Giglio, battaglia del
Nel 1241 lo specchio di mare tra l'isola del Giglio e quella di Montecristo fu teatro di una breve ma cruenta battaglia, che vide protagoniste la flotta dell'imperatore Federico II contro quella dei genovesi. Occasione dello scontro era stato il concilio indetto a Roma da papa Gregorio IX per la Pasqua del 1241, con lo scopo di confermare la sentenza di scomunica contro l'imperatore e di pronunciare la sua deposizione. Il comune di Genova, allora governato da forze guelfe, si era premurato di assicurare il viaggio da Nizza a Ostia dei prelati oltremontani, minacciati dalle forze ghibelline, organizzando una flotta sotto la guida di Iacopo Malocello. Giunto a Nizza, Malocello imbarcò prelati francesi e spagnoli; fatta poi tappa a Genova, ne prese altri provenienti dalla Lombardia, mentre quelli inglesi, valutata l'inadeguatezza della flotta, si rifiutarono di salpare. Federico II, saputo del sodalizio, aveva infatti inviato un contingente navale al comando del genovese Ansaldo dei Mari, al quale si erano poi unite le forze della Repubblica di Pisa. Il 3 maggio, nonostante un disperato tentativo di fuga, l'imponente flotta imperiale ‒ guidata di fatto da Andreolo dei Mari, figlio di Ansaldo, che non partecipò direttamente all'impresa, e dall'ammiraglio pisano Buzzacarini ‒ raggiunse il contingente genovese e in poco tempo lo sbaragliò: ventidue galee furono catturate e tre affondate, provocando la morte di oltre mille uomini, tra cui l'arcivescovo di Besançon. I vincitori sbarcarono trionfalmente a Pisa, dove ad attenderli c'era il re di Sardegna Enzo, portandosi dietro un carico di quasi quattromila prigionieri. Tra questi ultimi, oltre agli ambasciatori delle città lombarde e ad alcuni dei maggiori esponenti del partito guelfo di Genova, figuravano numerosi dignitari della Chiesa: il legato papale Gregorio da Montelongo, il cardinale vescovo Giacomo di Palestrina, Ottone da Tonengo cardinale di S. Nicola, gli arcivescovi di Bordeaux e di Rouen, gli abati di Cîteaux, Clairvaux e Prémontré. La battaglia del Giglio, salutata da Federico II come un giudizio di Dio, segnò il punto di massimo successo della politica antipapale dello Svevo, che riuscì nello stesso tempo a impedire il concilio e a risollevare le sorti del ghibellinismo italiano, in particolare in Lombardia e nel Lazio. Tuttavia la dura prigionia a cui furono costretti i prelati, molti dei quali perirono rinchiusi nei castelli napoletani e pugliesi, finì per nuocere alla reputazione dell'imperatore, dando nuovo vigore alla propaganda pontificia contro di lui.