trapianti di organi e di cellule
Tecniche di sostituzione degli organi ammalati
Alcune malattie umane provocano danni molto gravi a un solo organo, che in alcuni casi può essere sostituito con quello di un organismo sano. Spesso gli organi vengono donati a un ammalato da un altro individuo, appena deceduto. Questa procedura crea problemi etici, che vengono risolti da leggi precise, ma anche gravi problemi medici perché le differenze genetiche fra donatore e ricevente possono dar luogo al fenomeno del rigetto. Il trapianto di cellule staminali viene sperimentato per ricostruire tessuti danneggiati nel cuore e anche nel cervello
Durante una tappa del Giro d’Italia, un ciclista è costretto a fermarsi perché la gomma si è bucata. Poco male, dal furgone della squadra il meccanico si precipita a staccare la ruota bucata e a sostituirla con una ruota con la gomma gonfia, e la corsa riprende. Si può chiamare questo un trapianto di ruota? Certamente no, ma in qualche modo il trapianto prevede azioni simili al cambio di una ruota.
Il termine trapianto, derivato dalle tecniche applicate da tempo alle piante, si riferisce a organismi in vita. Nel linguaggio medico identifica sia un intervento chirurgico che sostituisce un organo o un tessuto di un paziente gravemente malato con quello di un donatore sano, sia l’immissione in un malato di cellule staminali.
Nel 1954 il chirurgo americano Joseph Murray trapiantò il rene sano di un bambino per sostituire i due reni, ormai gravemente danneggiati, del suo fratello gemello. L’operazione fu un successo: il bambino che sembrava condannato a morire ritornò a nuova vita, ed entrambi i gemelli dopo l’operazione vissero sani e vegeti. Nonostante questo successo, nessuno si ricorda più del dottor Murray.
Più tardi, nel 1967, a Città del Capo il chirurgo sudafricano Christian Barnard trapiantò un cuore sano prelevato da una persona appena deceduta in un incidente stradale sostituendo quello di un paziente cardiopatico di 59 anni. Allora la stampa diffuse la notizia in tutto il mondo e Barnard divenne un chirurgo famoso, anche se il paziente sopravvisse solo diciotto giorni dopo l’operazione.
Oggi in tutti i centri specializzati del mondo, fra i quali l’Italia è in ottima posizione, vengono condotti ogni giorno trapianti, e quasi tutti i pazienti trapiantati sopravvivono almeno due anni.
Perché questa differenza fra Murray e Barnard nell’attenzione dei giornali e della TV? E come mai molti anni fa il trapianto fra gemelli ha dato un ottimo risultato, mentre quelli eseguiti fra estranei da Barnard hanno dato risultati negativi?
La stampa si interessò a Barnard per due motivi: sia perché aveva tentato un trapianto fra estranei e con l’organo prelevato da una persona deceduta sia perché aveva osato trapiantare un cuore, organo che, nell’immaginario collettivo, anche se certamente non per la scienza, veniva considerato sede della vita e responsabile dei sentimenti umani personali.
Il trapianto di rene eseguito da Murray non richiedeva che il gemello donatore fosse deceduto, perché i reni sani erano due e uno bastava per assicurare la sopravvivenza del donatore. Inoltre, essendo condotto fra gemelli, l’intervento aveva avuto successo perché l’informazione genetica (genetica e malattie genetiche) e il repertorio immunitario dei fratelli gemelli (Immunitario, sistema) sono identici.
A eccezione dei gemelli omozigoti (cioè provenienti dalla stessa cellula-uovo), ogni individuo è portatore di un’informazione genetica diversa dagli altri, quindi i tessuti hanno caratteristiche diverse. Quando si tenta il trapianto fra individui geneticamente diversi, anche se della stessa famiglia, tale diversità genetica e biochimica provoca la reazione immunologica dell’organismo ricevente contro l’organo del donatore: questo viene riconosciuto come estraneo, o più precisamente come antigene, e si scatena il fenomeno del rigetto. Gli anticorpi prodotti dal paziente attaccano l’organo che non è istocompatibile (dal greco istòs «tessuto», cioè non compatibile con i tessuti del ricevente), con la conseguenza che in poche settimane viene distrutto da globuli bianchi chiamati macrofagi e il paziente muore a seguito anche di una grave infiammazione.
Questi insuccessi sconsigliarono per molto tempo altri trapianti fra estranei, almeno quelli che prevedevano organi complessi come cuore, polmone, rene e fegato. Si tentarono con qualche successo trapianti di rene fra parenti (genitori e figli o fratelli), perché fra organismi geneticamente vicini il rischio di rigetto è minore. Si continuarono invece a eseguire i trapianti di cornea, perché in questo tessuto trasparente della parte anteriore dell’occhio non avviene circolazione di sangue, e quindi la cornea trapiantata non viene riconosciuta dagli anticorpi né attaccata dai macrofagi.
I trapianti furono quindi in gran parte sospesi fino alla fine degli anni Settanta del 20° secolo.
Nel 1974 venne prodotto un nuovo farmaco chiamato ciclosporina, definito immunosoppressore o immunodepressivo perché capace di diminuire la reazione immunitaria del ricevente e quindi di impedire il rigetto. Gli interventi sperimentali di trapianto ripresero progressivamente e furono preparati altri farmaci capaci di evitare il rigetto e permettere la sopravvivenza del paziente per molti anni. Purtroppo, il trattamento con farmaci immunosoppressori risolve un problema ma ne crea altri. Infatti, un organismo senza difese immunitarie è facile preda di batteri, virus e funghi che provocano gravi infezioni.
Comunque, il paziente, spesso allo stremo delle forze per la gravità della malattia che lo colpisce, grazie al trapianto ritrova la speranza di vivere; anche se la sua qualità di vita non sarà eccellente, sarà sempre grato a colui che gli ha donato il proprio organo.
Il trapianto da cadavere pone la necessità di regole certe per risolvere problemi etici molto importanti. Il primo riguarda l’accertamento dello stato di morte del donatore. La maggior parte degli organi donati, non potendo provenire da persone ancora vive, viene prelevata da individui deceduti in seguito a un incidente. La legge stabilisce con estrema precisione quali sono le condizioni che definiscono lo stato di morte e quali sono le modalità di prelievo degli organi.
Un secondo problema riguarda il consenso alla donazione. La legge italiana stabilisce che, a meno di rifiuto esplicito alla donazione dichiarato in vita, gli organi sani di un organismo deceduto possano essere donati. Però ancora molti parenti tentano di opporsi, come a voler evitare un’offesa al defunto.
In Italia il numero di trapianti eseguito ogni anno è in crescita, anche se ancora lontano dal rispondere a tutte le richieste. Annualmente si fanno circa 1.500 trapianti di rene, 900 di fegato, 400 di cuore e un po’ meno di 100 di pancreas e polmoni; quasi 6.000 sono i trapianti di cornea, intervento per il quale l’Italia è all’avanguardia fra i paesi europei.
Negli ultimi tempi la scienza ha scoperto nuove possibilità di trapianto da persona viva e senza danneggiare il donatore. Si tratta di trapianti di cellule staminali, che vengono introdotte nel paziente in modo da sostituire le cellule ammalate dell’organo danneggiato. Le cellule staminali possono essere prelevate dalla porzione sana dello stesso organo malato o dal midollo osseo sia di un donatore (trapianto eterologo) sia del malato stesso (trapianto autologo). Questo tipo di trapianto è stato sperimentato in Italia per la cornea e per la pelle danneggiata da un’ustione. Può essere considerato di questo tipo anche il trapianto di un pezzo di fegato, che provoca, mediante le sue cellule staminali, la crescita di nuovo tessuto sano.
Si ricorre al trapianto di cellule staminali per sostituire le cellule tumorali nelle leucemie. In questo caso è difficile trovare nel paziente cellule che non siano esse stesse leucemiche e si provvede quindi a cercare in tutto il mondo un donatore di midollo che sia geneticamente simile al paziente, per evitare il rigetto.