possibili amici, per altro in modo volutamente incompleto. Infatti una rete sociale cresce per l’esigenza interna di espandersi, non perché qualcuno scopre casualmente che un altro individuo, con cui ha legami lontanissimi, ha cercato lo stesso giorno la stessa informazione. Per fare un esempio reale, se ci intratteniamo all’ufficio postale con qualcuno dialogando su argomenti effimeri, difficilmente instaureremo con quella persona una relazione duratura: un legame occasionale di questo tipo, nella logica di una rete sociale non merita investimento.
Bibliografia: D. Bennato, Sociologia dei media digitali. Relazioni sociali e processi comunicativi del web partecipativo, Roma 2011; E. Morozov, The net delusion: how not to liberate the world, London 2011 (trad. it. L’ingenuità della rete. Il lato oscuro della libertà di internet, Torino 2011); R. Simone, Presi nella rete. La mente ai tempi del web, Milano 2012; D.C. Dennett, D. Roy, Our transparent future no secret is safe in the digital age. The implications for our institutions are downright darwinian, «Scientific Amer ican», 2015, 312, 3, pp. 32-37.