verismo
La cruda rappresentazione della realtà
Movimento letterario italiano della seconda metà dell’Ottocento, il verismo porta in primo piano la tensione degli scrittori per una maggiore aderenza alla realtà sociale del tempo. I veristi rappresentano situazioni regionali fatte di povertà, miseria, sfruttamento. I loro personaggi sono contadini, pescatori, minatori: insomma, umili lavoratori di cui si cerca di rendere l’universo psicologico e linguistico
Sviluppatasi in Italia negli ultimi trent’anni dell’Ottocento, la corrente letteraria del verismo è il corrispettivo italiano del naturalismo francese. Mentre, però, in Francia il naturalismo si sviluppa in una società industrializzata e in un contesto cittadino, il verismo ha a che fare con una realtà, quella italiana, ancora arretrata dal punto di vista economico, povera e con uno sfondo soprattutto rurale.
In altre parole, mentre i naturalisti francesi rappresentano soprattutto la vita del proletariato urbano, i veristi concentrano la loro attenzione sulle condizioni di miseria e di sfruttamento nelle quali viveva un sottoproletariato fatto di contadini e di pescatori. Inoltre, mentre gli scrittori naturalisti manifestano una certa fiducia nel progresso, l’ideologia dei veristi è molto più pessimistica. Un miglioramento delle condizioni di vita dei ceti subalterni sembra impossibile: quando, nelle opere veriste, un personaggio di umile condizione cerca di salire nella scala sociale, il suo sforzo finisce quasi sempre in tragedia.
Siciliani sono i massimi esponenti del verismo: Giovanni Verga, Luigi Capuana e Federico De Roberto; quest’ultimo nacque a Napoli, ma visse a Catania, città natale di Verga e Capuana. Il caposcuola riconosciuto del movimento è Verga, con i romanzi I Malavoglia (1881) e Mastro-don Gesualdo (1889) e le raccolte di novelle Vita dei campi (1880) e Novelle rusticane (1883).
Ancora più di Verga, il vero teorico del verismo italiano fu però Capuana, anche per il suo ruolo di docente all’Università di Catania che lo portava, per statuto professionale, alla riflessione critica oltre che all’attività creativa. Nei suoi libri, soprattutto nei romanzi Giacinta (1879) e Il marchese di Roccaverdina (1902), ai temi rusticani propri di Verga si alterna l’interesse per le psicologie tormentate dei personaggi, studiati nelle più intime risonanze interiori, spesso ai limiti del morboso.
Diversa anche la cifra stilistica e contenutistica di De Roberto – di una generazione più giovane rispetto a Verga e Capuana –, che nel romanzo I vicerè (1894) narra la decadenza di un’antica famiglia della nobiltà siciliana, gli Uzeda di Francalanza, nel passaggio dal regime borbonico a quello del Regno d’Italia. Un libro da cui, nel Novecento, trarrà spunti d’ispirazione Giuseppe Tomasi di Lampedusa per il suo Gattopardo.
La realtà siciliana è dunque il principale oggetto di rappresentazione dei romanzi e racconti veristi. Tuttavia il verismo non si esaurisce in Sicilia. Fuori di questa regione possono infatti essere ricordati altri scrittori veristi: Mario Pratesi e Renato Fucini in Toscana; Matilde Serao in Campania, anche se l’interesse per la realtà urbana, come si vede nel libro di racconti Il ventre di Napoli (1884), è un tratto distintivo che la avvicina ai naturalisti francesi. Analoga attenzione al sottoproletariato urbano, ma questa volta nel capologuo lombardo, troviamo in Paolo Valera, scrittore di spiriti socialisti, autore, tra l’altro, di Milano sconosciuta, del 1879.
In Sardegna, il verismo ha un’esponente di prestigio in Grazia Deledda, premio Nobel per la Letteratura nel 1926: anche se in seguito perderà il carattere regionalistico, la narrativa della sua prima fase, da Anime oneste, il romanzo che nel 1895 la rese famosa, a L’edera, del 1908, rappresenta con crudezza esseri primitivi e un mondo del peccato e del male sentito come fatalità.
La letteratura verista intrattiene ampi rapporti con il melodramma a essa contemporaneo: la novella di Verga Cavalleria rusticana divenne, nel 1890, un’opera lirica in un atto di Pietro Mascagni.