Francia, regno di
Per tutto il XIII sec. il Regno di Francia fu la principale potenza politica dell'Occidente. Questa preminenza, conseguita nei fatti con le vittorie riportate durante la seconda parte del regno di Filippo II Augusto, sovrano unico dal 1180 (confisca dei feudi anglo-normanni a nord della Loira fra il 1202 e il 1204, vittoria di Bouvines nel 1214), e il breve regno di Luigi VIII, dal 1223 al 1226 (conquista del Poitou e de La Rochelle, sottomissione della Linguadoca), si confermò sotto il lungo e prestigioso regno di Luigi IX. Il Regno di Francia non estese i suoi confini tradizionali ‒ al contrario, rinunciò alla sovranità sulla contea di Barcellona ‒ ma dal regno del 're giustiziere', Luigi IX, la sua influenza penetrò in profondità nelle terre dell'Impero (Hainaut, contea di Borgogna, Lionese, Provenza) e, alla morte di Federico II, il re di Francia assunse il ruolo di arbitro tra i sovrani dell'intera Europa. Con la conquista del Regno di Napoli (1266) da parte del fratello cadetto di Luigi IX, Carlo d'Angiò, a partire dalle sue basi provenzali, e la progressiva annessione di oltre la metà della superficie del Regno al dominio reale, anche grazie ai giochi del caso biologico, fino alla morte di Filippo il Bello (1314), quest'influenza andrà rafforzandosi ulteriormente fino al principio del XIV secolo. Senza spingersi tanto oltre, l'epoca che va dall'inizio del periodo centrale del regno di Filippo Augusto, alla svolta del XIII sec., fino alla morte di Luigi IX (1270), fu caratterizzata dall'ascesa della potenza demografica, economica e politica del Regno, dalla consistente crescita di Parigi e dei grandi centri urbani del Nord della Francia (Rouen, Amiens, Beauvais, Arras), dal consolidamento di uno stato regio che si organizzò solidamente su scala nazionale, con l'istituzione dei balivi, e dall'irradiazione dell'Università di Parigi, che assunse un assetto definitivo sotto Filippo Augusto e fu promossa dal papato a garante dell'ortodossia. Paese per eccellenza di chierici e di cavalieri, la Francia settentrionale, il cuore del Regno, impose i suoi modelli culturali in tutta l'Europa, dall'architettura delle sue cattedrali alla letteratura cortese in lingua d'oïl, alla scolastica dei centri d'insegnamento parigini. Quest'influenza, massiccia, a partire dal XII sec., in Inghilterra e nelle terre dell'Impero contigue al Regno a nord e a est, si estese pure all'Oriente, dove i 'quadri' degli stati crociati del XIII sec. ‒ Regno di Gerusalemme ricostituito, Impero latino di Costantinopoli ‒ furono essenzialmente francesi, ma poi anche al Meridione del Regno, entrato brutalmente alle dipendenze del re a partire dalla crociata contro gli albigesi (1209). La successione di tre sovrani di notevole statura dal 1180 al 1270 ‒ due dei quali ebbero l'opportunità di regnare a lungo ‒ contribuì a fare della Francia il vero centro politico dell'Occidente all'epoca di Federico II. Uno degli aspetti paradossali dell'età federiciana è il fatto che l'imperatore, sovrano supremo di diritto della cristianità nella sfera temporale, abbia dovuto fare i conti con un Regnum Francorum le cui risorse politiche, militari e finanziarie erano già incomparabilmente superiori a quelle di un imperatore e di un sovrano di Sicilia.
Il problema delle relazioni tra Federico II e il Regno di Francia può essere inquadrato da diverse angolazioni. Un primo aspetto non trascurabile è l'importanza delle reti di parentela d'origine francese e della cultura aristocratica che esse veicolano nell'ascendenza e nella cerchia di Federico. Da parte della madre Costanza d'Altavilla Federico discendeva dall'aristocrazia normanna di Sicilia, che contava ancora numerosi rappresentanti nel Regno. Questi legami familiari e di lignaggio non erano stati dimenticati dalle famiglie baronali francesi, come attesta la cronaca a sfondo autobiografico di Jean de Joinville, cugino di terzo grado dell'imperatore. Marito di Isabella di Brienne, Federico II fu del resto sovrano del Regno di Gerusalemme, i cui 'quadri' politici erano d'origine francese. Per finire, non furono pochi i signori, vassalli al contempo del re di Francia e dell'imperatore, che entrarono a far parte più o meno a lungo della familia di Federico o di suo figlio Enrico (VII). Al vertice della gerarchia dei familiari, il conte Raimondo VII di Tolosa (dal 1229 al 1249), che fu uno dei principali agenti della politica imperiale nel Regno d'Arles, risiedette a lungo a corte e svolse un ruolo di rilievo nei negoziati dei due anni precedenti alla deposizione dell'imperatore. A questa circolazione di persone corrispose anche una circolazione d'idee, che riguardò innanzitutto la cultura aristocratica occitana, in seconda istanza una cultura dotta internazionale, ma fortemente influenzata dai modelli francesi, di cui fu esponente, tra gli altri, il poeta anglo-normanno, ma di lingua latina, Enrico di Avranches, che visse a corte nel 1234. Tuttavia, sia che dipenda dall'influsso delle diverse mode culturali di matrice o d'ispirazione francese, sia che esprima il peso dei lignaggi e delle reti aristocratiche d'origine transalpina, la componente non trascurabile di elementi francesi nel mondo di Federico II si spiega soprattutto con la centralità della posizione della Francia nel complesso dell'Europa occidentale e nel mondo d'Oltremare, una realtà di lunga durata rinsaldata dall'ascesa dei Capetingi, a partire da Filippo Augusto, e non da una precisa volontà di appropriazione da parte dell'imperatore.
È nuovamente il peso politico acquistato dal Regno di Francia a partire dal 1180 a spiegare la sua influenza crescente lungo i confini occidentali dell'Impero, avvertibile fin dagli esordi del regno di Federico II. Un'influenza che non si esercitò attraverso strategie di acquisizioni territoriali, che saranno avviate solo sotto Filippo il Bello nel Regno di Borgogna (annessione del Vivarais nel 1305 e del Lionese nel 1307), ma tramite il gioco delle alleanze dinastiche e degli impegni vassallatici. A partire dal regno di Filippo Augusto, i re di Francia imitarono i loro rivali plantageneti, instaurando dei feudi di rendita che consentivano di creare rapporti di dipendenza dai signori che non avevano possedimenti nel Regno. Fu così che Filippo Augusto si assicurò, a fasi alterne, l'alleanza del duca Enrico di Brabante. Durante la prima metà del XIII sec., attraverso le complesse vicende legate alla successione nelle Fiandre, dopo la morte in Oriente di Baldovino di Hainaut nel 1205, il potere francese estese la sua influenza sulle Fiandre comitali, la cui frangia orientale era situata nell'Impero, l'Hainaut, il marchesato di Namur e la contea di Bar. Intervenne occasionalmente in Lorena e nel Cambrésis, mentre a est la contea di Borgogna, feudo imperiale, era alle dipendenze del ducato di Borgogna, uno dei grandi feudi del Regno di Francia. In questo vasto insieme, l'appartenenza all'Impero non era minimamente contestata, ma l'influenza del potere imperiale era soverchiata dall'egemonia dei re di Francia, anche se Enrico (VII) si richiamò ai diritti imperiali su Metz e su Cambrais, esigendo la rigida applicazione dei trattati d'alleanza e il non intervento del potere capetingio al fianco di forze ostili ai vassalli degli Hohenstaufen in queste regioni. A sud-est del ducato di Borgogna, la parte settentrionale del Regno di Borgogna o di Arles era la sola zona in cui le frontiere tra l'Impero e la Francia apparivano confuse, come rivelano le esitazioni del potere francese al principio del regno di Luigi IX in merito allo statuto, imperiale o regio, del Vivarais, terra imperiale a ovest del Reno, la cui appartenenza all'Impero dovette essere confermata dal ricorso agli archivi e alle testimonianze degli anziani. La penetrazione francese in quest'area di future annessioni (Lionese, Vivarais) non infastidì oltre misura la politica imperiale, poco attiva in queste regioni. Diverso fu il caso della Provenza, più a sud, nel cuore del Regno di Arles, dove l'ascesa del potere capetingio, scandita dalla presa di Avignone da parte di Luigi VIII (1226), dal matrimonio di Luigi IX con Margherita di Provenza (1234) e dall'acquisizione della contea da parte del fratello del re Carlo d'Angiò (1246), rappresentò un ostacolo immediato alla politica di restaurazione imperiale molto energica intrapresa da Federico II. In questo dominio particolare, la competizione fra i due poteri ebbe conseguenze politiche importanti, che incisero sulle relazioni diplomatiche tra il Regno e l'imperatore. In questa diversa reazione imperiale alla penetrazione francese a seconda delle regioni prese di mira è senz'altro riconoscibile la linea politica di Federico II, tutta rivolta verso il Mediterraneo e l'Italia settentrionale. Provenza, Savoia e Delfinato erano zone d'intervento attive del potere imperiale, perché, proprio come la Germania meridionale a nord e il Regno di Sicilia a sud, erano direttamente contigue a ovest al campo d'azione centrale di Federico, la Lombardia e il suo prolungamento piemontese. Pertanto, malgrado la competizione sempre più esplicita che andò delineandosi fra le due dinastie nel sud del Regno di Arles, i rapporti fra i Capetingi, la cui capitale era la sede dell'ortodossia cattolica incarnata dalla sua prestigiosa Università, e lo Svevo, due volte scomunicato, furono tutt'altro che cattivi durante gran parte del regno di Federico II.
Le relazioni politiche fra i tre re francesi contemporanei di Federico II e la casa sveva furono caratterizzate dalla ricerca attiva, da una parte o dall'altra ‒ e spesso anche congiuntamente ‒ di un'alleanza destinata, almeno all'inizio, a perpetuare le eccezionali conquiste delle due dinastie. Malgrado le terribili scosse seguite alla morte dell'imperatore Enrico VI, la doppia elezione di Filippo di Svevia e di Ottone di Brunswick nel 1197 e l'assassinio di Filippo nel 1208, la continuità dinastica, il cui principio sembrava imporsi gradualmente in Germania a favore degli Hohenstaufen, conferì progressivamente solidità all'alleanza delineata nel 1171 (incontro di Vaucouleurs tra Federico Barbarossa e Luigi VII), solennemente confermata nel 1187 (incontro tra Filippo Augusto e Barbarossa), un po' strapazzata dalle ambizioni di Enrico VI, ma ribadita sotto Filippo di Svevia. Fu in concomitanza con la morte del padre di Federico II e la conseguente minaccia di una dominazione guelfa, sostenitrice dell'impero angioino, in Germania, che la politica di avvicinamento agli Hohenstaufen, fino a quel momento esitante e spesso contrastata, divenne un solido principio della diplomazia capetingia. Le speranze riposte da Filippo Augusto nello zio di Federico, Filippo di Svevia, si trasferirono naturalmente sul giovane Federico dopo il 1208. Nell'arco di tempo intercorso fra l'incontro di Vaucouleurs del novembre 1212 fra il principe Luigi, futuro Luigi VIII, e Federico, appena giunto in Germania, e il rinnovo dei trattati d'amicizia e di assistenza del 1232 fra l'imperatore e il giovane Luigi IX si situa l'apogeo dell'alleanza franco-sveva. Nel 1212 il sostegno diplomatico e soprattutto le consistenti sovvenzioni accordate al giovane candidato all'Impero da Filippo Augusto determinarono largamente il buon esito dell'affermazione di Federico nel Meridione della Germania. Le due case approfittarono anche dei rispettivi successi riportati nei confronti dell'alleanza anglo-guelfa, dalla vittoria di Bouvines (1214) alla morte di Ottone IV nel 1218. Nel decennio successivo a queste vittorie ‒ che per la Francia corrisponde alla fine del regno di Filippo Augusto e al breve regno di Luigi VIII (1223-1226) ‒ i due poteri avevano tutto l'interesse a fornirsi un appoggio reciproco per stabilizzare e assicurare le loro conquiste: l'affermazione di un potere forte in Germania e in Sicilia garantiva, in una certa misura, di rendere definitive le conquiste territoriali capetinge (Normandia, Maine, Angiò, Aunis, Saintonge, Linguadoca) nella stessa Francia. Malgrado gli attriti causati dall'intervento del potere regio francese in Provenza (presa di Avignone nel 1226) o nel Cambrésis, la volontà di Federico II di mantenere questo rapporto privilegiato si tradusse nel rinnovo dei patti del 1212, avvenuto a Catania nel 1223, nell'incontro diplomatico di Vaucouleurs fra Enrico (VII) e gli emissari del potere capetingio e nelle pressioni esercitate dal padre sul giovane re dei Romani affinché si opponesse all'alleanza con gli inglesi suggerita dal suo mentore, l'arcivescovo di Colonia Engelberto, e si impegnasse fermamente con re Luigi VIII. Durante la minorità di Luigi IX e l'energica reggenza della madre, la regina Bianca di Castiglia, il potere regio francese, costantemente minacciato dai grandi baroni del Regno appoggiati dal sovrano inglese Enrico III Plantageneto, non ebbe altra scelta che assecondare Federico, il quale auspicava il prolungamento e il rafforzamento della tradizionale alleanza. Nelle clausole di estradizione reciproca il trattato del 1232 rappresenta la traduzione più compiuta di questa politica di mutuo sostegno fra le due dinastie.
I dieci anni seguenti videro declinare rapidamente quest'alleanza che perse il suo carattere privilegiato. L'imperatore fu impegnato a condurre un'attiva politica di restaurazione della sua autorità nel Regno di Arles, in contrasto con l'influenza crescente della monarchia francese in queste regioni. Nel momento stesso in cui Federico cercava di servirsi del conte di Tolosa Raimondo VII per ristabilire la sua autorità in Provenza, le nozze di Luigi IX con Margherita di Provenza, figlia del conte Raimondo Berengario V di Provenza e principale rivale del conte di Tolosa nella regione, preannunciarono un probabile cambiamento negli equilibri diplomatici. Comunque l'imperatore, allora all'acme della sua potenza, tentò di promuovere una politica di equilibrio fra i due grandi Regni occidentali, la Francia e l'Inghilterra, poiché entrambi potevano fornirgli un importante sostegno per le sue imprese nell'Italia settentrionale, ma anche con la speranza che si neutralizzassero reciprocamente. Senza rompere apertamente con il re capetingio, Federico progettò un significativo riavvicinamento al suo rivale plantageneto unendosi in matrimonio a Worms nel 1235 con Isabella, sorella di Enrico III d'Inghilterra. Le minacce di una rottura diplomatica si fecero più tangibili negli anni successivi, con la seconda scomunica dell'imperatore nel 1239, la cattura da parte della flotta pisana e imperiale dei dignitari ecclesiastici diretti al concilio convocato da papa Gregorio IX a Roma nel 1241 (v. Giglio, battaglia del) ‒ fra cui si contavano numerosi vescovi e abati francesi ‒ e l'appoggio imperiale, discreto (e controverso) ma percettibile, all'offensiva anglo-tolosana del 1241-1242 contro la dominazione francese nel sud-ovest del Regno, respinta da Luigi IX a Taillebourg. In questo stesso periodo il tentativo dell'imperatore di ottenere la mano di Isabella, sorella di Luigi IX, per suo figlio Corrado non fu coronato dal successo.
Malgrado il sensibile raffreddamento dei rapporti prodotto da questa successione di conflitti e di ambiguità della diplomazia imperiale, dopo l'interruzione provocata dalla vacanza degli anni compresi fra il 1241 e il 1244, il Regno di Francia non allineò la sua politica a quella del papato, allorché il nuovo pontefice Innocenzo IV optò per lo scontro frontale con l'imperatore e si rifugiò a Lione, in prossimità del territorio francese, nel 1244. Le scelte politiche del sovrano capetingio in quei frangenti denotarono una complessa mescolanza di prudenza e di fermezza nei confronti dei due contendenti. Luigi IX mostrò riguardo per il papato, non si oppose al concilio, nei negoziati di Cluny del 1245 accettò sotto condizioni la predicazione contro Federico II nel suo Regno e, quando l'imperatore minacciò di organizzare una spedizione contro Lione nel 1247, assicurò al pontefice il suo sostegno militare. Tuttavia, pur avendo rifiutato di rinnovare ufficialmente l'alleanza tradizionale, il re non ruppe apertamente con Federico e moltiplicò i tentativi per intercedere in suo favore presso il Papato, fino all'inizio della crociata francese nel 1248. È addirittura possibile considerare gli anni che vanno dal 1244 al 1250 come una paradossale conferma, se non dell'alleanza, perlomeno dei legami fra il Regno di Francia e gli Hohenstaufen: l'imperatore, indebolito dalla sua deposizione e dall'elezione di un altro re in Germania, con le conseguenti ripercussioni italiane, non poté far altro che lasciare il campo libero ai Capetingi nel Regno di Arles, con l'insediamento della dinastia angioina in Provenza in seguito alle nozze di Carlo d'Angiò e Beatrice, sorella della regina di Francia ed erede della contea. Federico aveva bisogno del sostegno o, almeno, della neutralità del re di Francia; Luigi IX, da parte sua, dopo il voto pronunciato nell'autunno del 1244, assorbito dalla preparazione della sua crociata, intendeva innanzitutto assicurare le condizioni materiali per il buon andamento dell'impresa. A questo scopo aveva bisogno dell'appoggio logistico del re di Sicilia, circostanza che consentì a Federico di dimostrare la sua buona volontà. Gli sforzi profusi dall'imperatore per agevolare al massimo il passaggio dell'esercito francese e il suo approvvigionamento oltremare, malgrado la carestia che allora imperversava in Sicilia e gli attacchi del papa, rappresentarono uno dei grandi temi della propaganda imperiale negli anni 1247-1249. Peraltro, la stabilizzazione delle relazioni franco-inglesi, a partire dal 1243, modificò radicalmente gli equilibri diplomatici in Europa: relativamente tranquillo sul fronte dell'Inghilterra, Luigi IX si adoperò quindi attivamente per ricomporre l'aspro conflitto fra Impero e papato che impediva alla Chiesa di offrire un sostegno completo alla sua crociata. Inoltre, se è arbitrario parlare ancora di alleanza fra le due dinastie alla fine del regno di Federico II, la neutralità di fatto del re di Francia fu di grande aiuto all'imperatore assediato da mille difficoltà. Per un amaro paradosso, Federico, nei suoi ultimi anni, ridivenne in certa misura dipendente dalla monarchia francese che già l'aveva sostenuto nell'impresa imperiale del 1212.
Pertanto ‒ e quest'aspetto delle relazioni tra Federico II e la Francia è senz'altro il più importante e anche il meno studiato ‒ i rapporti fra l'imperatore e il Regno sono ben lungi dal ridursi a quelli intrattenuti dalle due dinastie, né possono essere riassunti nell'alternanza di complicità e di tensioni fra i re di Francia che si succedono e Federico II. All'epoca della prima scomunica, ma soprattutto nell'ultimo periodo di regno dell'imperatore (1238-1250), la Francia fu un teatro privilegiato dell'intensa propaganda imperiale, riflessa in parte nel primo libro della raccolta di lettere attribuite a Pier della Vigna. Le grandi encicliche, destinate a confutare la politica papale e a esporre il punto di vista imperiale, dopo la seconda scomunica, la morte di Gregorio IX, il fallimento dei negoziati del 1244 e la deposizione del 1245, furono concepite per convincere le corti francesi, inglesi e iberiche della fondatezza delle azioni imperiali, ma anche per esercitare un'influenza diretta sulla nobiltà dei Regni di Francia e d'Inghilterra. Gli obiettivi della propaganda imperiale rivolta alla nobiltà francese e inglese subirono un'evoluzione via via che il conflitto fra l'imperatore e il papa andava aggravandosi. Nei due anni precedenti alla seconda scomunica, l'imperatore fece leva sull'allettamento del guadagno e su una retorica mirata a richiamare all'ordine i vassalli disobbedienti, per assicurarsi una partecipazione attiva dei nobili francesi e inglesi nelle sue campagne lombarde. Fu così che il conte Baldovino III di Guines, vassallo del fratello di Luigi IX, Roberto d'Artois, partecipò alla testa dei suoi cavalieri alla campagna imperiale del 1238 in Lombardia, dopo averne chiesto l'autorizzazione al re di Francia.
Dopo la seconda scomunica, e più ancora in seguito alla deposizione del 1245, la posizione di Federico II si fece più precaria e da quel momento l'imperatore si impegnò sopra ogni cosa a evitare che la nobiltà francese o inglese si arruolasse in massa nella crociata contro gli Hohenstaufen predicata dal papa. L'impatto della propaganda imperiale e dei temi che diffondeva è chiaramente leggibile nella letteratura politica occitana prodotta dagli ambienti avversi alla dominazione capetingia in Linguadoca e nella vicina Provenza imperiale. In questo particolare contesto, la simpatia per la causa dell'imperatore si accompagnava a un'ostilità nei confronti del papato strettamente legata a un'opposizione politica contraria al dominio diretto o indiretto dei Capetingi ‒ un'associazione naturale da parte dei signori meridionali dopo l'avvio della crociata contro gli albigesi. Ma l'ampio successo riscosso dai libelli della cancelleria imperiale dimostra che l'impatto di questa propaganda nel Regno di Francia non fu affatto limitato ai soli ambienti particolarmente ostili alla Chiesa perché in odore di eresia, come ad esempio quello dei signori Fayditi del Meridione. Negli anni Quaranta questa propaganda registrò infatti ottimi risultati anche in Inghilterra e nella Francia settentrionale. Le parole conclusive dell'enciclica imperiale Illos felices del 1246 (Pier della Vigna, 1740, I, 2, pp. 80-84), con cui l'imperatore invitava i principi e i nobili dell'Occidente a unirsi a lui per riportare il clero alla sua condizione primitiva spogliandolo delle sue ricchezze, furono riprese testualmente nel manifesto dei baroni francesi che nel novembre dello stesso anno si coalizzarono per porre fine agli sconfinamenti del clero nelle loro giurisdizioni, una presa di posizione filoimperiale che dovette senz'altro influenzare la politica di Luigi IX. Se questa 'rivolta dei baroni' contro le pressioni giuridiche e finanziarie esercitate dal clero non ebbe un impatto più forte nel Regno, ciò dipese senza dubbio dalla politica di fermezza adottata dallo stesso sovrano nei confronti della Chiesa, che gli evitò di entrare in contrasto con la sua nobiltà. La coalizione era guidata dal duca Ugo IV di Borgogna e dal conte di Angoulême Ugo X di Lusignano, insieme ad altri grandi vassalli della Corona. Come attesta un esemplare di circolare per il ducato di Champagne, conservato nel Trésor des Chartes, la nobiltà, schierata con i titolari dei grandi feudi, si ribellò al clero su scala nazionale riprendendo le parole d'ordine di Federico II. Due sermoni politici pronunciati nel 1247 dal legato papale Eudes di Châteauroux a proposito della 'rivolta dei baroni', di recente studiati da Alexis Charansonnet (2001), prendono spunto da una citazione biblica usata nell'incipit di uno dei pamphlets antimperiali più violenti dell'epoca (Aspidis ova ruperunt, conservato nel Memorialbuch del chierico Albert Behaim; Das Brief-und Memorialbuch, 2000): se ne deduce che agli occhi della Curia era indubitabile l'associazione tra i movimenti dei signori laici e la propaganda di Federico II. Mettendo a confronto questi documenti con la Chronicamajora di Matteo Paris, si è propensi ad accordare un certo credito alle affermazioni del cronista inglese, quando sostiene che Luigi IX rifiutò a Innocenzo IV l'ingresso nel suo Regno oltre Cluny dietro istigazione dei suoi grandi, che erano contrari a tale concessione. Alla luce di questi avvenimenti, si comprende più agevolmente il fervore con cui Luigi IX si adoperò per trovare una soluzione accettabile per entrambe le parti nel conflitto fra Impero e papato. Se pure, in apparenza, la lotta tra Federico II e Innocenzo IV non rappresentava altro che un inconveniente fastidioso ma di secondaria importanza per il Regno di Francia, di fatto, distogliendo la Chiesa dal suo ruolo di sostegno della crociata voluta dal sovrano, un prolungamento indefinito della contesa tra la Curia pontificia e Federico II minacciava di rimettere in di-scussione la stabilità interna del Regno, esacerbando i contrasti fra clero e nobiltà e aggravando le tensioni scaturite dal malessere generato dal rafforzarsi dell'iniziativa statale sul paese. La relativa facilità con cui Luigi IX sedò i movimenti della nobiltà prima di partire per la crociata nel 1248 dimostra che gli episodi finali del conflitto fra l'imperatore e il papato non furono sufficienti a scuotere la monarchia francese, consolidata da mezzo secolo di crescita e di successi costanti; tuttavia il loro impatto nel Regno attesta comunque gli effetti dirompenti, su scala europea, della lotta mortale ingaggiata a partire dal 1239.
Per concludere, un ultimo aspetto delle relazioni fra l'imperatore e il Regno di Francia su cui è opportuno insistere è il carattere eminentemente tradizionale dei legami tra il Regno e l'Impero, così come si delineano nella corrispondenza tra Filippo Augusto, Luigi VIII e soprattutto Luigi IX, da un lato, e Federico II, dall'altro. Malgrado l'ascesa della potenza del Regno capetingio e la situazione di effettiva dipendenza (per esempio nel 1212-1213) in cui Federico II venne talvolta a trovarsi nei confronti dei suoi potenti vicini, gli scambi diplomatici attestano senza ambiguità il perpetuarsi di un'immagine tradizionale di complementarità fra il Regnum e l'Imperium, eredi congiunti, sebbene di ineguale dignità, dell'Impero carolingio, come traspare per esempio nella celebre lettera di protesta di Luigi IX per la cattura dei prelati francesi da parte della flotta imperiale nel 1241, la Tenuit hactenus, inclusa nell'epistolario di Pier della Vigna, in cui il re ricorda all'imperatore che "i loro antenati, reputando l'Impero e il Regno una sola e identica cosa, hanno sempre mantenuto la concordia, e neppure una scintilla di dissenso si è mai accesa tra loro" (Pier della Vigna, 1740, I, 12, pp. 114-115), prima di chiedere a Federico II di considerare che egli ha proibito al clero di predicare contro di lui, nei suoi stati, e di esortarlo a non provocare il Regno. Questa lettera, usata in seguito da Guglielmo di Nangis in un notevole montaggio, ripreso da una parte della storiografia moderna, per dipingere Luigi IX come un accanito avversario di Federico II, è altrettanto rivelatrice di una concezione ideale dei rapporti fra l'Impero e il Regno che persiste nell'intero periodo federiciano. E anche nella lettera dell'imperatore a Luigi IX risalente all'autunno del 1246, Etsi causam vestram principaliter, che propone un rinnovo dell'alleanza fra le due dinastie, il ricorso all'immagine della congiunzione armoniosa degli astri intende esaltare l'alleanza (coniunctio) tra il re di Francia e l'imperatore, che il papa si sforzava di infrangere. Questa retorica dei rapporti tra il re di Francia e l'imperatore, per quanto convenzionale, attesta nondimeno che la viva consapevolezza di un rapporto privilegiato fra i due corpi più grandi della cristianità occidentale si era lentamente associata alla convinzione di una relazione dinastica fra Svevi e Capetingi ormai tradizionale, allorché, in seguito alla morte di Federico e di Corrado IV, la casa sveva perse definitivamente l'Impero.
fonti e bibliografia
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(traduzione di Maria Paola Arena)