storia e storiografia
Interpretare il passato e conservarne il ricordo
Quando si usa il termine storia si fa riferimento sia a quanto è accaduto nel passato sia alle ricostruzioni che ne fanno gli storici: quegli studiosi, cioè, che per professione si dedicano a raccogliere documenti sulle trascorse vicende di un personaggio, di un popolo, di una nazione, di uno Stato, di una civiltà, o delle varie correnti culturali, per darne una narrazione e una spiegazione. L’insieme delle varie esposizioni contenute nelle opere di coloro che ‘scrivono di storia’ costituisce ciò che viene chiamata storiografia, disciplina volta a conservare il ricordo del passato e a trasmetterlo da una generazione all’altra
Conoscere la storia è un bisogno insopprimibile dell’essere umano. Per sapere chi siamo dobbiamo sapere da dove veniamo: chi non ha memoria del passato è come un individuo che si trova in mezzo a un deserto senza avere punti di riferimento.
Quando un adolescente comincia a formarsi una personalità, lo fa prendendo gradualmente coscienza dell’ambiente che è stato costruito nel tempo intorno a lui dalla sua famiglia, da coloro che vivono nel suo Comune, nella sua Regione, nel suo Stato. Quando chiede informazioni su di essi, egli fa a suo modo lo storico. Il bambino o il ragazzo, però, vuole sapere determinate cose e non altre, a seconda di ciò che lo interessa maggiormente nel momento in cui pone le sue domande. L’interesse per la storia, quindi, nasce da un interesse attuale. Se un ragazzo è attratto dallo sport, vorrà sapere chi sono stati i grandi sportivi; se dalla danza, chi sono stati i ballerini famosi; se gli piace la città in cui abita, porrà domande sulle sue origini.
L’atteggiamento degli adulti è analogo, seppure a un più elevato grado di complessità. Anche gli storici scelgono di studiare questo o quel tema in base ai loro interessi, al fine di trovare nel passato risposte a interrogativi sorti nel presente. L’analisi e la riflessione storica sono, insomma, essenziali per sapere quali sono state le varie strade che nel corso del tempo ci hanno condotto al punto in cui siamo.
La storia dell’umanità è come un grande mare, un contenitore immenso delle cose passate. Esso non parla da sé: bisogna interrogarlo e analizzarlo. Ma la storia dell’umanità si può studiarla soltanto attraverso le tracce che ci ha lasciato.
Talvolta le tracce sono nulle o quasi nulle, come per le epoche in cui gli uomini non erano in grado di lasciare documenti durevoli della loro vita.
Talvolta le tracce sono andate perdute a causa di eventi naturali oppure delle distruzioni provocate anzitutto dalle guerre. Talvolta tracce anche importanti sono sopravvissute, ma coloro che le studiano non sono in grado di capirne il significato, come nel caso di linguaggi che restano ancora oggi sconosciuti o insufficientemente conosciuti.
Quando invece le testimonianze lasciate dal passato sono sufficientemente ricche e i ricercatori dispongono degli strumenti necessari per decifrarle, capirle e farne oggetto della loro riflessione, allora si può scrivere la storia di un periodo, di un paese e così via. Scrivere la storia dell’attività umana richiede anzitutto che la si collochi nel tempo e nello spazio, che si isolino certi avvenimenti da altri. Senza dividere la storia in tante storie, senza documenti che la illustrino, non si può propriamente conoscere e comprendere il passato.
La prima grande suddivisione nella storia dell’umanità è tra il periodo in cui mancano documenti scritti – e quindi il passato può essere ricostruito unicamente con reperti fossili, geologici e archeologici, vale a dire con oggetti materiali –, chiamato preistoria, e il periodo – definito propriamente storia – in cui invece le testimonianze scritte, accanto a quelle di ordine materiale, diventano prevalenti.
Nella tradizione del mondo occidentale, facendo riferimento a grandi momenti di svolta, questo periodo è stato diviso in storia antica (l’età che precede la caduta dell’Impero Romano d’Occidente nel 476 d.C.), storia medievale (dalla caduta dell’Impero Romano alla scoperta dell’America, avvenuta nel 1492), storia moderna (dalla scoperta dell’America alle rivoluzioni americana e francese e alla rivoluzione industriale alla fine del 18° secolo), storia contemporanea (dalla fine del 18° secolo ai giorni nostri). Si tratta di divisioni non rigide, suscettibili di discussione e di revisioni: per esempio, vi sono alcuni storici che suggeriscono di far iniziare l’età contemporanea negli ultimi decenni dell’Ottocento o addirittura a partire dalla Prima guerra mondiale.
Di ogni aspetto del passato si può fare la storia. Poiché le collettività umane sono profondamente influenzate dagli eventi degli Stati in cui vivono, ecco dunque le storie degli Stati nazionali: storia d’Italia, storia della Francia e così via. Ma si hanno anche storie delle città e delle regioni. Se invece al centro si pone l’interesse verso quanto accaduto in aree più grandi di singoli Stati, regioni o città, allora si hanno le storie di aree geografiche che abbracciano vari Stati e nazioni: per esempio storia d’Europa, storia dell’Asia, storia dell’America Latina. Si può arrivare persino a grandissime sintesi: storia del mondo antico, storia del Medioevo, storia del mondo moderno, storia del mondo contemporaneo fino a storie universali.
Altro tipo assai significativo di storie sono quelle che hanno come scopo di delineare lo sviluppo dei modi di vita, delle culture, delle religioni, dell’organizzazione della società che nel loro insieme hanno costituito le diverse civiltà e che danno luogo a opere come storia della civiltà occidentale o storia della civiltà cinese.
Una grandissima importanza hanno anche le correnti spirituali e culturali e le forme di organizzazione politica e sociale. Da esse prendono origine le storie delle religioni, della filosofia, del pensiero politico, del diritto, della letteratura, delle arti, delle varie scienze, delle istituzioni e così via.
I grandi avvenimenti sono a loro volta, come si può ben comprendere, un oggetto di primaria importanza della ricerca storica. Si pensi a proposito alle storie, per esempio, della scoperta dell’America, della Riforma protestante, della Rivoluzione francese, della Prima guerra mondiale.
Esistono poi i filoni che hanno per oggetto la storia di entità come la famiglia, le classi sociali, i movimenti migratori da un continente all’altro. Un grande rilievo hanno anche le storie dell’economia, dell’industria, dell’agricoltura, delle tecniche.
L’interesse per l’ambiente naturale, soggetto a decisive trasformazioni in conseguenza dei cambiamenti determinati dall’attività umana nel corso dei secoli, ha alimentato indirizzi di ricerca che vanno da storie del paesaggio a storie del territorio.
Nella storiografia, poi, hanno sempre avuto una grande importanza le biografie, ossia la narrazione delle vite degli uomini che hanno lasciato una impronta decisiva o comunque significativa nel cammino dell’umanità.
Tutte le forme di società umane hanno prodotto una loro storiografia. Nel mondo occidentale la culla della storiografia è da collocarsi nella Grecia antica. Nel 5° secolo a.C. il primo grande storico occidentale, Erodoto di Alicarnasso, nelle sue Storie – integrando osservazioni e descrizioni dei luoghi e dei costumi e ponendo al centro il conflitto tra i Greci e i barbari Persiani – si propose di illustrare le cause degli avvenimenti trattati e di trasmetterne la memoria. In quello stesso secolo Tucidide, nelle Storie dedicate alle guerre del Peloponneso – opera considerata uno dei maggiori capolavori della storiografia di tutti i tempi –, intese sia spiegare le radici e gli aspetti politici e militari di quel conflitto sia darne una ricostruzione veritiera sia – e questo è un punto molto importante – far capire agli uomini presenti e futuri le ragioni di certi errori nella speranza che essi potessero trarne i dovuti insegnamenti.
L’ascesa di Roma a potenza dominante divenne oggetto della grande storiografia romana. Tra gli storici di Roma un posto eminente spetta nel 2° secolo a.C. al greco Polibio, il quale nella sua Storia narrò gli eventi che portarono alla sconfitta di Cartagine da parte dei Romani e alla conquista della Grecia. Tito Livio, vissuto tra il 59 a.C. e il 17 d.C., fu lo storico di Roma dalle origini fino ai primi anni dell’Impero e il celebratore delle virtù repubblicane. Dopo l’accentramento del potere nelle mani dei Cesari, la denuncia dei mali della tirannide e la nostalgia per la libertà perduta costituirono l’ispirazione di fondo delle Storie e degli Annali di Cornelio Tacito, la cui vita si svolse tra il 54 o 55 e il 120 circa d.C.
Il mondo antico diede anche i primi esempi memorabili del genere biografico. Il rappresentante più eminente di questo filone fu il greco Plutarco, il quale, vissuto tra il 46 circa e il 120 circa d.C., scrisse le Vite parallele, nelle quali si mettono a confronto le vite di grandi Greci con quelle di grandi Romani.
Se il Medioevo fu un’età durante la quale la storia fu vista come l’espressione della volontà di Dio e dei disegni della Provvidenza. L’età del Rinascimento (15° e 16° secolo) fa riscontrare invece un profondo cambiamento anzitutto nel modo di concepire il rapporto tra la religione e la vita terrena.
Considerando il Medioevo come un’epoca ‘buia’, gli umanisti – così detti per la loro riscoperta del valore della dimensione più propriamente umana della vita – guardarono con appassionato interesse agli esempi della cultura antica, considerati come modelli. Per loro occorreva porre alla base della conoscenza la centralità dell’uomo. Questo orientamento trovò suprema espressione nelle opere dei fiorentini Niccolò Machiavelli, vissuto tra il 1469 e il 1527, autore de Il principe, Discorsi sulla prima deca di Tito Livio, Istorie fiorentine – e di Francesco Guicciardini, che scrisse una Storia d’Italia a cavallo tra Quattrocento e Cinquecento: entrambi consideravano la storia umana come fonte non già di insegnamenti morali e religiosi, bensì di esperienze da analizzare per dotare l’uomo di migliori strumenti per orientare la propria esistenza alla luce di un disincantato realismo.
Nell’età dell’Illuminismo – che nel Settecento sviluppò una corrente culturale la quale si ispirava ai ‘lumi della ragione’ e non all’eredità del passato e alle sue tradizioni spesso costruite sui pregiudizi – un posto di primissimo piano spetta al francese Voltaire, che nel Saggio sui costumi e sullo spirito delle nazioni (1756) mostrò un acuto interesse per gli aspetti sociali, culturali ed economici della vita dei popoli, nella convinzione che il senso della storia fosse dato dal progresso umano verso forme via via più evolute.
Tra la fine del 18° e i primi decenni del 19° secolo si affermò la storiografia romantica, che attribuì grande importanza agli elementi non razionali e in primo luogo al sentimento e allo ‘spirito dei popoli’ (romanticismo). Gli storici romantici rivolsero una acuta attenzione alle origini delle nazioni e ai caratteri distintivi di ciascuna di esse, e quindi in particolare al Medioevo, quando le singole nazioni avevano incominciato ad assumere la loro fisionomia.
Il processo di industrializzazione, estesosi in Europa e nell’America Settentrionale nel corso del 19° secolo, fu accompagnato da acuti conflitti politici e sociali tra capitale e lavoro, vale a dire fra i proprietari delle fabbriche e gli operai. Questo conflitto influenzò profondamente la storiografia attirando l’attenzione sull’enorme importanza dell’economia e dei conflitti sociali nella storia. In particolare due pensatori tedeschi, Karl Marx e Friedrich Engels – i fondatori del comunismo moderno – elaborarono la teoria detta del materialismo storico, secondo il quale lo sviluppo dell’economia e le lotte di classe tra proprietari e non proprietari costituivano le cause principali delle trasformazioni storiche ed erano destinati a sfociare nella società comunista, senza classi e senza proprietà privata. Marx ed Engels ebbero una grande influenza sulla storiografia, anche su quelle tendenze che, senza aderire all’ideologia comunista, misero però in primo piano le ricerche sui rapporti tra politica, istituzioni e sviluppo materiale della società.
Tra la seconda metà del 19° e la prima metà del 20° secolo, in Europa, divennero assai forti correnti politiche e culturali che esaltavano il nazionalismo nel quadro delle lotte tra gli Stati per la supremazia. Degli studiosi nazionalisti un tipico esempio fu il tedesco Heinrich von Treitschke, il quale negli ultimi decenni dell’Ottocento celebrò l’ascesa della Prussia, che aveva unificato i territori della Germania, e la grandezza dello spirito tedesco.
In Italia, in seguito all’avvento di Benito Mussolini al potere nel 1922, il nazionalismo si unì strettamente al fascismo. Un rappresentante di primo piano della storiografia fascista fu Gioacchino Volpe, autore de L’Italia in cammino (1927), dove si indicava nel fascismo il ‘destino’ della nazione italiana. Nel periodo tra il 1933 e il 1945, durante il nazismo, in Germania gli storici del regime interpretarono la storia universale come una lotta fra le razze, destinata a concludersi con il trionfo della razza ariana, di cui i Tedeschi si consideravano gli alfieri.
Un indirizzo opposto, ma egualmente ispirato dall’ideologia politica, ebbe dopo il 1917 la storiografia nella Russia sovietica e negli altri paesi comunisti. Gli storici comunisti, che si ispiravano alle dottrine di Marx, consideravano la lotta del proletariato contro i capitalisti come il motore della storia e il trionfo del comunismo come il futuro di tutta l’umanità.
Contro nazionalfascisti, razzisti e marxisti prese posizione la storiografia liberale, che trovò uno dei suoi maggiori rappresentanti in Benedetto Croce, il quale nella Storia d’Italia dal 1871 al 1915 (1928) e nella Storia d’Europa nel secolo decimonono (1932) – fece l’elogio dei regimi liberali, che con le istituzioni parlamentari e il rispetto delle libertà politiche e civili assicuravano agli individui e ai vari gruppi sociali la possibilità di sviluppare le proprie energie spirituali e materiali.
In quello stesso periodo si sviluppò in Francia una scuola storiografica destinata ad avere una grande influenza, chiamata le Annales.
Ne furono i fondatori nel 1929 Marc Bloch e Lucien Febvre, la cui storiografia era tesa a studiare le ‘strutture’ economiche, sociali e culturali che – formatesi lentamente e destinate a una ‘lunga durata’ – davano la loro impronta profonda e facevano da base agli avvenimenti stessi nelle varie epoche.
Nel 20° secolo, dopo la Prima guerra mondiale, è comparsa una nuova forma di governo, che ha trovato la sua espressione nei regimi totalitari – così chiamati perché si erano posti lo scopo di stabilire delle dittature volte a dominare tutti gli aspetti della vita (totalitarismo). I regimi della Russia comunista, dell’Italia fascista e della Germania nazista, estremamente opprimenti e violenti, costituirono un evento senza precedenti nella storia. Cercare di capirne la natura, i tratti comuni ma anche le differenze tra di essi è diventato un compito assai importante per gli storici. All’analisi del fenomeno totalitario ha dato uno dei maggiori contributi la tedesca Hannah Arendt, autrice di Le origini del totalitarismo (1951). In Italia il primo storico del fascismo è stato Gaetano Salvemini, che pubblicò nel 1927 La dittatura fascista in Italia. Tra gli studiosi più recenti un grande rilievo ha avuto Renzo De Felice, che – autore anzitutto di un’amplissima biografia di Mussolini – ha sottolineato le differenze tra il regime fascista e quello nazista.