Vedi Spagna dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
La Spagna è stata un fiorente impero coloniale tra il Sedicesimo e il Diciassettesimo secolo (il cosiddetto Siglo de oro): possedeva numerose colonie soprattutto nell’America meridionale, dove l’eredità culturale iberica è tuttora viva e la lingua spagnola, fra le più parlate al mondo, è la più usata. Marocco a parte, la Spagna perse i suoi possedimenti nel Diciannovesimo secolo, prima delle altre potenze europee, ed entrò in una fase di declino, anche per il ritardo con cui affrontò la rivoluzione industriale. Il paese, che si è dichiarato neutrale durante le due guerre mondiali, ha vissuto una guerra civile devastante negli anni Trenta e, in seguito, un lungo periodo di isolamento internazionale durante la dittatura franchista.
In seguito alla morte, nel 1975, del generale Francisco Franco e alla fine della dittatura, il paese ha attraversato un delicato processo di transizione guidato dal Re Juan Carlos – che il 19 giugno 2014 ha abdicato in favore del figlio Felipe, salito al trono con il titolo di Felipe VI – e da figure di spicco come Adolfo Suàrez e Felipe Gonzàlez che, grazie al loro operato, hanno garantito alla Spagna il perseguimento di una politica estera, non solo nel rispetto della propria tradizione latino-americana ma anche e soprattutto nel rafforzamento del proprio ruolo all’interno dei processi euro-atlantici. Il paese è entrato nella Nato nel 1982 e nella Comunità economica europea nel 1986, assieme al Portogallo. L’integrazione europea, che è tuttora la priorità politica del paese, ha favorito il successivo sviluppo economico e sociale. In più, i membri del processo di integrazione europeo sono i principali partner per commercio e investimenti. Il paese è parte della zona euro e degli accordi di Schengen. Rivendica un maggiore utilizzo della lingua spagnola nel contesto europeo, ma ha un impatto relativamente limitato sulle politiche dell’Unione Europea (Eu). Inoltre, pur essendo tuttora la quinta economia tra gli stati Eu, la profonda crisi attuale ne limita l’influenza. Recentemente le relazioni con l’Europa hanno subito un deterioramento a causa della crisi dei migranti.
Altre direttrici fondamentali della politica estera spagnola sono l’America Latina e il Nord Africa. Il legame culturale con le ex colonie latinoamericane è molto forte e l’immigrazione dall’America Latina è un fenomeno di rilievo. La Spagna promuove i summit Eu-America Latina e partecipa attivamente a quelli annuali iberoamericani dei capi di stato e di governo. Rispetto all’esecutivo Zapatero (2004-11), il governo guidato da Mariano Rajoy ha promosso una minore cooperazione politica nei confronti delle ex colonie. Ciononostante la Spagna rimane uno dei maggiori investitori in America Latina attraverso partecipazioni in settori chiave dell’economia quali il bancario, l’energetico e i servizi pubblici.
I rapporti con il Nord Africa e la stabilità della regione rappresentano un’altra priorità della politica estera spagnola. Madrid promuove l’Unione per il Mediterraneo nell’ambito Eu e il Dialogo 5+5, volto a rafforzare la cooperazione del Mediterraneo occidentale. I rapporti con il Marocco, geograficamente contiguo, rivestono un ruolo particolare: la partnership con il vicino meridionale è stata infatti fondamentale per affrontare il problema dell’immigrazione clandestina. Nonostante le tensioni per le rivendicazioni marocchine di sovranità sulle exclave spagnole di Ceuta e Melilla, sotto il controllo spagnolo da più di mezzo secolo, le relazioni tra i due paesi sono strette e la Spagna ha promosso la concessione a Rabat dello status avanzato di associazione con l’Eu.
Di rilievo anche i rapporti con il Medio Oriente, dove la Spagna è presente con le sue truppe nell’ambito della missione Unifil delle Nazioni Unite in Libano. A livello europeo, Madrid intrattiene relazioni diplomatiche politiche cordiali con le principali potenze continentali. Recentemente sono tuttavia riemerse alcune tensioni con il Regno Unito in merito alla questione di Gibilterra, un caso che ha rischiato di sfociare in un incidente diplomatico.
Per quanto riguarda gli Usa, la cooperazione nell’ambito della difesa è regolata da un trattato del 1989, che consente a Washington di mantenere alcune basi militari sul territorio spagnolo. Nel 2004 il ritiro delle truppe dall’Iraq da parte dell’allora neoeletto premier José Luis Rodríguez Zapatero ha determinato un raffreddamento delle relazioni. Da allora rimangono tiepide, complice anche la profonda crisi economica che ha spinto l’esecutivo di Mariano Rajoy a occuparsi principalmente della politica interna, sebbene i due paesi restino importanti alleati nella lotta al terrorismo e partner di rilievo per i rispettivi investimenti esteri.
La Spagna ha ampliato gli orizzonti della politica estera, soprattutto puntando ai Balcani occidentali (partecipa alla missione Eufor) e all’Asia, in particolare India e Cina, anche per rafforzare la cooperazione economica.
A livello globale, la Spagna è un’attiva promotrice del multilateralismo e del rafforzamento delle Nazioni Unite. Nel 2004 il governo Zapatero, assieme a quello turco, ha proposto la creazione dell’Alleanza delle civiltà delle Nazioni Unite (Unaoc), istituita nel 2005. L’Alleanza mira ad approfondire la conoscenza e le relazioni tra i popoli, a promuovere la convivenza pacifica e a contrastare l’estremismo.
La democrazia fu restaurata in Spagna dopo la morte del generale Franco, nel 1975. Il principe Juan Carlos di Borbone, scelto da Franco come proprio successore nel 1969, divenne re e nel 1976 nominò Adolfo Suárez come primo ministro. Nel giro di pochi mesi, i partiti furono legalizzati, furono indette libere elezioni per la prima volta in quarant’anni e la nuova Costituzione democratica fu approvata con il referendum del 1978. La Spagna si presenta come una monarchia parlamentare multipartitica. Re Felipe VI è il capo dello stato e detiene limitati poteri cerimoniali, tra cui il comando delle Forze Armate e la nomina del premier e dei ministri del governo.
Il potere legislativo è affidato a un parlamento bicamerale (Cortes generales): la Camera bassa (Congreso de los diputados) è composta da 350 membri eletti nelle circoscrizioni provinciali per quattro anni (Ceuta e Melilla sono rappresentate da un deputato ciascuno); la Camera alta (Senado), a rappresentanza territoriale, è costituita da 259 senatori, di cui 208 eletti a suffragio universale diretto e 51 scelti dalle assemblee legislative delle comunità autonome. La divisione amministrativa spagnola prevede 17 comunità autonome e due città autonome (Ceuta e Melilla). La Spagna è uno dei paesi europei ad aver attuato un decentramento più radicale. Al governo di alcune realtà notoriamente autonomiste come i Paesi Baschi o la Catalogna vi sono partiti come la Esquerra Republicana de Catalunya (Erc), Convergència i Unió (CiU) e il Partido Nazionalista Vasco (Pnv, in basco: Euzko Alderdi Jeltzalea) che pongono come priorità dell’azione di governo la questione indipendentista. Le comunità, indebitate a causa di una spesa pubblica molto elevata negli anni della crescita spagnola che le espone oggi al rischio default, hanno alimentato allo stesso tempo le richieste separatiste/autonomiste di alcune realtà. Oltre ai Paesi Baschi, la Catalogna rappresenta ad oggi il caso più spinoso per il governo centrale di Madrid.
Dal ritorno alla democrazia il paese ha visto un’alternanza al potere tra il Partido Popular (Pp) e il Partido Socialista Obrero Español (Psoe). Fino al 2015 il Pp ha guidato un esecutivo a maggioranza assoluta, che ha posto fine ad oltre un decennio di governi socialisti. L’elezione del dicembre 2015 ha visto la riconferma del Pp di Rajoy, che ha conquistato la maggioranza relativa dei voti, ma ha decretato la fine del bipolarismo perfetto spagnolo tra popolari e socialisti. Le consultazioni hanno restituito al paese un parlamento altamente frammentato e impostato su quattro forze (Pp, Psoe, Ciudadanos e Podemos). In assenza di un accordo politico per la definizione di un nuovo premier e di un governo, probabilmente di coalizione, il paese potrebbe tornare nuovamente alle urne entro la prima metà dell’anno. Il Psoe, negli ultimi anni, ha attraversato una difficile fase di transizione che ha portato alla segreteria il giovane Pedro Pérez-Sánchez Castejó, al posto di Alfredo Pérez Rubalcaba, dopo la disfatta alle elezioni europee del 25 maggio 2014. Nelle stesse consultazioni era emerso Podemos, partito di sinistra fondato nel gennaio 2014 da alcuni attivisti legati al Movimiento 15-M, noto anche come il movimento degli indignados, confermatosi alle ultime elezioni quale terza forza politica.
La Spagna è un paese etnicamente molto omogeneo nel quale sono tuttavia presenti istanze indipendentiste di alcune regioni storiche (in particolare i Paesi Baschi e la Catalogna) che si distinguono per motivi linguistici e culturali. La Spagna è anche un paese relativamente poco popolato se confrontato con i grandi stati dell’Europa occidentale, con una densità di quasi 93 abitanti per chilometro quadrato (paragonabile a quella greca, mentre Italia, Germania e Regno Unito superano tutte i 200 abitanti per chilometro quadrato).
È un paese a forte tradizione cattolica: soltanto al termine del franchismo, la Costituzione del 1978 ha abolito il cattolicesimo come religione di stato. Negli ultimi decenni, le persone che si dichiarano cattoliche sono scese dal 90% degli anni Ottanta al 73% dell’ottobre 2010, mentre più di un quinto degli spagnoli afferma di non appartenere ad alcuna confessione religiosa. Tra i cattolici, il 55% ammette di non assistere mai a una funzione religiosa.
Tra il 2000 e il 2008 la popolazione è aumentata di più di 5 milioni di persone (13%), prevalentemente per effetto dell’immigrazione dall’estero. Nel 2014 la Spagna è risultata essere il quarto paese europeo per stranieri residenti (4,6 milioni di persone), dietro Germania, Italia e Regno Unito. Gli alti flussi migratori hanno fatto crescere significativamente la popolazione musulmana, anche se si tratta soltanto del 2% del totale. Negli ultimi mesi il tema dell’immigrazione ha creato un ampio dibattito e ha visto il governo prima opporsi al piano Eu per le quote sui rifugiati, poi cambiare idea ed accettare il meccanismo di redistribuzione dei richiedenti asilo. La Spagna, dal 2010, è riuscita a contenere il fenomeno dell’immigrazione clandestina, principalmente grazie alla cooperazione con i vicini paesi africani in termini di polizia e pattugliamento costiero. Grazie anche a queste misure, l’ondata di migranti del 2015 non ha coinvolto il paese, che si è quindi dimostrato restio ad impegnarsi in una risposta europea all’emergenza.
L’immigrazione ha contribuito ad abbassare l’età mediana di una popolazione relativamente anziana, che negli anni Novanta stava attraversando una fase di deciso declino demografico (nel 1998 il tasso di fecondità era 1,16 figli per donna, mentre oggi è salito a 1,32). Gli stranieri, che rappresentavano nel 2012 il 12,1% della popolazione spagnola – negli anni Novanta si aggiravano attorno all’1,5% – hanno contribuito a sgravare il sistema pensionistico di una parte della pressione provocata dai trend demografici ispanici. Il costo della previdenza sociale resta uno dei problemi principali. Come avvenuto in altre realtà occidentali, l’alta aspettativa di vita ha allargato la fascia di persone con più di 65 anni (l’attuale età pensionabile), che nel 2012 ha superato il 17% della popolazione. Secondo stime delle Nazioni Unite, la tendenza pare difficilmente arrestabile: se il trend si mantenesse costante, entro il 2025 un quinto della popolazione avrà più di 65 anni, ed entro il 2050 la quota potrebbe comprendere un terzo degli abitanti.
La Spagna è un paese democratico dalla seconda metà degli anni Settanta, dopo circa 35 anni di regime autoritario, sotto Francisco Franco. Durante il primo trentennio di democrazia i diritti della società civile sono progrediti a ritmi serrati; è stato soprattutto nell’ultimo decennio, e più precisamente dall’elezione di Zapatero nel 2004, che la Spagna ha emanato alcune leggi sui diritti civili tra le più avanzate d’Europa. Innanzitutto, dal 2007 sono in vigore le quote rosa sulle liste elettorali: le donne devono costituire il 50% dei candidati. Le conseguenze sono state evidenti da subito: le donne rappresentano il 39,7% dei deputati eletti alla Camera bassa nel 2012. La nuova legislazione sull’aborto, regolamentato per la prima volta da una legge del 1985, è entrata in vigore nel luglio 2010: prevede maggiori possibilità per ricorrervi. La legge è stata preceduta da una forte contestazione da parte del mondo cattolico, sfociata in manifestazioni di piazza nell’ottobre 2009 alle quali hanno partecipato quasi un milione di persone. È corretto sottolineare che, sebbene l’aborto fosse consentito solo in determinati casi (nel caso in cui la gravidanza fosse conseguenza di una violenza sessuale, o qualora fosse in pericolo immediato la salute fisica o mentale della madre, o infine nel caso in cui il feto soffrisse di malformazioni o handicap mentali), le applicazioni estensive della legge avevano già ampliato i casi di aborto medico dai 54.000 del 1998 ai 112.000 nel 2007.
Le unioni tra persone dello stesso sesso sono infine regolate da una legge che, entrata in vigore nel luglio 2010, ha legalizzato il matrimonio egualitario. La stessa legge ha inoltre reso legale anche l’adozione da parte di coppie dello stesso sesso. Benché la misura fosse prevista nel programma elettorale del Psoe e godesse del consenso di circa due terzi dell’opinione pubblica, ha scatenato una polemica anche da parte dei vertici della Chiesa cattolica.
Un’altra misura che ha creato forti divisioni è stata la legalizzazione dell’eutanasia. La disposizione, anch’essa prevista nel programma elettorale del Psoe, è stata rigettata dallo stesso partito in un voto in aula nel 2007. I sondaggi più recenti mostrano che il sostegno popolare a favore della legalizzazione dell’eutanasia è ampio, ma nel 2008 uno scandalo legato ad alcuni casi di morte assistita per almeno 400 pazienti terminali, che ha coinvolto 15 medici (poi scagionati da tutte le accuse), ha reso più complicato l’avvio di un nuovo iter legislativo.
Sotto il profilo dell’istruzione, il forte ruolo della scuola pubblica è cresciuto fino al 2002, quando il Pp ha approvato una riforma che rafforzava la posizione delle scuole private (frequentate da un terzo degli alunni delle scuole medie superiori) e restringeva le possibilità di accesso all’università. Nel 2005, tuttavia, il governo socialista di Zapatero ha ribaltato gran parte di questi cambiamenti. La controversia ideologica che si è aperta circa il processo di riforma del sistema scolastico non ha giovato alla qualità dell’istruzione stessa, che oggi tocca livelli dei più bassi tra i paesi Oecd: le carenze più gravi si riscontrano nella lettura e nella matematica.
Al termine della dittatura franchista, nel 1975, la Spagna era ancora un paese prevalentemente agricolo. Il forte sviluppo economico conosciuto tra gli anni Cinquanta e i primi anni Settanta venne bloccato dall’impatto della crisi energetica del 1973 e dalla conseguente crisi economica che si protrasse durante l’intero periodo di transizione verso la democrazia. Dalla seconda metà degli anni Novanta la Spagna ha invece conosciuto uno sviluppo economico tra i più rapidi in Europa. Nel periodo 1997-2007 il pil è cresciuto a una media annua del 3,8%, e nello stesso periodo il reddito pro capite è più che raddoppiato. Nel frattempo, il contributo al pil dei diversi settori economici è andato mutando. Il terziario è passato da una posizione di subalternità a quella attuale. Attualmente contribuisce a oltre due terzi del prodotto interno lordo trainato dal settore dei servizi e dal turismo: la Spagna è la seconda meta europea dopo la Francia e quarta assoluta al mondo per arrivi dall’estero. Malgrado le attente politiche di bilancio, la crisi economica globale del 2008-09 ha provocato un deficit elevato (11% del pil nel 2009, 9,4% nel 2010, 10,4% nel 2012 e 5,9% nel 2014), ben oltre la soglia del 3% formalmente consentita dai parametri di Maastricht, che ha portato il paese in una pesante recessione.
La crisi ha portato allo scoperto le debolezze strutturali che affliggono il paese: da un lato, l’eccessiva esposizione finanziaria delle banche spagnole ha influito sulla stretta del credito, dall’altro lo scoppio della bolla immobiliare ha abbattuto il valore delle case (-12% dall’inizio della crisi) facendo sprofondare il settore edilizio in una grave crisi. La pesante eredità dell’era Zapatero ha costretto così l’attuale governo Rajoy a varare una serie di riforme in materia di finanza pubblica, fisco e mercato del lavoro volte a riequilibrare le finanze pubbliche e a ridurre la disoccupazione (giunta al 26%), in particolare quella giovanile (oltre il 50%). L’adozione di tali provvedimenti ha permesso all’esecutivo spagnolo di ricevere assistenza finanziaria da Bruxelles, quantificabile in 100 miliardi di euro in aiuti provenienti dal meccanismo europeo di stabilità (Esm), di cui una quarantina sono stati già restituiti. Tra il 2014 e il 2015 l’economia del paese è tornata a crescere con un aumento del pil di poco più del 3% per l’ultimo anno, superando di molto la media europea. Gli altri indicatori economici hanno registrato tutti dei miglioramenti: lo spread tra i titoli di stato spagnoli e quelli tedeschi è diminuito nuovamente e le stime sul debito spagnolo sono state abbassate. La ripresa non è però ancora consolidata e le conseguenze dei costi sociali della crisi – l’alto tasso di disoccupazione, primo fra tutti – hanno fatto sentire la loro influenza sulle elezioni di dicembre.
La Spagna produce circa il 40% del carbone consumato e quantità molto ridotte di petrolio e gas. Dipende quindi in larga misura dalle importazioni, poiché compra dall’estero il 60% del carbone che utilizza, il 98% del petrolio (che rappresenta la prima fonte del mix energetico nazionale) e quasi il 100% del gas. Le importazioni di gas sono piuttosto diversificate: grazie ai gasdotti Meg e Medgaz (quest’ultimo, operativo dal marzo 2011, collega direttamente Spagna e Algeria aggirando il Marocco), la Spagna può ricevere rispettivamente un massimo di 12 e 8 miliardi di metri cubi all’anno dall’Algeria. Nel 2012 dall’Algeria è giunto circa il 40% del gas totale. D’altra parte il paese possiede sei rigassificatori e quindi riceve gas liquefatto anche da Nigeria (13,9%), Qatar (13,8%), Norvegia (11,5%), Perù (7,2%) e Trinidad e Tobago (7,5%). La Spagna è così divenuta il primo paese Eu per diversificazione e sviluppo della tecnologia del gas naturale liquefatto (lng) e il quarto importatore al mondo di lng dopo Giappone, Corea del Sud e Regno Unito. Questi risultati, che migliorano notevolmente il livello di sicurezza energetica del paese, sono una conquista recente visto che, ancora nel 2001, il paese importava il 70% del gas dall’Algeria.
Anche le importazioni di petrolio sono piuttosto diversificate: nel 2008 la prima fonte energetica del paese arrivava dacirca 20 stati e in particolare da Russia (15%), Messico (13%), Iran (12%), Arabia Saudita (11%), Libia (10%) e Nigeria (9%). La Spagna possiede inoltre dieci raffinerie di petrolio.
Per garantirsi maggiore sicurezza, il paese ha inoltre promosso lo sviluppo dell’energia nucleare e delle rinnovabili. Sono in funzione sei centrali nucleari che producono circa il 13% del mix energetico, anche se il governo prevede di ridurre tale quota. Viceversa, le rinnovabili rivestono ancora una piccola quota del mix energetico (6,1%, esclusi il legname e altre biomasse), ma il governo ne sta promuovendo lo sviluppo, in particolare quello dell’energia eolica (la Spagna ha la terza più elevata capacità di generazione al mondo). È stata inoltre avviata una stretta cooperazione con il Portogallo, con la creazione del mercato iberico dell’elettricità, e si sta lavorando a un analogo mercato unico del gas.
Per quanto riguarda la politica ambientale, il paese ha adottato nel 2007 una strategia contro il cambiamento climatico e per produrre energia pulita, che prevede numerose misure per migliorare l’efficienza, stimolare lo sviluppo delle rinnovabili e la ricerca. Inoltre, il governo spagnolo si è impegnato a ridurre le emissioni di CO2 dell’80% entro il 2050, prevedendo di eliminare il consumo di carbone.
La sfida che la Spagna ha affrontato a lungo sul terreno della sicurezza è stata duplice: da un lato doveva difendersi da attacchi terroristici di gruppi nazionali sul proprio territorio, dall’altro, pur in assenza di minacce dirette, ha avuto un ruolo importante nelle missioni internazionali. Gli attentati ferroviari avvenuti a Madrid l’11 marzo 2004 hanno in qualche modo modificato lo scenario e fatto passare in secondo piano la minaccia terroristica interna, surclassata dal terrorismo internazionale di matrice islamica. Dalla fine del franchismo la Spagna ha riaffermato a più riprese l’impegno nelle più rilevanti organizzazioni internazionali occidentali: l’Eu e la Nato. Per quanto riguarda quest’ultima, la Spagna vi è entrata nel 1982, ma solo dal 1999 ha deciso di partecipare alla struttura militare integrata. Oggi il paese ospita cinque quartieri generali Nato. I buoni rapporti con gli Usa sono stati sanciti nel 2001 dall’assenso spagnolo all’allargamento della base militare americana a Rota – che accoglie circa 4000 unità tra soldati e civili statunitensi – e dalla partecipazione di Madrid alle missioni internazionali in Afghanistan e in Iraq. L’elezione di Zapatero nel 2004, contrario alla guerra, ha portato al ritiro del contingente spagnolo in Iraq a un anno esatto dall’inizio della missione e dopo gli attentati di Madrid (aprile 2004). Ciò non ha tuttavia comportato un minore impegno della Spagna sul fronte internazionale, che è stato ribadito dalla scelta di proseguire la partecipazione alla missione di peacekeeping Unifil in Libano (nonostante i forti tagli alla difesa) e da quella di partecipare all’intervento Nato in Libia nel 2011.
Sul fronte interno, il terrorismo indipendentista e i rapporti tra il governo e l’Eta sono ancora un problema irrisolto, nonostante i recenti tentativi (in particolare la mediazione del 2006 del governo Zapatero) di trovare una soluzione politica. Nell’ottobre 2011 l’organizzazione separatista ha annunciato l’impegno a superare il confronto armato e ha invitato i governi di Madrid e Parigi ad aprire un dialogo per una soluzione al conflitto durato oltre 40 anni. Allo stesso tempo, i vertici dell’organizzazione hanno invitato i rappresentanti dell’Izquierda Abertzale (le correnti della sinistra marxista basca) a rinunciare alla violenza e ad entrare nella legalità politica, rafforzando la causa e il sostegno nazionalista all’indipendenza basca.
‘Podemos’ è stato fondato nel gennaio del 2014 come partito politico ufficiale su iniziativa di alcuni intellettuali, attivisti e membri della società civile che avevano preso parte alle proteste scoppiate nel 2011 contro le misure di austerità adottate dal governo. I manifestanti, autodefinitisi “Indignados”, non avevano un’organizzazione formale ma appartenevano a gruppi diversi uniti dalle posizioni comuni contro la classe politica al potere. Obiettivo di ‘Podemos’ è dare voce, all’interno delle istituzioni, al movimento degli Indignados e riformare il sistema politico spagnolo dall’interno, portando avanti politiche sociali ed economiche alternative. Segretario del partito è stato nominato Pablo Iglesias, 37enne professore di scienze politiche all’Università Complutense di Madrid. Il partito ha rapidamente guadagnato consensi nel corso dell’anno e nella primavera del 2015 era in testa a tutti i sondaggi politici. Negli ultimi mesi del 2015 però, Podemos ha iniziato a perdere terreno, in parte a causa della rimonta del Partido Popular del presidente Rajoy, favorito dal miglioramento della situazione economica, e in parte a causa della straordinaria crescita di un altro partito: Ciudadanos (Cittadini).
Fondato nel 2006, Ciudadanos ha un orientamento molto più liberale rispetto a Podemos. Il suo leader è Albert Rivera, avvocato catalano di 35 anni. Scopo originale di Ciudadanos era l’opposizione al separatismo catalano, ma nel corso degli anni il partito, tacciato di populismo dai suoi rivali politici, ha fatto propri molti temi legati alla crisi economica, proponendo radicali riforme del sistema tributario in favore delle imprese, la razionalizzazione dell’assistenza sociale e la semplificazione della burocrazia statale. Al contrario di Podemos, che critica le politiche di austerità imposte da Bruxelles, il partito non ha opinioni euroscettiche ed è favorevole ad un maggior ruolo dell’Unione.
Dopo lo scalpore suscitato dal referendum del 9 novembre 2014, la questione dell’indipendenza catalana è tornata agli onori della cronaca in seguito al voto regionale del settembre 2015. Il referendum del 2014 aveva carattere puramente consultivo, dopo che la Corte costituzionale aveva emesso una dichiarazione di illegittimità nei suoi confronti e che il parlamento l’aveva bocciato. Il leader dei separatisti catalani, Artur Mas, presidente della Generalitat de Catalunya, ha deciso di tenere la votazione lo stesso, con carattere puramente simbolico, ma la sconfitta sul piano legale ha minato l’appoggio popolare ai separatisti. Di fronte all’indebolimento della sua base politica, Mas ha deciso di anticipare le elezioni regionali, che si sarebbero dovute tenere nel 2016. Il presidente in campagna elettorale ha trasformato l’elezione in un voto sull’indipendenza della regione, inserendola come punto principale del programma della sua coalizione. L’esito della votazione del 27 settembre è però stato ambiguo: la coalizione di Mas ha ottenuto il 47% dei voti ma non è riuscita ad ottenere la maggioranza assoluta dei seggi. Per uscire dall’impasse politica e dal rischio di nuove elezioni anticipate, Mas si è dimesso dalla presidenza della regione, favorendo la nascita di un governo di coalizione guidato dall’ex sindaco di Girona, Carles Puigdemont, favorevole all’indipendenza. Lo scontro politico con Madrid, quindi, prosegue e l’instabilità politica a livello locale e nazionale rende impossibile prevederne l’esito.
Euskadi ta Askatasuna (Eta) – letteralmente ‘Paesi Baschi e libertà’ – fu fondata il 31 luglio del 1959 da alcuni studenti nazionalisti convinti che il Partido Nacionalista Vasco (Pnv) rappresentasse gli interessi baschi in modo inadeguato durante il franchismo. Il movimento univa l’ideologia antispagnola e ultracattolica del fondatore del Pnv, Sabino Arana, all’ispirazione marxista-leninista; il suo obiettivo era l’indipendenza della regione basca dalla Spagna. Considerata un’organizzazione terroristica dal governo spagnolo e, dal 2001, anche dall’Eu, l’Eta si è resa responsabile di più di 800 omicidi e di migliaia di rapimenti, le cui vittime appartenevano prevalentemente a polizia ed esercito. Il primo attentato risale al giugno 1968. L’attività terroristica si è però impennata dopo la morte di Franco, nella seconda metà degli anni Settanta, per poi diminuire d’intensità. L’Eta ha rotto le tregue da essa stessa dichiarate ben otto volte. La penultima nel 2006, quando annunciò un cessate il fuoco permanente per poi infrangerlo con gli attacchi all’aeroporto Barajas di Madrid del dicembre 2006, dopo che Zapatero aveva stabilito l’apertura di un canale di dialogo e si era reso disponibile a numerose concessioni. L’Eta ha dichiarato un nuovo cessate il fuoco permanente nel gennaio 2011, accolto tuttavia con molto scetticismo dal governo e dall’opinione pubblica ma anche dal Pnv. Braccio politico dell’Eta è stato il partito radicale di sinistra Batasuna, fondato nel 1978 con il nome di Herri Batasuna (‘Unità del popolo’). In lotta per l’indipendenza dei Paesi Baschi, è stato dichiarato illegale e bandito nel 2003 dal Tribunale supremo spagnolo. Sulla questione si è pronunciata nel 2009 anche la Corte europea dei diritti dell’uomo, ritenendo la dissoluzione del partito un’esigenza sociale. Nel febbraio 2011 è stato creato il nuovo partito basco, ‘Sortu’, che ha dichiarato di rifiutare la violenza. L’aspirazione del movimento era partecipare alle elezioni locali del maggio 2011 nei Paesi Baschi. La richiesta fu respinta dalla Corte suprema spagnola perché il partito venne ritenuto una diretta prosecuzione di Batasuna. Solo nel giugno 2012 la Corte suprema ha legalizzato la posizione di ‘Sortu’, riconoscendone il diritto di associazione politica. Alle successive elezioni per il parlamento basco, ‘Sortu’ e la sua coalizione hanno ottenuto il 25%, diventando il secondo partito basco dietro al moderato Partito nazionale.