Il servizio di diffusione televisiva, quale mezzo di comunicazione a distanza senza l’uso di conduttori, è stato incluso fra le materie oggetto di riserva statale sin dal 1910; successivamente la riserva è stata estesa a tutti i servizi di telecomunicazione, indipendentemente dalla via utilizzata (R.D. 645/1936; d.P.R. n. 156/1973, «testo unico in materia postale»).
Nel 1974 la Corte costituzionale criticò il regime di monopolio pubblico vigente e affermò la necessità di porre alcuni principi fondamentali nella regolamentazione del servizio radiotelevisivo, fra i quali: l’obiettività e completezza di informazione, con ampia apertura a tutte le correnti culturali; imparziale rappresentazione delle idee espresse nella società; l’indipendenza del gestore del servizio pubblico dal potere esecutivo; il pluralismo informativo; la regolamentazione della programmazione pubblicitaria (sent. 225 e 226).
Nel 1975 si ebbe la prima legge organica nel settore radiotelevisivo (103/1975), la quale, recependo i principi già affermati in materia dalla Corte costituzionale, caratterizzava il servizio televisivo quale servizio pubblico essenziale.
Più in particolare, l’art. 1 della legge stabiliva che «la diffusione circolare di programmi radiofonici via etere o, su scala nazionale, via filo e di programmi televisivi via etere, o, su scala nazionale, via cavo e con qualsiasi altro mezzo costituisce, ai sensi dell’art. 43 della Costituzione, un servizio pubblico essenziale ed a carattere di preminente interesse generale, in quanto volto ad ampliare la partecipazione dei cittadini e concorrere allo sviluppo sociale e culturale del Paese in conformità ai principi sanciti dalla Costituzione». La citata normativa, dunque, riconosceva e giustificava il monopolio pubblico nel servizio radiotelevisivo, riservandolo allo Stato per il suo preminente carattere di interesse generale. Attraverso lo strumento della concessione, lo Stato lo attribuiva poi a una società pubblica, in qualità di società di interesse nazionale, ai sensi dell’art. 2461 c.c. (v. Rai - Radiotelevisione italiana). Per l’attuazione delle finalità, dei principi indicati e per vigilare sui servizi radiotelevisivi era inoltre prevista (dal d.lgs. n. 428/1947) una commissione parlamentare ad hoc, denominata Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi. Composta da 40 membri, designati, dai presidenti delle due Camere del Parlamento, tra i rappresentanti di tutti i gruppi parlamentari, la commissione aveva, fra le sue funzioni, quella di formulare gli indirizzi generali dei programmi, di stabilire le norme per l’accesso al mezzo radiotelevisivo, di indicare i criteri generali per la formazione dei piani annuali e pluriennali di spesa e di investimento, di riferire con relazione annuale al Parlamento, di eleggere 10 consiglieri di amministrazione della concessionaria pubblica. L’ultima attribuzione era particolarmente importante, perché consentiva di sottrarre il consiglio di amministrazione all’influenza del potere esecutivo.
Negli anni immediatamente successivi la Corte costituzionale si pronunciò nuovamente in maniera negativa nei confronti della regolamentazione del sistema televisivo basato sul regime di monopolio pubblico (sent. 202/1976); in particolare dichiarò illegittimo il divieto di installare e di esercitare, previa autorizzazione statale, impianti di diffusione radiotelevisiva via etere di portata non eccedente l’ambito locale. Di conseguenza, durante la seconda metà degli anni 1970, proliferarono le emittenti radiotelevisive private, in ambito prima locale e poi nazionale (anche attraverso la tecnica della interconnessione), senza che vi fosse una regolamentazione antitrust. Alla situazione di fatto non fece subito seguito, peraltro, una disciplina legislativa che riorganizzasse l’intero sistema radiotelevisivo nazionale e che tenesse conto dell’avvento delle nuove tecnologie. Con l’emergere e il consolidarsi del gruppo privato Fininvest, si arrivò all’instaurazione di un regime di duopolio Rai-Fininvest (Corte cost., sent. 826/1988). Ciò si verificò nonostante la Corte costituzionale (sent. 168/1981) avesse sollecitato il legislatore alla regolamentazione del settore radiotelevisivo per evitare il rischio della concentrazione dell’industria dei programmi e della pubblicità nelle mani di pochi imprenditori.
Nella seconda metà degli anni 1980, la Consulta invitò il legislatore ad approvare una legge per il riassetto dell’intero settore radiotelevisivo incentrata sulla libertà della concorrenza, sul pluralismo informativo, sulla tutela dell’utente-consumatore e su un’informazione completa, obiettiva, imparziale ed equilibrata nelle sue diverse forme di espressione (sent. 826/1988). Quindi, il Parlamento approvò la l. n. 223/1990 per la disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato. La legge, che consta di 5 titoli, affrontava il tema generale della radiodiffusione, in particolare, riaffermando: il carattere di preminente interesse nazionale della diffusione di programmi radiofonici e televisivi e dell’assetto organizzativo e finanziario della Rai (Titolo I); la realizzazione del sistema radiotelevisivo attraverso il concorso di soggetti pubblici e privati, nel rispetto dei principi del pluralismo, l’obiettività e l’imparzialità dell’informazione e l’apertura alle diverse opinioni, tendenze politiche, sociali, culturali e religiose (Titolo II); la pianificazione delle radiofrequenze (Titolo II, art. 3). La legge disponeva inoltre alcuni divieti in materia di posizione dominante nell’ambito dei mezzi di comunicazione di massa, a tutela del pluralismo, e prevedeva, accanto a una disciplina transitoria per le autorizzazioni, una normativa fondata sulle concessioni, nel rispetto del divieto di posizioni dominanti sancito nell’art. 15. Il piano di assegnazione delle radiofrequenze, essenziale per l’applicazione della normativa, sarebbe stato fissato con d.P.R. il 20 gennaio 1992. La l. n. 223/1990 istituiva, altresì, in luogo del precedente garante per l’editoria, il garante per la radiodiffusione e l’editoria (che, a sua volta, sarebbe stato sostituito dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, istituita dalla l. n. 249/1997) e, per la prima volta, imponeva limiti sia alla diffusione di messaggi pubblicitari sia al possesso di reti televisive.
Nel corso degli anni 1990 altre sentenze della Corte costituzionale intervenivano in materia. La Corte dichiarava, infatti, l’illegittimità dell’art. 15, co. 4, della l. n. 223/1990 in materia di posizione dominante, nella parte relativa alla radiodiffusione radiotelevisiva (sent. 420/1994), e affermava il divieto da parte di un unico soggetto di essere titolare di 3 concessioni delle reti nazionali su 9 che potevano essere conferite ai privati. Con la sent. 7/1995, la Corte dichiarava ammissibile il referendum popolare per l’abrogazione della disposizione contenuta nell’art. 2, co. 2, della l. n. 223/1990, nella parte in cui disponeva la «totale partecipazione pubblica» nella società concessionaria del servizio pubblico. Così, con il d.p.r. 315/1995, veniva abrogato il suddetto comma. Con l’approvazione della l. n. 249/1997, il legislatore introduceva una normativa volta a stabilizzare il sistema radiotelevisivo italiano e ad adeguarlo allo sviluppo delle nuove tecnologie.
Nel 2002, a seguito dell’avvento della tecnologia digitale, l’Unione Europea ha adottato un quadro normativo unico per tutte le reti e i servizi di comunicazione elettronica, realizzando la convergenza regolamentare di tutti i mezzi di comunicazione, tra i quali sono compresi le telecomunicazioni e la radiotelevisione. Di conseguenza, in Italia sono state adottate due discipline normative distinte, per il settore televisivo e per il settore delle telecomunicazioni.
Con la l. n. 112/2004 sono state dettate le norme di principio in materia di assetto del sistema radiotelevisivo italiano e della Rai-Radiotelevisione italiana S.p.A., con la relativa delega al governo per l’emanazione del testo unico della radiotelevisione (d.lgs. n. 177/2005). La legge individua i principi generali del sistema radiotelevisivo nazionale, regionale e locale, tenendo in considerazione l’introduzione della tecnologia digitale e il processo di convergenza tra radiotelevisione e altri settori delle comunicazioni interpersonali e di massa, quali le comunicazioni elettroniche, l’editoria, anche elettronica, e la rete Internet, in tutte le sue applicazioni. Nella realtà si è consolidato il duopolio Rai-Mediaset. Inoltre, la normativa del testo unico regolamenta e distribuisce le competenze in materia di comunicazioni tra il ministero per le Comunicazioni (d.lgs. n. 177/2005, art. 9) e l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni che ha funzioni di controllo, di regolamentazione del mercato delle telecomunicazioni e di promozione della concorrenza (art. 10).
Autorità amministrative indipendenti
Rai - Radiotelevisione italiana