DELLE CHIAIE, Stefano
Nacque a Teano (Caserta) nel 1794 da Vincenzo e da Rosa Acuato. Compì i primi studi nella città natale, iscrivendosi successivamente, nel 1812, alla facoltà di medicina dell'università di Napoli, dove si legò in particolare all'anatomista F. Folinea (che lo volle suo preparatore per le lezioni private di anatomia) e al botanico V. Stellati, che aiutò nella conduzione e nella cura dell'orto botanico del reale collegio medico-chirurgico.
Laureatosi in medicina nel 1818, rimase a Napoli per dedicarsi, più che all'esercizio della professione medica, alla ricerca scientifica e alla carriera accademica. La prima occasione gli fu offerta dal suo ingresso, nel 1822, al Regio Istituto d'incoraggiamento alle scienze naturali. Questo istituto, sorto nel 1806 per volere di Giuseppe Bonaparte in sostituzione della Accademia delle scienze e delle belle lettere, creata nel 1778 da Ferdinando IV, aveva come scopo, secondo lo statuto approvato il 22 dic. 1807, "la fioridezza della nazione poggiata su le scienze utili".
Il D. divenne socio dell'Istituto nella fase di rilancio seguita al rientro dei Borboni a Napoli. Era allora presidente G. S. Poli, militare e uomo di scienza molto legato alla famiglia reale, che prese a proteggerlo e ad incoraggiarlo spingendolo verso gli studi di anatomia comparata e creandogli preziosi legami a corte. All'Istituto di incoraggiamento il D. sarebbe rimasto legato per tutto il resto della sua vita, collaborando, a partire dal terzo volume (1822), agli Atti del Regio Istituto d'incoraggiamento alle scienze di Napoli con numerose memorie originali e con la redazione di vari necrologi: dal 1834 fu anche bibliotecario dell'Istituto e poi, dal 1855 fino alla morte, segretario generale.
Su consiglio del Poli, il D. scrisse le Memorie sulla storia e notomia degli animali senza vertebre del Regno di Napoli (Napoli 1823-30), opera di grande impegno e notevole mole, che lo rese noto anche a livello internazionale per l'ampia trattazione dedicata agli invertebrati marini. Il maggior contributo dato con quest'opera dal D. resta la scoperta del sistema lacunare composto, soprattutto negli Echinodermi, da un tessuto lacunare che comprende piccole cavità e canalicoli nei quali scorre un liquido acquoso. Il D. lo chiamò "sistema acquoso" o ("apparato idropneumatico", dandone una accurata descrizione: "trovasi questo sistema tra la pelle e i visceri addominali costituente particolari canali e lacune che si aprono in vari modi all'esterno o mercè forami situati preso l'intestino retto ... o sotto la superficie del piede o mediante numerose aperture allogate nel perimetro del piede ... o in grazia di numerosa serie di forami esistente ai lati della teca di mezze vertebre ... intorno al collo del piede ... oppure in tutta la superficie del corpo ... o finalmente per mezzo di un cunicolo dentro l'addome o ramificato o aperto in ambedue gli estremi mercè varie vescichette" (II, p. 27).
Il primo annuncio della scoperta era stato dato dal D. in una seduta pubblica dell'Istituto d'incoraggiamento nel 1822 e, nello stesso anno, vari giornali francesi e tedeschi ne dettero un breve resoconto. La scoperta fu subito confermata da K. von Bacr, che il 15 maggio 1827 scriveva al D. "la vostra scoperta del sistema dei vasi acquosi ne' Gasteropodi [sic!]è stata da me verificata pure ne' conchiferi" (Pareridi dotti stranieri sulle opere di S. D., opuscolosenza luogo né data, conservato presso la Bibl. naz. di Napoli nella Miscellanea 153 C/10, p. 18. Questo opuscolo riporta altri brani della corrispondenza del D. con scienziati stranieri che si suppone persa nel corso di un incendio che, secondo quanto riferisce G. Nicolucci, distrusse gran parte delle lettere e della biblioteca personale del Delle Chiaie).
I dati più specificamente anatomici emersi nel corso delle ricerche preparatorie alle Memorie furono da lui pubblicati nel Sunto anatomico di alcuni animali invertebrati nudi e testacei delle Due Sicilie, Napoli 1824. Nel frattempo, morto nel 1822 D. Cotugno, fu chiamato a succedergli sulla cattedra di anatomia e come direttore nel Museo di anatomia patologica F. Folinea, il quale nominò il D. ordinatore e conservatore dello stesso Museo. Ma proprio quando l'ingresso in questa istituzione lo spingeva ad occuparsi più attivamente di anatomia, il D. si volse alla botanica, pubblicando la Iconografia ed uso delle piante medicinali o sia Trattato di farmacologia vegetabile (Napoli 1824), progettando e realizzando, benché solo in minima parte, la Hydrophytologiae Regni Neapolitani technicae descriptiones et icones pictae (ibid. 1829), che doveva abbracciare tutte le specie di "idrofiti" del golfo di Napoli e che fu invece interrotta alle prime cento. Le ricerche in questo settore lo misero comunque in grado di dare alle stampe un'opera originale e documentata sui Talassiofiti medicinali della idrofitologia napoletana (ibid. 1831). I suoi maggiori contributi alla botanica sono comunque consegnati alla Flora medica ossia descrizione e figure colorite delle piante più usate nella farmacopea napoletana (ibid. 1831).
L'opera è divisa in tre volumi, il primo dei quali, dedicato al maestro ed amico V. Stellati, si apre con "un sunto di storia della Materia medica precipuamente patria" nel quale vengono ricordati in particolare i contributi di D. Cirillo, F. Cavolini, V. Petagna e M. Tenore ed elencati e descritti gli orti botanici pubblici e privati di Napoli. La materia è divisa in tre classi: eccitanti, antieccitanti e irritanti. Le droghe medicamentose elencate sono centottanta, classificate secondo il metodo linneano integrato da A. L. Jussieu. L'opera non aggiunge nulla di originale a quanto già acquisito dalla migliore tradizione botanica napoletana e risulta per di più appesantita dalla enumerazione dei nomi latini, italiani e dialettali, con richiamo ad eventuali adulterazioni riscontrabili soprattutto nelle droghe esotiche, e da un eccessivo ricorso a riferimenti storici. curiosi ed eruditi.
Al D. essa valse, comunque, assieme all'Enchiridio di tossicologia teorico pratica (Napoli 1831), la nomina, con motu proprio di Ferdinando Il nel 1831, a professore di materia medica e botanica dimostrativa presso il real collegio medico cerusico di Napoli, che si aggiungeva a quella, ottenuta nello stesso anno, di professore aggiunto alla cattedra di anatomia patologica della università. L'Enchiridio costituisce uno dei primi tentativi italiani di tossicologia. Esso dipende però in gran parte dall'opera di M. G. B. Orfila ed F. E. Foderé. In esso si trovano elencati in ordine alfabetico i principali veleni noti all'epoca. Di ogni sostanza minerale, vegetale o animale sono descritti i caratteri fisico-chimici, l'azione tossica sui diversi organi, i sintomi dell'avvelenamento provocato, il relativo esame necroscopico e gli interventi terapeutici più efficaci. Particolarmente interessanti sono le osservazioni relative agli avvelenamenti da molluschi marini, pesci velenosi e funghi per le quali il D. attingeva in parte alla letteratura nostrana e in parte a conoscenze e casistiche personali. L'opera, che ha soprattutto una finalità didattica, è completata da una tavola sinottica che elenca tutte le forme note di avvelenamento con i relativi antidoti e da un atlante di quaranta tavole relative ad un certo numero di piante velenose e funghi.
Nel frattempo circostanze impreviste riportarono il D. agli studi di anatomia comparata. Nel 1825 era infatti venuto a mancare il Poli, che aveva disposto, nel testamento, la prosecuzione, da parte del D., dell'opera, già in gran parte compiuta, Testacea Utriusque Siciliae eorumque historia et anatome tabulis aeneis illustrata. Nonostante le difficoltà frapposte dal nipote ed erede del defunto, il D. riuscì a completare i tre volumi dell'opera, che vide la luce a Parma per i tipi del Bodoni nel 1826. All'amico scomparso egli dedicò anche un commosso necrologio (De vita praestantissimi equitis J. X. Poli, Neapoli 1826). Contemporaneamente dava alle stampe un volume sulla Elmintografia umana, ossia trattato intorno agli Entozoi ed a' morbi verminosi (ibid. 1825), opera in gran parte compilativa e ispirata da finalità didattiche che ebbe però, tra le sue altre, la maggior fortuna editoriale, giungendo ad avere cinque edizioni entro il 1856.
Il trattato è diviso in tre parti: la prima contiene la classificazione e la descrizione anatomica dei vermi, la seconda affronta il problema della generazione dei vermi, ne elenca le caratteristiche e ne studia la fisiologia; la terza parte infine è dedicata alla patologia, alla clinica e alla terapia. L'opera dipende in gran parte dai lavori di C. A. Rudolphi, ritenuto all'epoca il più autorevole elmintologo, ma contiene risultati di ricerche originali sull'anatomia dell'ascaride lombricoide, della filaria medinense, di vari vermi Cestoidi e, in particolare, del botriocefalo largo e della tenia solitaria, dei quali il D. aveva anche effettuato eccellenti preparazioni richieste da B. Panizza per il Museo anatomico dell'università di Pavia. Rifacendosi ad alcune frasi di J. B. Lamarck, per altro stralciate dall'originale contesto trasformistico (che orecchia senza realmente penetrare), il D. sostiene e giustifica l'ipotesi della generazione spontanea dei vermi in base al principio secondo il quale "gli animali ed i vegetabili perfetti hanno origine da sessuale generazione, ma i più semplici possono spontaneamente nascere ed una volta apparsi col perfezionamento produrre esseri più complicati" (4 ed., ibid. 1844, p. 51). In sostanza il D. ritiene che quando per cause esterne (irritazione) viene attaccato qualche tessuto, ne risente tutto l'organismo la cui generale reazione crea, nel punto attaccato, le condizioni che favoriscono l'origine spontanea dei vermi sicché "egli è giuoco forza credere gli entozoi immediato prodotto della linfa plastica quando la macchina animale tenda alla pseudomorfosi" (p. 59). L'opera si chiude con un lungo elenco di vermicidi classificati come aromatici, fetidi, amari, acidi e specifici.
Di carattere essenzialmente didattico sono anche le Istituzioni di anatomia comparata scritte per servire di introduzione e di base al corso di studi medici (ibid. 1836), che raccolgono, opportunamente ordinate e arricchite da richiami e riferimenti storici, le principali e più utili notizie sulla struttura degli animali invertebrati e vertebrati e si prefiggono, in un'ottica vagamente lamarckiana, di fornire' una introduzione storico-evolutiva alla anatomia e alla fisiologia umane.
Se si escludono le Osservazioni anatomiche su l'occhio umano (ibid. 1838), opera modesta, come lo stesso D. ammetteva, ma che tuttavia non merita l'assoluto silenzio che su di essa mantengono gli storici dell'oculistica, non foss'altro per le accurate indagini sul canale di Petit con le quali il D. conferma, contro quanti ne avevano addirittura negato l'esistenza, la scoperta di F.-P. du Petit, del quale perfeziona inoltre la tecnica d'indagine con l'uso di iniezioni di mercurio, i lavori successivi del D., tutti dedicati all'anatomia umana, normale e patologica, e all'anatomia comparata, segnano un deciso salto di qualità e vanno ad indagare organi e fenomeni di grande interesse. Tali sono ad esempio le Anatomiche disamine sulle torpedini (in Atti del R. Ist. d'incoraggiamento, VI[1839], pp. 291-308) e la Descrizione, anatomia e potere elettrico del Gimnoto della Real Casa (in Rendiconti della R. Acc. delle scienze, VII[1848], pp. 208-32), nelle quali precisò l'anatomia degli organi elettrici di questi animali.
Con altre ricerche il D. accertò l'esistenza delle "ghiandole renali" in Anfibi e Pesci (Sull'esistenza delle glandule renaline' batraci e ne' pesci e figura di quelle del feto umano, in Atti del R. Ist. d'incoraggiamento, VI[1839], pp. 173-94), e del sistema sanguigno nei Rettili (Monografia sul sistema sanguigno degli animali rettili, Napoli 1847) e precisò l'anatomia del sistema nervoso dei Cefalopodi (Descrizione del sistema nervoso dei molluschi cefalopodi, in Rend. della R. Acc. delle scienze, I[1842], pp. 261 -66). La grande opera degli ultimi anni del D. resta la Descrizione e notomia degli animali invertebrati della Sicilia citeriore (Napoli 1841-1844), edita purtroppo in pochi esemplari e divenuta una rarità bibliografica già vivente l'autore. Con i sette volumi (dei quali due di tavole) di quest'opera, il D. tornava a rimaneggiare, alla luce dell'esperienza maturata e delle conoscenze acquisite nel frattempo, i materiali delle Memorie del 1823, e in particolare illustrava molto più ampiamente le caratteristiche che il sistema lacunare da lui scoperto assume nelle varie classi animali. Si giovò delle lezioni tenute all'università di Napoli, dove, secondo una notizia riferita da F. S. Moriticelli (e raccolta nella Storia della università di Napoli, 1924, p. 543) il D. avrebbe insegnato "parte della zootomia" affiancandosi probabilmente a L. Laruccia e a E. Cerulli, titolari successivamente della cattedra di zoologia generale tra il 1849 e il 1860.
Le sue varie memorie di anatomia patologica furono raccolte sotto il titolo di Miscellanea anatomico-patologica (Napoli 1848, 2 Voll.): tra esse si segnalano una rassegna della raccolta teratologica del Museo di anatomia patologica dell'università di Napoli, l'illustrazione di un caso di ermafroditismo, una memoria su una eccezionale ipertrofia dell'esofago umano e il caso di una bambina rinocefala e monocola.
Gli ultimi anni della vita scientifica del D. furono spesi ad ordinare, illustrare e pubblicare i manoscritti inediti di F. Cavolini. Questi era morto nel 1810 a soli 54 anni, lasciando una grande quantità di note e di appunti; l'Accademia delle scienze di Napoli, della quale era stato socio ordinario, ne aveva affidato la revisione e la pubblicazione ad una commissione appositamente costituita. Dopo nove anni di lavoro, la commissione aveva però dato alle stampe solo l'Appendice sulla generazione de' pesci cartilaginosi ossiano amfibi respiranti per mezzo delle branchie al modo dei pesci spinosi (ibid. 1819), sicché, dopo varie insistenze, il D. riuscì ad ottenere i restanti manoscritti, che pubblicò infine col titolo Memorie postume sceverate dalle schede autografe di Filippo Cavolini per cura ed a spese di Stefano delle Chiaie, Benevento 1853.
Il libro, che contiene alcuni importanti lavori del Cavolini, come la Quarta ed ultima memoria sulla generazione de' pesci e de'granchi e la Dissertazione sugli animali molluschi del cratere napolitano, èpreceduto da una "preliminare dissertazione" sulla vita e le opere del Cavolini e si chiude con un "comentario" nel quale vengono elencati i contributi e le scoperte originali dello scomparso naturalista.
Dopo questa fatica la salute del D. cominciò ad essere compromessa: soffrì, a partire dal 1854, di forti disturbi epatici e si spense lentamente a causa di una paralisi progressiva. Morì a Napoli il 22 luglio 1860 e fu sepolto nella chiesa barocca di S. Maria Maggiore o della Pietrasanta ai Tribunali.
Uomo di facile eloquio e lavoratore infaticabile, e abile nel procurarsi consensi e aiuti, il D. ebbe in vita maggiore notorietà di quanto effettivamente meritasse. Fu spinto dalla propria curiosità e dalle sollecitazioni, che volta a volta gli venivano da niaestri e mecenati, ad occuparsi degli argomenti più vari. Molti suoi scritti conservano così un carattere occasionale o denunciano uno scarso approfondimento. Fu però buon divulgatore e didatta (ebbe tra gli allievi S. Tommasi) e la tendenza all'erudizione storica, che egli soddifece non solo con una serie di memorie dedicate alla storia della medicina, ma anche appesantendo di notizie talora superflue i suoi trattati scientifici, non gli impedì di portare contributi significativi soprattutto alla zoologia (scoprì anche sei specie di Oloturie, una specie di sanguisuga medicinale, che chiamò Hirudo sebetia, e distinse il sifunculoide scoperto da Linneo in Siphunculus nudus e Siphunculus saccatus) e alla botanica (scoprì una nuova specie di ciclamino che chiamò Cyclamen Poli in onore del Poli).
Dalla moglie Rachele De Ruggiero ebbe due figli: Vincenzo che curò l'edizione di molte sue opere, e Pasquale.
Fonti e Bibl.: La bibl. completa delle opere del D. si trova in G. Nicolussi, Sulla vita e sulle opere di S. D., in Memorie di matematica e di fisica della Società italiana delle scienze, III (1879), pp. 123-39;D. Minichini, Elogio storico di S. D., s.l. né d.; M. Tesiore, Saggio sullo stato della botanica in Italia al cadere dell'anno 1831, in IlProgresso delle scienze, lettere ed arti, n. s., I (1832), 1, pp. 29-69, 199-211; G. Terrone, Trattato di materia medica, Napoli 1843, pp. 27, 90, 271, 292;G. Orosi, Farmacologia teorico-pratica, Livorno 1849, passim; E. Pritzel, Thesaurus literaturae botanicae, Lipsiae 1872, pp. 59, 79; A. Della Valle, La scuola zoologica napoletana, Napoli 1883;P.A. Saccardo, La botanica in Italia, Venezia 1895, I, p.63; Enciclop. popolare illustrata, Roma 1887, VII, pp.68-92 ss.; S. Monticelli, La scuola zoologica napol., in Giorn. intern. delle scienze mediche, XXII (1900), p. 12;Id., Notizie sull'origine e sulle vicende del Museo zoologico della regia università di Napoli, in Annali del Museo zoologico dell'università di Napoli, I (1906), 2, pp. 20-32;E. O. Mastroianni, IlReale Istituto d'incoraggiamento di Napoli MDCCCVI-MCMVI, Napoli 1907, pp. 119-22, 158, 175 s., 217; F. Balsamo, Botanici e botanofili napol., in Boll. dell'Orto bot. della regia univ. di Napoli, III (1911), pp.58 ss.; A. Lauri, Cittadini notevoli di Terra del Lavoro, Sora 1915, sub voce; Storia della università di Napoli, Napoli 1924, pp. 515-543; A. Benedicenti, Malati medici farmacisti, Milano 1925, I, p. 69;A. Pazzini, Storia della medicina, Milano 1947, II, p. 79;L. Stroppiana, S. D., in Rivista di parassitologia, XVII (1956), 1, pp. 1-5;N. Abbagnano, Storia della scienza, Torino 1962, III, 1, p. 342;A. Russo, S. D. (1794-1860) naturalista, farmacologo tossicologo dell'800, Napoli 1967;A. Pazzini, Storia dell'arte sanitaria, Roma 1974, pp.988, 1246;A. Hirsch, Biogr. Lex. der hervorrag. Arzte, II, pp. 214 s.; Enciclopedia Italiana, XII, p. 560.