Vedi Repubblica Centrafricana dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2016
La Repubblica Centrafricana (R.C.) è uno stato indipendente dal 1960, ma con una storia, in particolare quella recente, ravagliata. Lontana dai traguardi minimi della democrazia, la R.C. ha visto alternarsi governi fortemente autoritari, militari e accentratori, che hanno attuato una gestione delle risorse del paese fortemente personalistica, non esitando a fare appello a combattenti e appoggi internazionali pur di rimanere al potere. Le prossime elezioni generali, da tenersi tra la fine del 2015 e l’inizio del 2016, sarebbero le seconde votazioni libere nella storia del paese. La permanenza di elementi di instabilità e di violenza diffusa fanno propendere tuttavia per un posticipo ulteriore del turno elettorale.
La posizione geografica contribuisce alla fragilità del paese: gli stati confinanti – Ciad, Sudan, Sud Sudan, Repubblica Democratica del Congo, Repubblica del Congo e, in misura minore, Camerun – sono caratterizzati da forte instabilità e attraversati da lunghi conflitti irrisolti. Le frontiere porose del paese e la morfologia del territorio (scarsamente abitato e ricco di foreste), hanno favorito la mobilità e la costituzione di basi di fazioni ribelli di vari paesi, dal Ciad al Sudan e al Darfur, passando per gli appartenenti al Lord’s Resistance Army (Lra), che in fuga dall’Uganda si sarebbero rifugiati nel sud della R.C.. Il movimento di combattenti è interconnesso al traffico di armi, rappresentando un rischio alla sicurezza per la maggior parte dei paesi dell’intera fascia subsahariana. L’instabilità permanente, la mancanza di sbocchi sul mare e la netta prevalenza del settore primario sul pil del paese hanno fatto sì che la R.C. venisse trascurata dalle potenze internazionali, a eccezione della Francia – che ha intessuto da sempre forti relazioni con Bangui, influenzando considerevolmente gli eventi politici del paese –, e della Cina. Proprio Pechino, che rappresenta il secondo partner economico della R.C. per numero di esportazioni, ha considerato il paese africano uno snodo essenziale per il passaggio dell’oleodotto cinese Ciad-Camerun. In realtà la R.C. può contare sull’abbondanza di risorse minerali (diamanti, oro, uranio, ferro, rame) e su una straordinaria biodiversità.
Dopo tre tumultuosi decenni di malgoverno – per lo più da parte di organi militari –, un governo civile è stato finalmente istituito nel 1993, ma è durato soltanto per un decennio. Nel marzo 2003, il governo di Ange-Félix Patassé è stato infatti rovesciato dal colpo di stato condotto dal generale François Bozizé, con l’appoggio del presidente ciadiano Idriss Déby Itno. Il governo di transizione guidato da Bozizé è stato inizialmente appoggiato dalla Francia e condannato dall’Unione Africana e dalle Nazioni Unite. Le due organizzazioni internazionali hanno riconosciuto la leadership della R.C. solo nel 2005, quando Bozizé ha indetto e vinto le elezioni presidenziali e legislative con il partito Convergence Nationale ‘Kwa Na Kwa’. Bozizé ha potuto contare ripetutamente sul sostegno francese: nel 2006 Parigi è intervenuta nel conflitto interno contro le forze ribelli stanziate nel nord-est, offrendo appoggio logistico all’esercito centrafricano. Il governo francese è stato anche il principale promotore dell’operazione Eufor Ciad-Car, avviata nel 2008 e poi sostituita dalla missione di peacekeeping delle Nazioni Unite Minurcat, finalizzata a promuovere la pace nella regione di confine tra Ciad e R.C., a permettere il soccorso umanitario alle migliaia di sfollati sudanesi scampati alla guerra del Darfur e a proteggere i civili da possibili ritorsioni dell’esercito sudanese. Con l’avvio di accordi bilaterali tra il Sudan e i paesi confinanti, le Nazioni Unite hanno deciso per il ritiro delle truppe e la fine della missione (31 dicembre 2010); la situazione tra Khartoum e Bangui è però rimasta tesa e si è complicata con la proclamazione di indipendenza e la guerra civile del Sud Sudan. L’intervento della Minurcat e la riconciliazione con l’opposizione del Front Démocratique du Peuple Centrafricain (Fdpc) hanno permesso un consolidamento del potere di Bozizé e la formazione nel gennaio 2009 di un governo di unità nazionale.
Ciononostante, la stabilità interna della R.C. ha avuto una breve durata, allorquando nel marzo del 2013 una coalizione di gruppi armati, chiamata Séléka, ha guidato un colpo di stato contro Bozizé: questo ha portato alla proclamazione di Michel Djotodia, un militare e musulmano convertito, come nuovo capo di stato e alla costituzione di un Consiglio nazionale di transizione (Cnt). Dalla loro avanzata nel 2013 dal nord del paese verso la capitale Bangui, nel sud, i Séléka si sono resi protagonisti di numerose violenze e crimini, le cui gravità hanno costretto lo stesso presidente Djotodia a sciogliere unilateralmente le milizie ribelli nel settembre dello stesso anno. Questa decisione non ha tuttavia arrestato le violenze e i soprusi nei confronti della popolazione civile cristiana, esasperando la già fragile frammentazione interna al movimento ribelle. La connotazione religiosa della coalizione ribelle è spiegata dal fatto che i Séléka, oltre ad ospitare fra le loro fila jihadisti provenienti dagli stati vicini, hanno reclutato i propri uomini soprattutto fra le province musulmane del nord, cioè quelle più colpite dalla disoccupazione, dalla povertà e dalla reiterata marginalizzazione subita fin dai primi anni di governo di François Bozizé. L’emergere di una pericolosa frattura religiosa fra cristiani (l’80% della popolazione) e musulmani (circa il 10%), di difficile ricomposizione nel lungo periodo, è stata una conseguenza, più che la causa, del conflitto: gli insorti Séléka hanno rivendicato la loro identità islamica, impiegando tecniche estremamente violente apprese probabilmente dai gruppi jihadisti. La diffusione della violenza e la crescita costante dei crimini a sfondo religioso hanno portato conseguentemente alla creazione di milizie di autodifesa cristiane (anti-balaka, gli ‘anti-machete’), allo scopo di contrastare l’azione dei Séléka. Gli atti degli anti-balaka, non meno cruenti di quelli dei Séléka, hanno generato un’escalation di violenze intercomunitarie, accompagnate da saccheggi di esercizi commerciali e abitazioni e da uccisioni di massa, come dimostrato dalla scoperta di fosse comunitarie in zone remote del paese. Alcune personalità internazionali di rilievo, politici e attivisti dei diritti umani, hanno pertanto parlato di un vero e proprio genocidio in corso. La crisi politica in atto dal 2013 ha generato più di 900.000 sfollati interni (circa il 25% della popolazione totale), che vanno a sommarsi ai 190.000 rifugiati che hanno abbandonato il paese per ripiegare nei campi profughi in Repubblica Democratica del Congo, Repubblica del Congo, Ciad e Camerun, rendendo sempre più profonda l’emergenza alimentare e umanitaria nel paese. Nonostante la presenza di numerose forze multinazionali di peacekeeping (in particolare la missione delle Un Minusca e quella europea Eufor R.C., guidata dalla Francia), la situazione politica, sociale e di sicurezza interna nella R.C. è ancora ben lontana dal potersi definire stabilizzata.
Nel gennaio 2014, l’autoproclamato presidente Djotodia è stato costretto alle dimissioni, a causa del progressivo precipitare della situazione politica centrafricana. Supportato dalla Comunità economica dell’Africa centrale (Eccas), il Cnt ha provveduto a nominare Catherine Samba Panza, già sindaco di Bangui, nuovo capo di stato ad interim. Il mandato transitorio di Samba Panza si è sostanziato principalmente nella costruzione di un nuovo impianto politico e istituzionale, mirato a favorire un passaggio – il meno traumatico possibile – da una situazione di forte autoritarismo ad una condizione di democrazia stabile. Né il governo, dimostratosi troppo debole e senza una precisa strategia, né i contingenti internazionali, impegnati a contenere le violenze in R.C., sono riusciti a garantire questo nuovo percorso di stabilizzazione politico-istituzionale. A rendere ancora più incerta la situazione interna al paese hanno inciso la ripresa delle violenze interreligiose a Bangui e la mancata definizione di un calendario elettorale. Entro la fine del 2015, infatti, si dovrebbero tenere le elezioni presidenziali e legislative, oltre che un referendum per l’approvazione della nuova Costituzione; gli osservatori internazionali sono però molto scettici circa le reali capacità di transizione del paese nel breve-medio periodo.
I conflitti che hanno attraversato la R.C. fin dalla sua indipendenza hanno impedito l’attuazione di qualsiasi piano di sviluppo e hanno costituito un forte ostacolo alla rivitalizzazione economica del paese. Nel 2009 il Fondo monetario internazionale ha lavorato a stretto contatto con il governo per istituire un programma di riforme ma, nonostante si sia registrato un qualche miglioramento nella gestione dell’amministrazione (soprattutto in termini di trasparenza del bilancio pubblico), rimangono ancora numerosi i problemi da superare.
Lo sviluppo economico del paese è frenato da debolezze strutturali quali la carenza di infrastrutture di trasporto, una forza lavoro in gran parte non qualificata e un retaggio di politiche macroeconomiche inadeguate. Per questi motivi, l’economia resta prevalentemente basata su un’agricoltura di sussistenza e su attività che sfuggono alla contabilità nazionale: è diffusa, infatti, la pratica dell’esportazione e del commercio individuale illegale di materie prime, soprattutto diamanti. Si stima così che l’economia informale della R.C. sia percentualmente maggiore di molte altre economie formali di altri paesi limitrofi. Il paese registra uno dei tassi di povertà più alti al mondo, collocandosi agli ultimi posti nella classifica dell’Indice di sviluppo umano. L’aspettativa di vita è ferma a poco più di 50 anni e il tasso di mortalità è tre volte superiore alla soglia che definisce l’emergenza umanitaria.
Quando François Bozizé assunse il potere nel 2003, nel nord del paese si concentrarono alcune delle principali forze ribelli che combattevano il governo centrale di Bangui. Sebbene in passato queste fazioni si fossero segnalate per un’assenza di coordinamento nell’azione di combattimento del regime, dal 2007 questi gruppi si unirono nella coalizione Séléka (in sango, la lingua locale, significa ‘alleanza’), che comprendeva diversi movimenti fra cui l’Ufdr (Union des Forces Démocratiques pour le Rassemblement), il Cpjp (Convention des Patriotes pour la Justice et la Paix), Fdpc (Front Démocratique du Peuple Centrafricain) e il Cpsk (Convention Patriotique pour la Sauvegarde du Kodro). La coalizione si formò in risposta al mancato rispetto da parte di Bozizé degli accordi di pace del 2007, mediati dalla Libia e firmati da ribelli e governo. L’intesa prevedeva una rinuncia alle armi e la completa smilitarizzazione delle fazioni insorte: queste in cambio avrebbero ricevuto un indennizzo in denaro e la promessa di un loro reinserimento nella vita pubblica nazionale. Col tempo, l’alleanza originaria dei Séléka subì alcune trasformazioni. Innanzitutto, la trasformazione strutturale da coalizione ad aggregato di gruppi ribelli, che manteneva però come obiettivo finale il rovesciamento del regime di Bozizé; in secondo luogo l’allargamento del fronte ribelle a nuovi gruppi con connotazioni ideologiche sempre più ricercabili nell’islamismo armato. Infatti nel momento in cui i Séléka cominciarono l’offensiva contro il governo di Bozizé tra la fine del 2012 e gli inizi del 2013, infiltrazioni di combattenti ciadiani e sudanesi ingrossarono le fila del movimento, dando al gruppo una connotazione islamista e jihadista, che si è riflettuta in violenze perpetrate a danno dei cristiani. Il movimento dei Séléka ha così acquisito una proiezione regionale e non più locale, divenendo una federazione di gruppi armati con connessioni internazionali, caratterizzata da una fragile e dispersa catena di comando e poco riconosciuta dai cittadini centrafricani, che ancora dubitano della stessa origine dei combattenti.
A sedici anni dalla creazione del sistema internazionale preposto a contrastare il commercio illegale di diamanti, il cosiddetto ‘Kimberley Process’, un nuovo caso di ‘blood diamond’ (‘diamanti insanguinati’) è stato riscontrato in Repubblica Centrafricana (R.C.). Come denunciato in un rapporto del settembre 2015 di Amnesty International, i principali uomini d’affari locali e stranieri, nonché i signori della guerra della Rca, hanno realizzato enormi profitti per svariati milioni di dollari con il traffico illegale di diamanti. Si pensi che l’unico lotto riconosciuto come illegale e costituito da 60.000 carati di diamanti ha un valore commerciale di almeno 7 milioni di dollari. Gli anti-balaka e i Séléka – denuncia il rapporto – avrebbero infatti sfruttato il vuoto di potere esistente nel paese per finanziare la guerriglia e i gruppi armati responsabili di crimini contro l’umanità. Una situazione possibile grazie al controllo esercitato sulla maggior parte dei siti di estrazione di diamanti da parte delle milizie locali. Secondo il documento di Amnesty International, questa situazione avrebbe conosciuto inoltre il coinvolgimento delle principali compagnie centrafricane di diamanti (Sodiam, Badica e Kardiam). Sebbene esistesse un precedente divieto di commerciare diamanti dalla R.C. del maggio 2013, il governo di transizione, in accordo con il protocollo ‘Kimberley Process’, nell’estate 2015 ha deciso di rimuovere parzialmente questo embargo, alimentando così i dubbi sulle reali capacità di porre un freno ad un fenomeno globale come quello dei ‘diamanti insanguinati’.