Uomo politico e giurista romano (m. 43 a. C.); fu dapprima pretore (66), quindi candidato al consolato (63; non riuscendo eletto, accusò Licinio Murena di broglio elettorale), infine console (51). Nella guerra civile, dopo un periodo di incertezze, seguì Cesare e fu proconsole dell'Acaia (46); fu mandato (43) dal senato come negoziatore presso Antonio a Modena, ma morì durante il viaggio. Dal 77, ritiratosi dalla carriera forense perché si sentiva troppo inferiore a Cicerone, si consacrò alla giurisprudenza, dove ebbe maestri L. Lucilio Balbo e Aquilio Gallo. La sua opera eccelle per la tendenza al superamento della casistica in una più profonda conoscenza della sistematica del diritto: nella critica dell'opera del più grande dei suoi predecessori, Q. Mucio Scevola, essa trova obiettivamente i motivi non, come si è supposto, per una polemica di scuola (contrapposizione di una scuola serviana a una muciana), bensì per l'affinamento degli strumenti dell'indagine giuridica. Vanno sotto il suo nome i Reprehensa Scaevolae capita (o Notata Mucii), un libro sulla dote, il primo commento all'editto pretorio (dedicato a Bruto, in due libri), almeno due altri libri De sacris detestandis; ma nulla ci è pervenuto direttamente.