Sfinge
Il simbolo dell’enigma e del potere
La Sfinge, corpo di leone e ali di uccello, è una figura mitica proveniente dall’antico Oriente, e in Grecia simboleggia il mistero della vita a cui l’uomo non può dare risposte, nonché il fascino del potere, pericoloso se non accompagnato da modestia e giustizia
In Egitto, nell’affascinante e misterioso scenario della piana di Giza, accanto alle spettacolari piramidi, già nell’antichità riconosciute come una delle sette meraviglie del mondo, si staglia l’enorme statua del leone dal volto umano, simbolo del potere del faraone: è la Sfinge.
Diversi faraoni, nell’antico Egitto, si fanno ritrarre in forma di Sfinge: il corpo di leone e, a volte, le ali di uccello rappresentano i segni di una natura straordinaria ed eccezionale, come straordinario e misterioso è il potere del faraone. La Sfinge è una di quelle figure che gli studiosi chiamano ibride: cavalli alati, come Pegaso; esseri metà donne e metà uccelli, come le arpie e le sirene; donne dai capelli di serpente, come la gorgone Medusa. La forma umana è sempre mista a elementi di animali che sono considerati nobili e simbolo di potere: il cavallo, l’aquila, il serpente.
Proprio dall’Oriente la figura della Sfinge arriva nella mitologia e nell’immaginario dei Greci. Il mito ne fa la figlia di Ortro, cane mostruoso con molte teste – fratello di Cerbero – e della Chimera, straordinaria creatura con testa di leone, corpo di capra e coda di serpente.
La sua dimora è una rupe situata presso Tebe, dove la Sfinge interroga i viandanti ponendo loro un enigma da risolvere. Chi non riesce a rispondere viene sbranato. «Qual è quell’animale che al mattino cammina con quattro zampe, di giorno con due, e alla sera con tre?». L’enigma della Sfinge non è un semplice indovinello, ma una domanda assai profonda sul destino dell’uomo. L’animale che cammina prima con quattro, poi con due e infine con tre gambe è infatti l’essere umano, che procede carponi a pochi mesi dalla nascita, poi sulle gambe nell’arco della vita, e infine, nella vecchiaia appoggiandosi al bastone per sorreggersi. La Sfinge, in forma enigmatica, interroga l’uomo su sé stesso, sulla fragilità della sua esistenza, nonché sulla brevità di questa, immaginando la vita umana nel sottile spazio di un giorno.
La figura della Sfinge, in Grecia, assume dunque nuovi tratti profondi rispetto alla rappresentazione del potere regale che aveva, originariamente, nelle civiltà orientali. L’interrogativo posto dalla Sfinge fa riflettere l’uomo sul suo destino e sulla presunzione di confidare troppo in sé stesso.
L’episodio mitico che più evidenzia le caratteristiche simboliche della Sfinge è quello che coinvolge Edipo. Qui interrogativo esistenziale e fascino del potere sono legati in una delle vicende più famose e ricche di significati del mito greco.
Edipo, allevato senza saperlo da genitori adottivi, viene a sapere da un oracolo che dovrà uccidere il padre e unirsi alla madre. Sconvolto, lascia immediatamente la sua casa, e si mette in viaggio per Tebe. Per strada incontra, senza sapere chi sia, il re della città, Laio, e per un futile motivo lo uccide. Tebe, rimasta senza sovrano, decide di affidare il trono a chi risolverà l’enigma della Sfinge, che terrorizza appunto la regione tebana. Edipo, imbattutosi nel prodigioso essere, riesce a dare una risposta all’enigma.
Il potere sulla città è dunque suo. Entra trionfatore in Tebe e sposa la moglie di Laio, Giocasta, da cui ha quattro figli. Un giorno, però, scoppia una tremenda pestilenza nella città, e l’oracolo impone di scacciare colui che contamina, con la sua empietà, tutto il popolo tebano. Edipo si mette alla ricerca affannosa del colpevole e scopre la tremenda verità: non solo il responsabile della morte del precedente sovrano è egli stesso, ma Laio e Giocasta sono, in realtà, i suoi veri genitori. Si compie così la profezia sulla sua terribile sorte: uccidere il proprio padre e unirsi alla madre.
La Sfinge ha messo alla prova l’uomo, che confidando sulle sue sole forze ha ottenuto il potere e ha creduto di poter guidare la sua vita. Ma nella religiosità greca non si possono oltrepassare i limiti imposti all’uomo dalla sorte: così Edipo perde il potere e dà compimento al suo tragico destino.