Università
Studi superiori, università, ricerca
L'istruzione superiore (detta anche terziaria) comprende almeno tre diversi indirizzi o tipi di corsi, peraltro diversamente organizzati nei singoli Paesi e non facilmente comparabili fra loro: a) corsi d'istruzione-formazione superiore, postsecondaria e non universitaria, di durata che è compresa fra due e quattro anni, caratterizzata da studi teorici e pratici con destinazione prevalentemente tecnico-professionale; b) corsi di formazione universitaria o accademica, di durata compresa fra tre e sei anni, caratterizzata da studi largamente teorici, destinati alle professioni di medio-alto profilo e all'accesso alla ricerca; c) corsi postuniversitari, di formazione scientifica e di specializzazione di alto livello, di durata di norma compresa fra due e quattro anni. Tale tipologia, ormai consolidata in molti Paesi, si è ulteriormente ampliata sia con l'istituzione di centri (autonomi o più spesso dipendenti da enti governativi o internazionali) di ricerca scientifica e tecnologica avanzata, che, pur non avendo finalità formative, finiscono per contribuire alla formazione di ricercatori e specialisti, sia con la creazione di u. aziendali o d'impresa (corporate university), dirette a sviluppare, selezionare e specializzare competenze interne nei campi dell'organizzazione e gestione delle imprese, del cambiamento e dell'innovazione produttiva. Gli istituti del primo tipo, tradizionalmente quasi per intero confinati nel campo della ricerca militare, spaziale e delle telecomunicazioni, si sono poi estesi a non pochi altri campi, a cominciare dalle scienze biomediche, neurologiche, microtelematiche, astrofisiche.
Tale tipo di istituti si è moltiplicato negli ultimi decenni del 20° sec. negli Stati Uniti, in Europa, in Giappone, in India e in altri Paesi a economia emergente. In Italia operano, fra gli altri, l'Istituto nazionale di fisica nucleare, l'Istituto nazionale di astrofisica, l'Istituto nazionale per la fisica della materia, l'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, l'Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione, l'Istituto italiano di tecnologia e l'Istituto italiano di scienze umane. Per quanto riguarda gli istituti del secondo tipo, si calcola che negli Stati Uniti siano circa duemila le società industriali che dispongono di una corporate university, alcune considerate come vere fabbriche di talenti. Il fenomeno si è esteso anche in Europa, come pure in Italia, dove (dopo la FIAT, sede della più antica corporate university fondata in Europa) sono decine le u. di questo tipo istituite da grandi gruppi (ENI, ENEL, Telecom, Generali ecc.) e anche da aziende di medie dimensioni. Il complesso delle istituzioni citate e la varietà dei loro obiettivi oppure delle loro destinazioni rendono alquanto complessa la distinzione fra istituti specificamente destinati alla formazione scientifica, alla formazione tecnica superiore e a quella aziendale, alla specializzazione, alla ricerca pura o applicata. Al centro di questo complesso sistema resta certamente l'u., che ha una più lunga tradizione alle spalle, ha strutture consolidate e copre un campo di interesse più diffuso, con un numero di fruitori dei suoi servizi incomparabilmente superiore a quello di ogni altra istituzione. L'u. ha tuttavia subito trasformazioni di un certo rilievo, non sempre di segno positivo. Il nesso istruzione-formazione-ricerca, che, in generale, contrassegnava le sue funzioni fino a oltre la metà del 20° sec., si è in certa misura alterato in seguito all'estensione della fruizione di tale livello di studi da parte della maggioranza dei giovani con titolo di istruzione secondaria. Diventata un terzo livello di istruzione pressoché generalizzato, la funzione formativa ha finito per assorbire una larga parte del suo impegno, anche nel tentativo, peraltro difficile, di colmare carenze dell'istruzione secondaria. Nel contempo, la ricerca scientifica, specie quella applicata, si è in parte dislocata in sedi diverse dall'università.
In realtà la situazione delle u. è ormai più diversificata, nel senso che, accanto alle molte sedi universitarie che attendono in prevalenza alla preparazione latamente scientifica o di base, sussistono o si sono ulteriormente affermati centri universitari elitari che attendono, oltre che a una qualificazione accademica elevata, anche a settori di ricerca scientifica di eccellenza. Il problema più delicato è rappresentato dalla 'licealizzazione' degli studi superiori, un fenomeno, questo, direttamente conseguente alla diminuita qualità e selettività dell'istruzione secondaria superiore, e che peraltro i sistemi accademici di più antica tradizione non sono attrezzati ad affrontare. A parte ciò, è dato notare che fra i differenti tipi di istituzioni elencate (u., centri di ricerca, istituti di formazione tecnica oppure manageriale) i rapporti risultano piuttosto frequenti e possono comprendere accordi di progetto, scambi di docenti e di esperti, visiting professor, utilizzazione in comune di laboratori, e di risorse finanziarie messe a disposizione dai governi o da organismi internazionali. Gli stessi allievi e i giovani ricercatori possono usufruire talvolta di accordi per lo scambio di esperienze che sono maturate sia in sedi accademiche sia negli istituti di ricerca specializzati, persino in Paesi diversi.
Tutto questo risente degli indirizzi di politica dell'innovazione, in campo economico e sociale, che puntano soprattutto sull'aumento dei livelli di istruzione e della ricerca scientifica e tecnologica. In questo quadro gioca un ruolo importante l'impegno di spesa per la ricerca messo a disposizione dalle finanze dei singoli Paesi. Per quanto riguarda l'Europa, l'obiettivo fissato dal Consiglio europeo di Lisbona del 2000 prevedeva che i Paesi aderenti dovessero arrivare a spendere in ricerca il 3% del PIL. Dai dati disponibili (CENSIS 2005, tabb. 56-59) risulta che ancora nel 2002-03 soltanto la Finlandia superava il 3% del PIL, altri Paesi superavano il 2% (Danimarca, Belgio, Austria, Francia, Germania), seguiti da Regno Unito (1,87%), Repubblica Ceca (1,35%), Italia (1,16%), Spagna (1,11%), e altri con valori inferiori. Considerando specificamente l'Italia, la spesa per ricerca e sviluppo intra muros risultava distribuita, nel 2003, fra i diversi settori istituzionali, secondo i seguenti valori percentuali: imprese, 47,3; u., 33,9; amministrazioni pubbliche, 17,5; istituzioni private non-profit, 1,4. Nello stesso anno, il personale addetto alla ricerca e sviluppo ammontava a 161.828 unità, di cui 70.332 ricercatori. Le Regioni che spendono di più in tale settore sono Lombardia (22,1%) e Lazio (17,7%), seguite a distanza da Piemonte (11,9%), Emilia-Romagna (9,5%), Toscana (6,7%), Campania (6,2%). Anche da questo quadro limitato emerge che l'u. (della cui spesa complessiva di 10.931,93 euro nel 2004, circa un terzo era destinato alla ricerca) riveste un ruolo non più esclusivo nel campo della ricerca. D'altra parte è vero che, in molti casi, l'u. concorre con propri laboratori, strutture e docenti alla ricerca svolta da altri soggetti istituzionali e privati, e vi concorre maggiormente nei settori di eccellenza. Peraltro, la legge finanziaria 2007 (l. 27 dic. 2006 nr. 296) ha introdotto alcune misure volte al contenimento della spesa e ha posto qualche limite alla crescita del fabbisogno del sistema universitario. Nel contempo, però, la stessa legge ha previsto un piano straordinario per l'assunzione di ricercatori, con l'obiettivo di ridurre il precariato e di favorire l'ingresso dei giovani nel mondo della ricerca; ha previsto, inoltre, l'istituzione di un fondo unico per gli investimenti nella ricerca scientifica e tecnologica, in cui confluiscono le risorse di vari enti esistenti.
Nuove prospettive sono state aperte nel corso del 2004-05 da quella che è stata chiamata 'la politica estera della ricerca italiana', con accordi e intese di cooperazione scientifica fra istituti italiani e istituzioni di altri Paesi (Stati Uniti, Giappone, India, Israele e altri), in settori considerati strategici (nanotecnologie e robotica, informatica, microelettronica, neuroscienze, medicina, applicazioni dell'astrofisica, tecnologie di rete e per il web, biodiversità e genetica, agricoltura avanzata e così via), accordi che prevedono dei finanziamenti comuni, complementarietà di competenze, laboratori congiunti e altre forme di partenariato. Sono stati sottoscritti nel biennio preso in considerazione una trentina di accordi. Solamente quelli con la Indian Space Research Organization, per il monitoraggio delle variazioni climatiche, ambientali e delle aree agricole, valgono circa 300 milioni di euro, coinvolgono 150 ricercatori e un migliaio di tecnici. Per quanto attiene la ricerca svolta dalle u. italiane, è opportuno tenere presente quanto emerge dal primo rapporto nazionale del Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca (CIVR), pubblicato all'inizio del 2006, che ha analizzato 17.329 prodotti di ricerca relativi al triennio 2001-2003 proposti da 102 strutture (77 atenei, 12 enti pubblici di ricerca, 13 istituzioni private). I dati di tale rapporto dicono che il 30% dei prodotti analizzati è stato giudicato 'eccellente', il 46% è stato 'buono', il 19% 'accettabile', il 5% 'limitato'. Nello stesso triennio, i brevetti depositati dalle u. superano del doppio quelli degli enti di ricerca.
Dimensioni dell'istruzione superiore
Tra il 1995 e il 2002, tutti i Paesi dell'OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), salvo Austria e Francia, hanno fatto registrare un aumento delle iscrizioni a livello di istruzione superiore. La formazione di tipo universitario o accademico è abbracciata da oltre il 60% dei giovani di diversi Paesi (fra i quali Australia, Svezia, Finlandia, Polonia, Stati Uniti, Ungheria, Federazione Russa), dal 50-60% di quelli di altri Paesi (fra cui Argentina, Israele, Paesi Bassi, Danimarca, Italia) e dal 30-40% dei giovani di Irlanda, Francia, Germania, Svizzera, Belgio, Austria; in questi ultimi però si registra una sensibile percentuale di giovani iscritti a corsi di formazione terziaria non universitaria.
Più significativo è il dato relativo al periodo stimato di tempo che viene effettivamente trascorso nelle istituzioni di istruzione superiore. In media, nei Paesi OCSE, tale periodo per un giovane è di 2,7 anni; in Corea, Stati Uniti e Finlandia può arrivare a circa 4 anni; al contrario, in Messico, Repubblica Slovacca, Repubblica Ceca e in Svizzera risulta inferiore a 2 anni. L'età tipica per conseguire un diploma di istruzione terziaria non universitaria si attesta per lo più fra 21 e 23 anni; il diploma di istruzione universitaria si consegue di norma fra 23 e 25 anni di età; sensibilmente più alta (fra 25 e 29 anni) è l'età di conseguimento dell'attestato in programmi di ricerca di alto livello. Nella maggior parte dei Paesi la formazione di tipo universitario o accademico è dispensata da istituzioni pubbliche. In Belgio, Paesi Bassi e Regno Unito gli studenti sono in maggioranza iscritti a istituti di tipo privato, che usufruiscono però in buona misura di sovvenzioni pubbliche. In Corea e Giappone più del 70% degli studenti risulta iscritto in istituti gestiti e finanziati da privati. Altro dato significativo, anche se sono segnalate difficoltà nei calcoli relativi, è quello riguardante il rapporto studenti-insegnanti. Considerando insieme istituzioni di livello universitario e istituzioni di livello terziario non universitario, il numero medio di studenti per insegnante nei Paesi OCSE è 15,4; lo stesso rapporto è più elevato, fra gli altri, in Grecia (32,2), Italia (23,1), Belgio (18,7), Regno Unito (18,3), Francia (17,9), Stati Uniti (17,1); è meno elevato, fra gli altri, in Norvegia (13,2), Paesi Bassi e Austria (13), Germania e Finlandia (12,6), Svezia (9,1). Di norma, tale tasso è più elevato negli istituti di istruzione terziaria relativi a professioni specifiche, che negli istituti d'insegnamento universitario e di ricerca scientifica.
In Italia gli indicatori quantitativi dell'istruzione universitaria continuano a mostrare un'evoluzione di segno positivo. Il tasso di passaggio dalla scuola secondaria superiore all'u. è salito progressivamente da 70,1 nel 2001-02 a 76,4 nel 2004-05. Gli studenti iscritti nel 2004-05 ai diversi corsi di laurea e di diploma erano complessivamente 1.800.428 in corso e 699.606 fuori corso. Degli studenti in corso, considerata la trasformazione in atto degli ordinamenti didattici (v. oltre), quelli iscritti ai corsi di laurea del vecchio ordinamento erano 485.555, gli iscritti ai corsi di laurea del nuovo ordinamento 1.121.216, gli iscritti ai corsi di laurea specialistica 188.245. Limitato appare, se comparato con i dati di Paesi assimilabili all'Italia, il numero degli studenti stranieri iscritti nelle u. (19,5 su 1000 iscritti). Sono sensibilmente cresciuti anche i corsi di laurea e di diploma offerti dal sistema: nel 2003-04 erano 8137, di cui 5179 appartenenti al nuovo ordinamento. Il numero di laureati e diplomati è passato da 234.939 del 2002-03 a 268.821 del 2003-04. Poco rassicurante, per le prospettive dello sviluppo scientifico e tecnologico del Paese, continua a essere il quadro della distribuzione di laureati e diplomati nei diversi settori disciplinari: ancora nel 2004, il maggior numero di laureati si è avuto nel campo economico-statistico-politico (71.183), seguito da quello letterario-linguistico-psicologico (63.396); consistente è stato pure il numero dei laureati nel campo giuridico (28.713) e in quello medico (28.326); un posto intermedio è stato occupato dal gruppo ingegneria e architettura (45.998), mentre modesto è rimasto il numero dei laureati nel gruppo scientifico-biologico-chimico-farmaceutico (25.613) e in quello agrario (5592).
Altro fenomeno non rassicurante è quello concernente la crescente tendenza degli studenti a rimanere nel proprio contesto regionale o addirittura municipale (nell'anno accademico 2003-04, oltre 80% degli studenti iscritti studiava nella regione dove risiedeva), in conseguenza dei processi di delocalizzazione delle sedi universitarie; ciò comporta rischi in termini sia di qualità della didattica e dei servizi sia di minori opportunità di scambio di esperienze con realtà sociali differenti tra loro. I docenti di ruolo (compresi i professori a contratto) ammontavano nel 2003 a circa 96.000 unità (il rapporto studenti per docente era 18,8; il numero di laureati e diplomati per docente era 2,8).
L'istruzione superiore post lauream e specialistica è finalmente diventato un fenomeno apprezzabile anche sotto l'aspetto delle sue dimensioni. È cresciuto sensibilmente il numero dei laureati iscritti ai corsi di dottorato di ricerca, a quelli delle scuole di specializzazione, ancor più ai master di primo e di secondo livello. Soprattutto è aumentato il numero di coloro che conseguono il titolo finale. Fra il 2001-02 e il 2003-04 è quasi raddoppiato il numero dei dottori di ricerca (6247 nel 2003-04), quello dei diplomati delle scuole di specializzazione (22.847), quello dei master di primo livello (5226) e di secondo livello (3844). Dall'insieme dei dati riportati sembra emergere che il livello di produttività del sistema universitario, anche se non può ancora essere considerato pienamente soddisfacente, manifesta tuttavia nell'ultimo quinquennio segnali di crescita non indifferenti. Al di fuori dell'u., si pone l'alta formazione artistica e musicale (v. oltre), la cui consistenza sotto il profilo quantitativo rimane limitata, trattandosi di un tipo di formazione rivolta a una utenza di specifica e spiccata vocazione. Nel 2004-05 il personale docente addetto a tale formazione ammontava a 8852 unità, gli iscritti ai diversi corsi erano 68.840, gli studenti diplomati sono stati 6505.
Ordinamenti didattici
Le istituzioni di antica data operanti nel campo della formazione artistica e musicale sono state ridefinite e inquadrate unitariamente, dalla l. 21 dicembre 1999 nr. 508, nel sistema dell'alta formazione e specializzazione artistica e musicale, in base all'art. 33 della Costituzione. Con d.p.r. 28 febbr. 2003 nr. 132, sono state dettate le norme regolamentari sull'autonomia statutaria, didattica, scientifica, amministrativa e finanziaria di tali istituzioni (v. formazione: Formazione artistica e musicale). Con successivo regolamento (d.p.r. 8 luglio 2005 nr. 212) è stata definita la disciplina degli ordinamenti didattici, in base alla quale tali istituzioni possono organizzare diversi tipi di corsi e rilasciare i seguenti titoli di studio: diploma accademico di primo livello, di secondo livello, di specializzazione, di formazione alla ricerca (che è equiparato al dottorato di ricerca) e diploma di perfezionamento o master. La funzione didattica è organizzata sulla base di crediti formativi accademici. Il quadro generale delle attività, gli obiettivi formativi e gli insegnamenti dei corsi sono definiti dai regolamenti didattici, adottati con decreto del direttore. Le istituzioni, oltre che attività di formazione, specializzazione e perfezionamento, possono svolgere attività di produzione e di ricerca nei campi musicale, coreutico, drammatico, delle belle arti, del design.
Sensibili modifiche come pure innovazioni sono state introdotte nell'ordinamento delle u. italiane fra la fine degli anni Novanta del 20° sec. e i primi anni del 21°. La riforma è stata varata con il nuovo regolamento dell'autonomia didattica (d.m. 3 nov. 1999 nr. 509, modificato con d.m. 22 ott. 2004 nr. 270). Gli aspetti di maggiore rilievo della riforma riguardano: a) l'articolazione dei corsi di studio su più livelli fra loro integrati (alla cui base sta la formula 3+2, di cui si dirà successivamente); b) l'adozione del sistema dei crediti universitari, che concerne più specificamente l'organizzazione degli impegni di studio. Ciò ha significato l'abbandono del tradizionale modello organizzativo e didattico dei corsi di laurea, vigente da antica data in Italia, e l'adozione di un modello cosiddetto europeo, suggerito in parte da un documento espresso dal Consiglio europeo a Lisbona nel 1997. In base al nuovo ordinamento, entrato in vigore nell'anno accademico 2001-02, le u. rilasciano i seguenti titoli di studio: a) la laurea (L), che lo studente consegue dopo avere acquisito 180 crediti, comprensivi di quelli relativi alle conoscenze obbligatorie, oltre che della lingua italiana e di una lingua dell'Unione Europea (la durata normale del corso è di tre anni); b) la laurea magistrale (LM), che lo studente consegue dopo l'acquisizione di altri 120 crediti (la durata normale del corso è di ulteriori due anni dopo la laurea); c) il diploma di specializzazione (DS), il cui numero di crediti è determinato da decreti ministeriali; d) il dottorato di ricerca (DR), al quale può essere ammesso chi è in possesso di laurea magistrale (o di altro titolo di studio estero riconosciuto idoneo) e che è disciplinato dall'art. 4 della l. 3 luglio 1998 nr. 210. Inoltre, le u. possono rilasciare: e) master di primo livello; f) master di secondo livello, a seguito di corsi di perfezionamento scientifico e di alta formazione ricorrente, successivi alla laurea o alla laurea specialistica. Il sistema dei crediti (v. credito) intende predefinire l'impegno individuale di studio dello studente (un credito corrisponderebbe a 25 ore di impegno complessivo), quindi la durata media dei corsi (60 crediti corrisponderebbero a un anno di corso a tempo pieno), nonché consentire la possibilità di riconoscere come crediti universitari le conoscenze e abilità professionali altrimenti certificate. L'ordinamento didattico delineato dalla riforma ha trovato apprezzamento all'esterno del mondo accademico, ma ha incontrato anche severe critiche da molta parte dei docenti. Una indagine condotta dal CENSIS nel 2005 fra i presidi di facoltà ha rilevato che su 15 questioni sottoposte alla loro attenzione alcune hanno riportato un'alta concentrazione di consenso, e precisamente le seguenti: l'opportunità che il fondo ordinario da conferire agli atenei dipenda, per una quota rilevante (30-40%), dalla produttività scientifica dell'ateneo; la promozione di alleanze fra atenei e facoltà per sviluppare l'offerta didattica e potenziare l'eccellenza della ricerca; il crescente rischio di licealizzazione dei corsi universitari (almeno di quelli triennali); la percezione che il passaggio in blocco dai corsi di laurea di primo livello a quelli di secondo costituisca un sintomo di fallimento della riforma dei cicli didattici. Parte consistente dei presidi rileva che l'autonomia nella programmazione dei corsi produce una eccessiva eterogeneità dei profili formativi. A tale riguardo il 653° comma della l. 296/2006 introduce il divieto di istituire nuove facoltà e corsi di studio in comuni diversi da quello sede dell'ateneo.
Che l'u. debba coniugare "in modo organico ricerca e didattica, garantendone la completa libertà", è principio ribadito dalla l. 4 nov. 2005 nr. 230, che autorizza, fra l'altro, le u. a realizzare specifici programmi di ricerca tramite convenzioni con imprese o fondazioni. In tal caso possono essere istituiti per incarico posti di professore straordinario, per non più di sei anni, con oneri finanziari a carico delle imprese o fondazioni partecipanti. La stessa legge ha previsto la delega al governo per il riordino del reclutamento dei professori universitari, nel tentativo di trovare una soluzione valida, o meno controversa delle precedenti, all'annoso e delicato problema dell'accesso alla carriera accademica. La delega ha trovato attuazione con la disciplina stabilita nel d. legisl. 6 apr. 2006 nr. 164. La disciplina prevede, in via preliminare, il conseguimento della idoneità scientifica nazionale sulla base di procedure bandite per ciascun settore disciplinare, distintamente per professore ordinario e professore associato. Il possesso di tale idoneità non comporta diritto all'accesso al ruolo di professore, ma costituisce requisito necessario per la partecipazione alla procedura di copertura dei posti di professore disciplinate dai regolamenti delle u. e che devono assicurare la valutazione comparativa dei candidati. A tal fine, l'idoneità scientifica ha una durata di quattro anni. La commissione di valutazione per ciascuna fascia e ciascun settore è composta da cinque componenti sorteggiati dalle liste di commissari nazionali, liste formate e rinnovate ogni due anni mediante elezioni indette con decreto ministeriale. La citata l. 230/2005 prevede che le u. possano provvedere alla copertura dei posti di professore ordinario e associato anche mediante chiamata diretta di studiosi stranieri (in possesso di corrispondente idoneità accademica) nel limite non superiore al dieci per cento dei posti disponibili.
bibliografia
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