SCIOA (A. T., 116-117)
Regione naturale e storica dell'Etiopia meridionale, che si estende tra il corso dell'Abai (Nilo Azzurro) a nord e quello del Hawash a sud con limiti a nord-est e ad ovest incerti, che si fanno arrivare da un lato sino al fiume Bashilo affluente di sinistra dell'Abai, in cui immette a circa 10°45′ lat. N., ovvero a quello del Wanshet che immette nell'Abai a circa 90 km. più a valle, e dall'altro sino al margine occidentale dell'altipiano etiopico. Ma tali confini, che in qualche modo valgono a definire la regione nei suoi caratteri fisici ed etnici, non corrispondono a quelli troppo mutevoli che il territorio Scioano ebbe nei varî tempi della sua storia, onde il paese fu soggetto ad espansioni e a riduzioni imposte dalle continue incursioni delle genti Galla. Considerando lo Scioa entro i limiti della regione naturale potremo quindi dire che esso rappresenta la parte meridionale dell'altipiano etiopico compresa tra il Goggiam, da cui lo divide a nord la profonda ed ampia valle dell'Abai, il paese alpestre degli Uollo Galla, dominato dagli elevati gruppi montani dell'Amba Farit e del Ghimbia; la Dancalia ad est e i paesi Galla ad ovest. Lo Scioa è dunque un lembo dell'altipiano etiopico del quale conserva i caratteri: formazioni trappiche (trachiti) elevate in media dai 2000 ai 2500 m. con rilievi displuviali superanti anche i 3000 e i 3500 m., solcate da ampî e profondi solchi vallivi e dominati in varî punti da coni vulcanici, come quello nel cui ampio bacino craterico sorse già la stazione italiana di Let Marefià poco a nord di Ancober. L'altitudine considerevole vale ad assegnare alla regione di altipiano un clima dolce quale quello di una costante primavera, in cui la temperatura media oscilla intorno ai 17° con estremi massimi e minimi rispettivamente di 27° e di 7°. Le piogge vi cadono copiose in due periodi: quello estivo o delle grandi piogge nel periodo luglio-settembre e quello primaverile o delle piccole piogge dal febbraio al marzo. Il totale delle precipitazioni cadute oscilla tra uno e due metri. Con questo regime di piogge si comprende come la regione sia solcata da numerosi corsi fluviali quasi costantemente ricchi d'acqua e riversantisi nell'Abai o nel Hawash, sulla cui regione di displuvio lo Scioa appunto s'estende. Come nelle altre parti dell'Etiopia si distinguono nello Scioa le tre zone altimetriche, climatiche e di vegetazione "Quollà", "Voina Degà" e "Degà". Prevale la zona intermedia che è quella delle coltivazioni dei cereali e dei legumi che formano la base dell'alimentazione degli abitanti; nella zona Degà si estendono i pascoli, campo dell'allevamento del bestiame largamente praticato; nella Quollà che, oltre alle valli dei grandi fiumi, comprende le regioni delle pendici orientali rapidamente declinanti nella depressione dancala, si manifesta più o meno lussureggiante la vegetazione tropicale.
Un tempo in questa zona si sviluppò largamente la vegetazione forestale ora notevolmente decimata. Ne rimangono tuttavia cospicui lembi, come nel Fekeriè Ghemb e nell'Emmameret, che si ammantano ancora di foreste maestose. La popolazione dello Scioa, di cui non si può precisare il numero, appartiene, nonostante le ripetute infiltrazioni galla, all'aggruppamento etiopico parlante la lingua amharica e professante la religione copta. Abbastanza largamente rappresentato è pure l'islamismo. Pochi e di scarsa importanza vi sono i centri abitati. Oltre ad Addis Abeba, la capitale dell'Etiopia, ricordiamo Ancober, l'antica capitale.
Storia. - Lo Scioa compare nella storia e nella letteratura d'Abissinia soltanto all'alba della dinastia salomonide, nel sec. XIII. Il principe Iecunò Amlách (Yekuno Amlāk), il primo re di quella dinastia, trovò alleati appunto in capi dello Scioa nella sua ribellione contro la dinastia Zaguè, che aveva per suo centro il Lasta; e ciò ebbe importanza decisiva per la vita politica della regione. Lo Scioa era allora assai più ristretto del territorio oggi indicato con tale nome; a occidente il suo confine si arrestava al fiume Mugar, affluente del Nilo Azzurro, al di la del quale sembra abitassero tribù del ceppo Sidama; a oriente l'Ifat e le vicine provincie, occupanti gli altipiani orientali che dominano sulla bassura dancala, erano costituiti in regno autonomo, sotto la dinastia dei Ualasmà, ed erano un vivo focolare di propaganda islamica. È ancora ignoto quale fosse il fondo dell'antica popolazione dello Scioa, e a quale dei ceppi cuscitici appartenesse; su questo fondo cuscitico si erano venute sovrapponendo immigrazioni di Abissini semitizzati del Tigrè e dell'Amhara, di cui permane il ricordo, certamente anteriore agli sconvolgimenti del sec. XVI, nelle genti che si dicono di origine Tigrè o Amhara a sud del Hawash e nel nome stesso Amharo con cui i Sidama tuttora chiamano gli Abissini. Nel sec. XIII la regione doveva essere ancora, in buona parte, pagana; un attivissimo centro di propagazione del cristianesimo sorse nella seconda metà di quel secolo per opera del santo Tacla-Haimanòt, centro che per circa un secolo e mezzo portò il nome di Dabra Asbò, commutandolo poi in quello di Dabra Libanòs, sotto cui divenne famoso e potente. La nuova dinastia dovette imprimere un movimento vivace all'immigrazione degli elementi Amhara e alla divulgazione del cristianesimo; spesso essa ebbe sede nello Scioa medesimo, in Errèr e in altri centri che talvolta la tradizione ricorda, e la sua pietà vi innalzò conventi, come quello di Dabra Brehàn, i quali, grazie al favore dei re, assursero a notevole importanza e ricchezza, a danno degli antichi conventi del Tigrè, dove per molti secoli si era raccolta la cultura etiopica. Inoltre, le fortunate guerre che la dinastia dei Salomonidi condusse nei secoli XIV e XV contro i musulmani portarono a un sensibile allargamento dei confini dello Scioa, cui non poche nuove provincie si andarono aggregando a oriente e a mezzodì: ai principî del sec. XVI lo Scioa non sembra avesse, in quelle direzioni, aspetto sensibilmente diverso dall'attuale. Ma appunto il sec. XVI fu il tempo della maggiore rovina per esso; le guerre che contro i cristiani furono condotte dall'imām Ahmed ben Ibrahīm e che, coprendo l'Etiopia intera di rovine e di massacri, parvero in procinto di travolgere per sempre non pure quel po' che restava dell'antica civiltà, ma il cristianesimo e lo stesso popolo abissino, quale era stato sino allora, infuriarono principalmente nello Scioa, per la sua prossimità alle regioni donde irrompevano i musulmani. Non appena cessata la formidabile pressione musulmana in seguito alla decisiva vittoria dei cristiani, assistiti da nuclei di Portoghesi, in Zantarà, lo Scioa, dissanguato, esausto, incapace di resistere, fu il naturale campo d'azione delle invasioni dei Galla, i quali irrompevano dalla non più difesa frontiera dell'Uebi; e, com'è noto, i Galla erano in uno stato di civiltà bassissimo, pressoché selvaggi. Ma, mentre la marea musulmana dopo la tempesta si ritirò, i Galla si andarono stabilendo in paese, rapidamente sostituendovi nuove tribù o nuove frazioni a quelle che le spedizioni dei re e dei maggiori capi riuscivano talvolta a sterminare: le popolazioni già esistenti vennero massacrate dai nuovi invasori, o espulse a nord, o ridotte in stato di vassallaggio. Altro fatto assai grave fu l'essere stato necessario di trasportare più a nord, nel Baghiemeder e poi nel Dembià, la sede del re, onde metterla al coperto da colpi di mano dei Galla: lo Scioa si trovò abbandonato a sé stesso, e rapidamente decadde sotto ogni riguardo. In tre o quattro decennî esso cambiò aspetto; e da provincia linguisticamente e religiosamente abissina divenne, nella parte maggiore, provincia di Galla pagani. Maggiore resistenza fu possibile opporre nelle provincie più settentrionali, aspre e montuose. Così avvenne per la provincia di Menz (in etiopico manz, anticamente manzeḥ, manzeḥel), confinante a N. col distretto di Ghescé, a O. con i Galla Tulamà, a S. con lo Scioà Miedà e il Marabieté, a E. col Ghedem e con l'Efrata. La famiglia feudale, che ne era a capo e cui appartenne ras Farès, personaggio assai importante del cadere del sec. XVII, poté conservare l'indipendenza del paese dai Galla. Alla fine del sec. XVII, il suo capo, Negasì, consolidò il suo potere, e intraprese una serie di campagne fortunate per allargare i confini: aggredì dapprima gli Arussi Galla, e, passando di vittoria in vittoria, con grande strage dei nemici riuscì ad assoggettare buona parte del territorio, fondandovi la città di Ainĭ; indi si volse contro le provincie ad oriente, Debdabbò, Manghést, Macfùd, e le aggiunse al suo retaggio; recatosi a Gondar, ne fu riconosciuto signore da re Iasù I. A lui, morto nel 1703, succedette il figlio Sebestianòs o Sebestié, il quale allargò e sovrattutto consolidò le conquiste paterne, sino a fondare la sua residenza di Docachit, appunto nelle conquistate terre d'Ifàt; nel tempo stesso, rallentò i vincoli di dipendenza dal negus d'Abissinia. Cadde ucciso in una battaglia nello Scioà-Miedà, combattendo contro suo figlio Abié, che si era dichiarato ribelle (2 giugno 1718). Abié si affrettò ad impadronirsi del potere, che tenne saldamente per 25 anni: poté conseguire il riconoscimento dal negus col titolo di merid-azmàč (mar‛ed azmāč), e con grande lena riprese le guerre contro i Galla; spinte le sue conquiste fino a non grande distanza da Ancober, vi fissò la sua residenza in Harr Ambà, portò la frontiera al fiume Oababà, e cadde combattendo contro i Carraiu Galla, capitanati da un Abbà-Dula Meghen (17 febbraio 1743). Oramai le linee delle direttive del governo scioano erano nettamente tracciate: da una parte, approfittare del progressivo indebolimento dell'autorità dei negus in Gondar, che, nelle mani di fazioni o sotto l'opprimente protezione di capi pretoriani Galla, andavano divenendo, come pur furono chiamati, dei re fantocci, ed affermare quindi l'autonomia, eventualmente l'indipendenza dello Scioa; da un'altra parte, condurre senza tregua e senza esitazione la guerra contro i Galla. E queste direttive furono seguite con fortuna dai varî principi che si seguirono: Amhà Jesùs, il cui regno fu tutto una serie di guerre contro i Galla nel Tegulèt, nel Menz, nel Bulgar, a Tarà, estendendosi i confini del fiume Cacià fino al Mingiàr e dal fiume Beresa alle vallate dominanti il deserto paese di Adal, e stabilendosi la sede del comando in Ancober; morì il 4 febbraio 1774; Asfà-Uosèn, il quale, malgrado i travagli di ripetute ribellioni di suoi figli, poté annettere le provincie e i distretti di Antochià, Discé, Afcarà, Mehuié, Dobà, Uagdà, i Galla Abiciu, Galan, Uoberi, Adan, Lumi raggiungendo Zequalà, e che per di più poté eliminare o indebolire le famiglie feudali delle antiche provincie abissine, Marabieté, Morèt, ecc.; morì il 29 luglio 1807; Uasan-Seghèd, fiero e superbo, che assunse il titolo di ras, pensò perfino a muovere contro Gondar per assumere il primo posto in Abissinia; iniziò la conquista degli Uollo, e morì nel giugno 1811. Sahla-Sellasié (Sāhla Sellāsē), morto il 21 ottobre 1847, superando non tenui burrasche, pervenne a consolidare il suo stato, lo organizzò, e se ne proclamò re, negus. Così lo Scioa aveva oramai percorsa la sua parabola ascendente, venendo a mettersi in prima linea fra le grandi signorie, in cui il vecchio regno d'Abissinia pareva dovesse smembrarsi. A Sahla-Sellasié succedette Haìla-Malacòt (Ḫāyla Malakot), morto nel dicembre 1854. Ma intanto nel nord avvenivano inattesi, profondi mutamenti: la regalità abissina, che era parsa sul punto di tramontare, risorgeva gagliarda con Teodoro, il quale, tra i caposaldi della sua politica, aveva l'accentramento del potere nelle mani del re. La posizione speciale dello Scioa era in pieno contrasto con ciò; donde inevitabile il conflitto. Le vicende di questo conflitto, quelle di Menelik e quelle ulteriori dello Scioa rientrano nel quadro della storia generale dell'Etiopia (v. etiopia: Storia).
Guébré Selassié, Chronique du règne de Ménélik II roi d'Ethiopie, Parigi 1930; A. Cecchi, Da Zeila alle frontiere del Caffa, I, Roma 1886.