Abstract
È esaminata la nozione e gli effetti impositivi della stabile organizzazione la quale assume rilievo nell’ordinamento tributario sotto il profilo dell’efficacia della norma nello spazio ed, in particolare, ai fini della localizzazione della ricchezza imponibile nei rapporti tra più Stati, soprattutto per i redditi di impresa e per i redditi di capitale, in quanto concorre all’individuazione dello Stato in cui deve ritenersi integrato il presupposto impositivo.
La stabile organizzazione è un istituto datato di origine convenzionale che ha ricevuto una disciplina compiuta nell’ordinamento interno solo a seguito delle modifiche apportate dal d.l. 12.12.2003, n. 344 all’art. 162 d.P.R. 22.12.1986, n. 917 (d’ora innanzi TUIR), nonostante l’ampio utilizzo a partire dal Testo Unico delle Imposte sui Redditi del 1958.
Esso determina effetti significativi nel settore della localizzazione territoriale della ricchezza imponibile nei rapporti tra più Stati in quanto è espressione di un criterio soggettivo di collegamento del soggetto estero con l’ordinamento del Paese ove è esercitata una determinata attività o sono compiuti uno o più atti rilevanti sul piano impositivo e, pertanto, concorre in misura decisiva ad individuare lo Stato in cui deve ritenersi integrato il presupposto del tributo. Detta esigenza sistematica riguarda indifferentemente sia le imposte sui redditi (inclusa l’IRAP), che le imposte sui consumi, e per tale ragione si giustifica la consolidata importanza della stabile organizzazione per le categorie reddituali che frequentemente determinano rapporti e relazioni tra più Stati (principalmente il reddito di impresa – in quanto la presenza di una stabile organizzazione determina il luogo di svolgimento dell’attività commerciale ed individua le modalità ed il collegamento funzionale del soggetto estero con quel Paese – ma anche i redditi di capitale) nonché per l’IVA in ragione della essenzialità del requisito territoriale nella struttura della fattispecie impositiva.
In estrema sintesi, è ragionevole precisare che tale criterio soggettivo di collegamento impone di tassare la ricchezza prodotta in un qualsiasi Stato, a seguito dell’esercizio di un’attività oppure del compimento di uno o più atti, in modo autonomo da quella conseguita all’estero (cfr. Fantozzi, A., La stabile organizzazione, in Riv. dir. trib., 2013, I, 97; Gallo, F., Contributo all’elaborazione del concetto di “stabile organizzazione” secondo il diritto interno, in Riv. dir. fin., 1985, I, 387) e, pertanto, è necessario individuare gli elementi essenziali della nozione di stabile organizzazione al fine di chiarire soprattutto come essa vincola in concreto l’individuazione e la determinazione della ricchezza imponibile a seguito dell’esercizio di un’attività d’impresa all’estero.
Gli studi condotti a partire dagli anni Venti del secolo scorso, dalla Società delle Nazioni prima ed, in un secondo momento, dall’OCSE, hanno consentito di elaborare progressivamente una nozione di stabile organizzazione che ormai, nel suo nucleo essenziale, è recepita dalla quasi totalità delle convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni.
Attualmente, l’art. 5, par. 2, del Modello OCSE di Convenzione contro le doppie imposizioni (d’ora innanzi Modello OCSE) definisce la stabile organizzazione come la «sede fissa d’affari» (place of business) «tramite la quale un’impresa esercita in tutto o in parte la sua attività» e chiarisce altresì, con la tecnica delle esemplificazioni, che la stabile organizzazione non è un soggetto distinto ed autonomo dall’impresa madre ma una sede che costituisce una sua parte integrante e della quale si avvale all’estero per lo svolgimento della propria attività. In base al successivo par. 5, inoltre, la stabile organizzazione può rinvenirsi anche in presenza di un agente dipendente che agisce in nome e per conto dell’impresa madre ed abitualmente esercita il potere di stipulare contratti in suo nome.
Si distinguono così tradizionalmente la “stabile organizzazione materiale” – intesa come sede fissa di affari – dalla “stabile organizzazione personale” ovvero la struttura permanente che opera nel territorio dello Stato in nome dell’impresa estera concludendo contratti diversi da quelli di acquisto di beni, salvo il caso del mandatario senza rappresentanza o dell’agente indipendente che opera nell’ambito dei propri affari, i quali non costituiscono mai una stabile organizzazione trattandosi di soggetti distinti ed autonomi dall’impresa madre (art. 5, par. 5 e 6, del Modello OCSE). Inoltre, entrambe le figure di stabile organizzazione possono essere ravvisate anche nel caso della società controllata (cd. affiliated company), ancorché dotata di personalità giuridica, in quanto tale conclusione si desume generalmente dalla lettura a contrario della cosiddetta anti-single entity clause, di cui all’art. 5, par. 7, del Modello OCSE, ove è previsto che l’esistenza di una società sussidiaria non costituisce di per sé una stabile organizzazione della controllante (in tal senso si vedano anche le precisazioni recate ai punti 40 e 41 del commento all’art. 5 del Commentario al Modello OCSE).
In coerenza con le indicazioni della legge delega 7.4.2003, n. 80, nell’ordinamento interno la definizione di stabile organizzazione codificata dal d.l. n. 344/2003 all’art. 162 TUIR si ispira al concetto di place of business di cui all’art. 5 del Modello OCSE e ai «criteri desumibili dagli accordi internazionali contro le doppie imposizioni» già utilizzati nel passato dall’A.F. (per conferma, si veda Circ. Min., 3.4.1977, n. 7/1496; Ris. Min., 1.2.1983, n. 9/2398, in Dir. e prat. trib., 1983, I, 514). Da tale impostazione derivano le inevitabili differenze rispetto alle singole nozioni convenzionali ed il rilievo che assume il Commentario al Modello OCSE ai fini interpretativi (in questa prospettiva si veda il documento pubblicato dall’OCSE, Interpretation and application of article 5 (permanent establishment) of the OECD Model Tax Convention, del 12 ottobre 2011).
In una visione interna, occorre anzitutto distinguere l’“organizzazione in forma d’impresa” di cui all’art. 55 TUIR dalla stabile organizzazione in quanto quest’ultima richiede un quid pluris dato dallo stretto radicamento sul territorio nazionale che è spesso enunciato con la formula della strumentalità attiva volta alla produzione duratura del reddito attraverso il modello organizzativo in esame (sul punto si veda Fantozzi, A., La stabile organizzazione, cit., 101).
Analogamente a quanto previsto dal diritto convenzionale, anche la nozione “interna” si fonda sulla distinzione tra la “stabile organizzazione materiale” e quella “personale”, ove quest’ultima è tradizionalmente caratterizzata dall’assenza di un fixed place of business. Infatti, il comma 1 dell’art. 162 individua la «sede fissa di affari per mezzo della quale l’impresa non residente esercita, in tutto o in parte, la sua attività sul territorio dello Stato» (ovvero la “stabile organizzazione materiale”) mentre i commi successivi, in aderenza ai criteri convenzionali, specificano tale concetto con significative esemplificazioni in positivo (le cosiddette positive lists di cui ai commi 2, 3 e 7) oppure precisando i casi in cui non è possibile ravvisarla (le negative lists di cui commi 4, 5, 7, 8 e 9) anche a causa dello svolgimento di attività aventi “carattere preparatorio od ausiliario” (sul punto si veda Gaffuri, A.M., Le ipotesi negative di stabile organizzazione. Spunti problematici e sviluppi interpretativi, in Dir. e prat. trib., 2015, I, 206).
Ad esempio, si considera stabile organizzazione la sede di direzione (o place of management), la succursale (o branch), l’ufficio, l’officina, il laboratorio oppure la miniera, il giacimento petrolifero o di gas naturale, la cava o un altro luogo di estrazione di risorse naturali nonché il cantiere di costruzione, montaggio o installazione se di durata superiore ai tre mesi. Invece, non è considerata stabile organizzazione la sede fissa di affari se è utilizzata ai soli fini di esposizione o di consegna di beni o di merci dell’impresa ovvero se i beni e le merci dell’impresa sono immagazzinate ai soli fini di deposito; esposizione, consegna o trasformazione da parte di un’altra impresa, se è utilizzata al solo fine di acquistare beni o merci, di raccogliere informazioni per l’impresa; la disponibilità a qualsiasi titolo di elaboratori elettronici ed i relativi impianti ausiliari che consentono la trasmissione di dati ed informazioni finalizzate alla vendita di beni e servizi (il cd. commercio elettronico) o, più in generale lo svolgimento di qualsiasi altra attività di natura preparatoria o ausiliaria oppure di più attività di tale natura combinate tra loro.
Infine, con formula residuale ispirata alle ccdd. affiliated companies del Modello OCSE, il comma 9 dell’art. 162 chiarisce che il semplice fatto che un’impresa non residente (con o senza stabile organizzazione nel territorio dello Stato) controlli un’impresa residente, ne sia controllata o entrambe le imprese siano controllate da un soggetto terzo che esercita o meno l’attività d’impresa, non è, di per sé, motivo sufficiente per considerare una qualsiasi di queste imprese stabile organizzazione dell’altra (per una visione unitaria del rilievo dei rapporti di collegamento ed infragruppo rispetto alla revisione del Modello OCSE, si veda Fantozzi, A., op. cit., 107). Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che la personalità giuridica delle società operanti nel territorio non costituisce un elemento impeditivo della qualifica di stabile organizzazione del soggetto non residente qualora ricorrano gli elementi sintomatici che consentono di ricondurre il suo operato ai poteri decisionali ed all’assetto organizzativo della casa-madre e di ravvisare la cd. stabile organizzazione “occulta” (in tal senso, per tutte, si veda la nota pronuncia della Corte di Cassazione sul caso Philip Morris, 25.5.2002, n. 7682, in Boll. trib., 2003, 544). In estrema sintesi, dunque, un elemento essenziale del riconoscimento della stabile organizzazione è lo svolgimento dell’attività d’impresa sul territorio dello Stato riconducibile al soggetto non residente sotto la sua direzione, controllo e nell’ambito di una strategia unitaria.
Tra le fattispecie di “stabile organizzazione personale” (disciplinata dai commi da 6 a 8) un rilievo particolare è riconosciuto all’esercizio di un’attività abituale nel territorio dello Stato per conto dell’impresa non residente a mezzo di rappresentanti (cfr. Cass., 7.3.2002, n. 3367, in Boll. trib., 2002, 785) (corrispondente all’agent clause di cui all’art. 5 del Modello OCSE) in quanto mentre il comma 7 la esclude nel caso in cui l’impresa non residente eserciti la propria attività a mezzo di un mediatore, di un commissionario generale o di ogni altro intermediario che gode di uno status indipendente (alla condizione che dette persone agiscano nell’ambito della loro attività ordinaria), e che operano secondo gli schemi della rappresentanza indiretta «nell’ambito della loro ordinaria attività», il comma 6 prevede che costituisce una stabile organizzazione lo svolgimento abituale nel territorio dello Stato dell’attività di conclusione dei contratti diversi da quelli di acquisto di beni in nome del soggetto non residente.
La particolare importanza dell’istituto in esame per i redditi dell’impresa (anche individuale) è dovuta al fatto che la localizzazione della ricchezza imponibile determina conseguentemente anche l’individuazione del soggetto passivo. Infatti, il principio generale delle convenzioni contro le doppie imposizioni che impone la tassazione delle imprese nello Stato di residenza per tutti i redditi prodotti (in coerenza con l’art. 7 del Modello OCSE) è integrato con il cd. criterio della fonte talché i redditi prodotti dalla stabile organizzazione situata in un altro Stato non sono tassati nel Paese di residenza bensì in quello di provenienza. Su queste basi si fonda la tesi prevalente in dottrina volta a sottolineare che la stabile organizzazione non può essere considerata un autonomo centro di imputazione di situazioni giuridiche sostanziali bensì una fattispecie che origina effetti impositivi nei confronti del soggetto non residente senza determinare uno sdoppiamento della personalità oppure l’acquisto di un’autonoma soggettività fiscale non essendo un autonomo soggetto di diritto tributario (in tal senso, per tutti, si veda Fantozzi, A., op. cit., 100).
Tale conclusione consente di specificare che la stabile organizzazione è un criterio soggettivo di collegamento idoneo ad applicare il tributo nei confronti del non residente che opera sul territorio nazionale con una struttura stabile e funzionale allo svolgimento di un’attività fiscalmente rilevante – sia nei confronti dei terzi, che nei rapporti con la casa madre – distinta ed autonoma da quella svolta all’estero mentre la sua rilevanza quale centro di imputazione è da limitare alle situazioni giuridiche relative alla determinazione del reddito ed all’accertamento (in primo luogo, gli obblighi contabili e di dichiarazione tipici delle imprese residenti) (cfr. Fantozzi, A.-Manganelli, A., Qualificazione e determinazione dei redditi prodotti da imprese estere in Italia: applicabilità della normativa sui prezzi di trasferimento nei rapporti tra stabile organizzazione e casa madre, in AA. VV., Studi in onore di V. Uckmar, Padova, 1997, I, 401; Fransoni, G., La determinazione del reddito delle stabili organizzazioni, in Rass. trib., 2005, 73).
A conclusioni opposte, invece, sembra pervenire un orientamento della giurisprudenza di legittimità che ravvisa il carattere “autonomo” della stabile organizzazione, considerato il presupposto logico-giuridico per il riconoscimento di una propria soggettività passiva d’imposta (cfr. Cass., 22.7.2011, n. 16106, in Boll. trib., 2011, 1558; in dottrina sul punto cfr. Boria, P., L’individuazione della stabile organizzazione, in Riv. dir. trib., 2014, I, 6).
La relazione giuridica tra la stabile organizzazione e l’imputazione del reddito dovuto all’attività esercitata nel territorio dello Stato è generalmente sintetizzata con il principio della “forza di attrazione” (per conferma, tra i tanti, cfr. Lovisolo, A., La forza di attrazione e la determinazione del reddito della stabile organizzazione, in Marino, G., a cura di, I profili internazionali e comunitari della nuova imposta sui redditi delle società, Milano, 2004, 77). Secondo una parte della dottrina esso non avrebbe mai trovato riconoscimento nel TUIR ma, in senso opposto, si è ritenuto che fosse enunciato agli artt. 151, co. 2, e 152, co. 1, nella versione precedente alle modifiche apportate dal recente art. 7 del d.lgs. 14.9.2015, n. 147 (su cui si veda Della Valle, E., La nuova disciplina della stabile organizzazione “interna”, in Fisco, 2015, 1, 3841).
Infatti, nel passato tali disposizioni prevedevano l’attrazione al reddito d’impresa prodotto nel territorio dello Stato dai soggetti non residenti di qualsiasi altro provento appartenente alle altre categorie reddituali (art. 151, co. 2, TUIR) ovvero l’attrazione anche dei redditi non riconducibili all’attività della stabile organizzazione (art. 152, co. 1, TUIR). Invece, nella nuova formulazione dell’art. 151, co. 2, e dell’art. 152, co. 1, i riferimenti al principio della forza attrattiva della stabile organizzazione sono stati soppressi in quanto è stato ritenuto in contrasto con l’art. 7 del Modello OCSE (sul punto cfr. la Relazione illustrativa al d.lgs. 14.9.2015, n. 147).
Il richiamato art. 7 del Modello OCSE costituisce la base giuridica di riferimento anche per i criteri ai fini della determinazione del reddito d’impresa della stabile organizzazione; essi si fondano sul cosiddetto “functionally separate entity approach” (o “metodo dell’impresa indipendente”), con la conseguenza che la stabile organizzazione deve essere trattata ai fini impositivi come un’impresa autonoma dalla casa madre sulla base del principio (e dei vincoli) dell’arm’s length principle (sul punto si veda Tundo, F., Stabile organizzazione personale e determinazione del reddito secondo le recenti direttive OCSE, in Rass. trib., 2011, 305). Infatti, il nuovo testo dell’art. 152 del TUIR dispone che il reddito prodotto dalla stabile organizzazione è determinato in base agli utili e alle perdite «ad essa riferibili» sulla base di un «apposito rendiconto economico e patrimoniale» da redigersi «secondo i principi contabili previsti per i soggetti residenti aventi le medesime caratteristiche».
Al “metodo dell’impresa indipendente”, peraltro, sembra rispondere anche l’art. 5, co. 3, del d.P.R. 29.9.1973, n. 600, che impone alle società e agli enti non residenti soggetti all’IRES la conservazione del bilancio relativo alle attività commerciali eventualmente esercitate nel territorio dello Stato mediante una stabile organizzazione, nonché l’art. 14, co. 5, ove è previsto l’obbligo di «rilevare nella contabilità distintamente i fatti di gestione che interessano le stabili organizzazioni, determinando separatamente i risultati dell’esercizio relativi a ciascuna di esse». In forza di tale norma, infatti, la giurisprudenza ha elaborato il principio che i redditi della stabile organizzazione devono essere determinati sulla base delle scritture contabili e, dunque, attraverso l’imputazione dei costi e dei ricavi relativi all’attività esercitata salvo l’impossibilità di applicazione del metodo analitico (in tal senso si veda Cass., 23.5.2002, n. 7554, in Dir. e prat. trib., 2003, II, 565).
Da ultimo, non è superfluo segnalare l’ulteriore importante novità recata dal d.lgs. n. 147/2015 nell’ambito del novellato art. 152 TUIR ovvero la previsione di un “fondo di dotazione” della stabile organizzazione adeguato alle attività esercitate ed ai rischi assunti. Si tratta di una specificazione normativa che ha il pregio di recepire le indicazioni dell’A.F. (cfr. Ris. Ag. entrate, 30.3.2006, n. 44), della giurisprudenza e della dottrina al punto che le doverose precisazioni saranno stabilite, «in piena conformità ai criteri definiti in sede OCSE», con uno o più decreti del Direttore dell’Agenzia delle Entrate, il primo dei quali da emanarsi comunque entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della norma.
Anche nel sistema dell’IVA la stabile organizzazione assume rilevanza quale nesso di collegamento di un soggetto estero, appartenente alla Comunità europea, con il territorio dello Stato. Com’è noto, infatti, il requisito della territorialità integra il presupposto del tributo ed impone che l’operazione sia effettuata nel territorio dello Stato italiano al punto che il principio generale è integrato con un complesso sistema di criteri di collegamento territoriale oggetto di una profonda rivisitazione a partire dal d.lgs. 11.2.2010, n. 18 in adeguamento alla dir. 12.2.2008, n. 2008/8/CE. Per questa ragione assumono rilievo le regole dettate dagli artt. da 7 a 7-septies del d.P.R. 26.9.1972, n. 633, le quali individuano una pluralità di criteri in funzione della natura dell’operazione e che muovono dalla nozione di territorio dello Stato di cui all’art. 7 individuato nel «territorio della Repubblica italiana, con esclusione dei comuni di Livigno e Campione d’Italia e delle acque italiane del Lago di Lugano».
In questa sede è sufficiente richiamare i principi generali dettati dall’art. 7 d.P.R. n. 633/1972 ed, in particolare, la regola di cui al comma 1, lett. d), ove è disposto che per soggetto passivo “stabilito” nel territorio dello Stato si intende «un soggetto passivo domiciliato nel territorio dello Stato o ivi residente che non abbia stabilito il domicilio all’estero» nonché «una stabile organizzazione nel territorio dello Stato di un soggetto domiciliato e residente all’estero, limitatamente alle operazioni da esse rese o ricevute». Invece, quanto ai criteri di collegamento per le prestazioni di servizi rilevanti nel sistema IVA, profonde novità sono intervenute con il richiamato d.lgs. n. 18/2010 in quanto è stato generalizzato il principio della soggezione al tributo nel luogo di stabilimento del committente piuttosto che in quello del prestatore limitatamente alle operazioni tra soggetti passivi d’imposta.
Invero, già prima di tale intervento l’esistenza di una stabile organizzazione incideva sul principio di attrazione in funzione del domicilio o della sede legale del soggetto passivo d’imposta che effettuava la prestazione di servizi in base a quanto stabilito dal previgente art. 7 d.P.R. n. 633/1972 e già solo questo aspetto è sufficiente per evidenziare il rilievo che essa assume anche ai fini dell’IVA.
In questo contesto, tuttavia, a differenza di quanto illustrato ai fini delle imposte sui redditi, la nozione di “stabile organizzazione” non è contemplata in alcuna norma interna e solo di recente è stata disciplinata in ambito europeo con il Regolamento 15.3.2011, n. 282/2011/CE (per tutti Fantozzi, A., op.cit., 99; Puri, P., La stabile organizzazione nell’Iva, in Riv. dir. trib., 2000, I, 239). Pertanto, nonostante la stabile organizzazione fosse nota nell’esperienza delle direttive comunitarie (per conferma si veda l’art. 44 della dir. n. 2006/112/CE), nel passato l’assenza di una definizione induceva a richiamare quella codificata per il settore delle imposte sui redditi con le distinzioni e le precisazioni elaborate dalla Corte di giustizia (ad esempio, si consulti la C. giust., 28.6.2007, C-73/06, in L’IVA, 2007, 9, 63; C. giust., 23.3.2006, C-210/04, in Boll. trib., 2006, 803).
Tuttavia, sebbene la concezione del centro di attività stabile quale nesso di collegamento dell’operatore estero con il territorio di uno Stato potrebbe indurre prima facie a ritenere analoga la ratio che le è riconosciuta nel settore delle imposte sui redditi, la netta diversità della struttura del presupposto impone di sottolineare la differente funzione che assolve la stabile organizzazione nel sistema dei due tributi (cfr. Puri, P., La stabile organizzazione nell’IVA, cit., 247): se nelle imposte dirette la stabile organizzazione risponde all’esigenza sistematica di determinare se l’attività dell’impresa non residente ha raggiunto una “soglia di presenza” critica che autorizza lo Stato della fonte ad esercitare la propria potestà impositiva, nel sistema IVA esprime il criterio per stabilire se la singola prestazione di servizi sia assoggettabile ad imposta in un qualsiasi Stato membro.
Di conseguenza, alla consolidata definizione di stabile organizzazione nell’ambito delle imposte sui redditi, nel corso del tempo si è contrapposto il concetto di “centro di attività stabile”, rilevante ai fini IVA, delineato dalla giurisprudenza della Corte di giustizia e che ha trovato un riconoscimento definitivo, conforme all’esperienza giurisprudenziale, con l’art. 11, par. 1, del Regolamento comunitario n. 282/2011, ove è disposto che essa è costituita da «qualsiasi organizzazione, diversa dalla sede dell’attività economica … , caratterizzata da un grado sufficiente di permanenza e una struttura idonea in termini di mezzi umani e tecnici atti a consentirle di ricevere e di utilizzare i servizi che le sono forniti per le esigenze proprie di detta organizzazione».
Sulla base di quanto precede è agevole comprendere le ragioni che hanno favorito una nozione di stabile organizzazione più limitata di quella rilevante ai fini delle imposte sui redditi al punto che, in contrasto con quanto prospettato nel passato dalla giurisprudenza e dall’A.F. (cfr. Ris. Ag. Entrate, 30.7.2008, n. 327; Cass., 20.7.2012, n. 12633, in Corr. trib., 2012, 3391), si è pervenuti al chiarimento che l’apertura della partita IVA non determina la sussistenza di una stabile organizzazione, né il suo riconoscimento ai fini delle imposte sui redditi integra automaticamente i requisiti ai fini IVA trattandosi di nozioni che sono distinte ed autonome.
L’autonomia del concetto ai fini del tributo in rassegna deriva anzitutto dalla necessità che sussista sia l’elemento personale, che quello materiale per integrare il “centro di attività stabile”. Inoltre, a differenza di quanto prospettato in precedenza dall’A.F. (cfr. Circ. Ag. Entrate 29.7.2011, n. 37, in Fisco, 2011, 1, 5210), non può considerarsi sufficiente una funzione meramente “passiva” ma è richiesto il concreto svolgimento di un’attività economica per cui essa è riscontrabile solo nel caso in cui le operazioni passive siano funzionali alla produzione di beni e di servizi in totale autonomia rispetto alla casa madre. Sul piano degli effetti impositivi la stabile organizzazione esprime un criterio di collegamento territoriale che opera come sistema alternativo al reverse charge di cui all’art. 17, co. 6, d.P.R. n. 633/1972 e che rileva diversamente nei rapporti con i soggetti terzi rispetto a quelli intrattenuti con la casa madre posto che in quest’ultimo caso le prestazioni di servizi non sono soggette al tributo in assenza di autonomia giuridica e di soggettività passiva IVA distinta dalla casa madre (cfr. C. giust., 23.3.2006, C-210/04, in Boll. trib., 2006, 803).
In merito a quest’ultimo profilo non è superfluo precisare che la stabile organizzazione in ambito IVA, oltre ad esprimere il criterio di radicamento territoriale delle singole operazioni, rappresenta altresì il presupposto degli obblighi contabili e degli altri adempimenti in forza dell’art. 17 del d.lgs. 19.6.2002, n. 191. Tuttavia, dagli obblighi di fatturazione, registrazione, liquidazione ed assolvimento dell’imposta dovuta per le operazioni imponibili parte della dottrina (in tal senso, si veda Centore, P., Soggettività tributaria ai fini Iva della stabile organizzazione, in Fisco, 1999, 1, 1266; contra, tra gli altri, cfr. Puri, P., op. cit., 239) e della giurisprudenza di legittimità desume conclusioni più ampie che inducono a ravvisare altresì l’autonoma soggettività passiva d’imposta (cfr. Cass., 22.7.2011, n. 16106, in Riv. giur. trib., 2011, 895; Cass., 15.2.2008, n. 3889, in Rass. trib., 2008, III, 750; Cass., 6.4.2004, n. 6799, in Boll. trib., 2004, 1257).
Art. 5 del Modello OCSE di Convenzione contro le doppie imposizioni; artt. 151, 152, 162 e 165 d.P.R. 22.12.1986, n. 917 (Testo unico delle imposte sui redditi); art. 7 d.P.R. 26.9.1972, n. 633; art. 17 d.lgs. 19.6.2002, n. 191.
Adonnino, P., L’individuazione della stabile organizzazione e la prova della sua esistenza, in Riv. dir. trib., 1998, IV, 99 ss.; Boria, P., L’individuazione della stabile organizzazione, in Riv. dir. trib., 2014, I, 1 ss.; D’Alfonso, E., Nuovi spunti in tema di “forza attrattiva” della stabile organizzazione nel sistema dell’Iva, in Rass. trib., 2010, 1245 ss; Della Valle, E., La nozione di stabile organizzazione nel nuovo TUIR, in Rass. trib., 2004, 1597 ss.; Della Valle, E., La nuova disciplina della stabile organizzazione “interna”, in Fisco, 2015, 1, 3841; Fantozzi, A., Stabile organizzazione, in Guida fiscale italiana, Torino, 1980, 986 ss.; Fantozzi, A., La stabile organizzazione, in Riv. dir. trib., 2013, I, 99 ss.; Fransoni, G., La nozione di stabile organizzazione personale nel diritto interno e la rilevanza della “stabilità” dell’organizzazione, in Riv. dir. trib., 2002, II, 365; Fransoni, G., La determinazione del reddito delle stabili organizzazioni, in Rass. trib., 2005, 73 ss.; Gaffuri, A.M., Le ipotesi negative di stabile organizzazione. Spunti problematici e sviluppi interpretativi, in Dir. e prat. trib., 2015, I, 205 ss.; Gallo, F., Contributo all’elaborazione del concetto di “stabile organizzazione” secondo il diritto interno, in Riv. dir. fin., 1985, I, 387 ss.; Giorgi, M., La nozione di stabile organizzazione nell’imposta sul valore aggiunto, in Riv. dir. trib. intern., 1999, 2 ss.; Giovannini, A., Soggettività tributaria e fattispecie impositiva, Padova, 1996, 204 ss.; Lovisolo, A., La forza di attrazione e la determinazione del reddito della stabile organizzazione, in Marino, G., a cura di, I profili internazionali e comunitari della nuova imposta sui redditi delle società, Milano, 2004, 77 ss.; Ludovici, P., Il regime impositivo della stabile organizzazione agli effetti dell’imposta sul valore aggiunto, in Riv. dir. trib., 1998, 68 ss.; Pistone, P., Stabile organizzazione ed esistenza di società figlia residente, in Dir. prat. trib., 1998, II, 361 ss.; Puri, P., La stabile organizzazione nell’Iva, in Riv. dir. trib., 2000, I, 239 ss.; Tardella, G., Stabile organizzazione, in Riv. dir. trib., 1988, I, 371 ss.; Tardella, G., Stabile organizzazione, in Dig. civ., IV, Torino, 1998, 154 ss.; Tundo, F., In tema di stabile organizzazione ed Iva, in Dir. prat. trib., 1992, II, 327 ss.; Tundo, F., Stabile organizzazione personale e determinazione del reddito secondo le recenti direttive OCSE, in Rass. trib., 2011, 305 ss.