Scrittrice giapponese (n. Osaka 1926). Attratta dal lato decadente e demoniaco e dalle atmosfere morbose di J. Tanizaki, ma anche, per sua stessa ammissione, dall'aspetto mistico e spirituale delle poesie di E. Brontë, si è affermata negli anni Sessanta con racconti e romanzi in cui il sogno e la fantasia, insieme con elementi di perversione e crudeltà, si mescolano alla realtà più banale e quotidiana. Al rischio, implicito nelle sue scelte narrative, di cadere nel melodramma e nel sensazionale, K. riesce a sottrarsi grazie al sostegno di una scrittura sempre sorvegliata e rigorosa. Tra le sue opere principali occorre citare Han shoyūsha ("Un proprietario a metà", 2001), che ha vinto il premio Kawabata.
Tra i suoi scritti vanno ancora segnalati: Yōjigari ("A caccia di bambini", 1961), che affronta temi scottanti, come l'avversione della protagonista per il proprio sesso, il rapporto sadomasochistico che la lega all'uomo, l'ambigua attrazione per i bambini; Saigo no toki ("Gli ultimi istanti", 1966), forse il migliore dei suoi racconti, dove l'annuncio di dover morire dopo poche ore spinge la protagonista a una frenetica programmazione dei suoi ultimi istanti e a un riesame del proprio ruolo nel rapporto con il marito; Fui no koe ("Una voce improvvisa", 1968), storia di una donna che è indotta a uccidere dalla misteriosa presenza del padre morto; Kaiten tobira ("La porta girevole", 1970) e Hone no niku ("La carne", 1971), racconti dedicati alle irrisolte contraddizioni della condizione femminile nella società tradizionale. Ancora l'erotismo è la nota dominante del più recente Miira tori ryōkitan ("Strana storia di un cacciatore di mummie", 1990), uno dei suoi romanzi più discussi e apprezzati, ambientato nel corso della seconda guerra mondiale, in cui la tragedia dei due protagonisti procede di pari passo con quella del Giappone.