Abstract
Il saggio ricostruisce l’istituto del referendum nei luoghi di lavoro, come disciplinato nel titolo III della legge 20.5.1970, n. 300, evidenziandone le principali criticità e correlandole al più ampio tema della titolarità dei diritti sindacali in azienda. Si cerca, poi, di ripercorrere sinteticamente gli sviluppi che il ruolo del referendum sembra aver assunto nelle più recenti evoluzioni legislative e contrattual collettive in relazione al tema dell’efficacia della contrattazione collettiva.
Il diritto ad indire referendum nei luoghi di lavoro rientra nel progetto legislativo, di cui alla l. 20.5.1970, n. 300 di garantire un effettivo contropotere sindacale in azienda attraverso la predisposizione di diritti sindacali tipici in grado di comprimere il potere direttivo ed organizzativo del datore di lavoro per una reale tutela degli interessi dei lavoratori. Peraltro, la politica legislativa promozionale della presenza sindacale nei luoghi di lavoro non viene conferita a qualsiasi organizzazione sindacale, ma soltanto a sindacati presuntivamente rappresentativi delle istanze dell’intera collettività dei lavoratori, e, cioè, a quei sindacati confederali che, all’indomani dell’autunno caldo, necessitano di una legittimazione legale in grado di garantirgli capacità di controllo su una mobilitazione di base fortemente radicalizzata. La ratio legislativa è ancora più necessaria in relazione proprio al referendum, tipico strumento di democrazia diretta atto a divenire mezzo di contestazione nei confronti delle politiche sindacali da parte di organizzazioni minoritarie o di singoli lavoratori.
A norma dell’art. 21 della l. n. 300/1970, il diritto all’indizione del referendum è affidato alle RSA che possono esercitarlo solo congiuntamente od alla RSU unitariamente intesa qualora sia subentrata nella titolarità dei poteri spettanti alla RSA, in conformità alle disposizioni di cui all’accordo interconfederale del 20.12.1993, ora ripreso, ed in parte modificato, dall’accordo interconfederale del 10.1.2014 (superamento del “terzo riservato”, consacrazione del principio di maggioranza, regolamentazione dei mutamenti di appartenenza sindacale dei componenti).
Una siffatta previsione limitativa del potere di indizione del referendum è consequenziale, peraltro, alla natura dell’istituto referendario quale tipico strumento di democrazia diretta ed alla necessità, dunque, di garantire stabilità alle politiche sindacali, non esponendole a qualsivoglia contestazione di gruppi minoritari o di singoli lavoratori, anche sotto il profilo dell’affidabilità di quelle politiche da parte datoriale.
Anche l’oggetto del referendum è limitato a materie inerenti l’attività sindacale, laddove, peraltro, il carattere sindacale discende dalla circostanza stessa che il sindacato consideri una tematica di proprio interesse anche in relazione ad un’analisi che tenga conto, in chiave storica, delle materie oggetto dell’iniziativa sindacale.
Al referendum hanno, poi, diritto di partecipare «tutti i lavoratori appartenenti all’unità produttiva e alla categoria particolarmente interessata», compresi i lavoratori a qualsiasi titolo sospesi (cassa integrati o sottoposti a procedimento disciplinare).
Il referendum, come del resto, gli altri diritti sindacali del titolo III della l. n. 300/1970, in quanto situazione soggettiva attiva alle quale corrisponde una situazione di soggezione e di obbligo del datore di lavoro, limitativa del suo potere organizzativo e direttivo, nonché impositiva di un’attività collaborativa, comporta che l’imprenditore debba consentire lo svolgimento del referendum stesso nell’ambito aziendale, mettendo a disposizione un idoneo locale, nonostante la previsione che il referendum debba svolgersi «fuori dall’orario di lavoro» e, dunque, non possa compromettere il normale svolgimento dell’attività lavorativa.
Non vi è da dimenticare, poi, come il tema della titolarità dei diritti sindacali, ed in particolare, per quel che a noi interessa, del diritto ad indire referendum nei luoghi di lavoro sia correlato al complesso tema della rappresentanza e della rappresentatività sindacale nell’impiego privato che, di recente, si è arricchito di nuovi spunti di criticità con la sentenza della Corte costituzionale n. 231 del 23.7.2013, frutto della nota vicenda Fiat-Fiom, e l’approntamento da parte della contrattazione collettiva di un nuovo strumentario delle relazioni industriali volto al superamento del dissenso confederale ed al recupero dell’unità d’azione con gli accordi interconfederali del 28.6.2011, 31.5.2013 e 10.1. 2014.
Ricordiamo, del resto, come a fini di sostegno e promozione di organizzazioni sindacali storicamente affidabili, la porta di ingresso ai diritti ed alle prerogative sindacali nei luoghi di lavoro di cui al titolo III della l. n. 300/1970 e, dunque, anche del diritto ad indire il referendum, era originariamente il concetto di maggior rappresentatività confederale presunta, di cui alla lett. a) dell’art. 19 della legge stessa, da cui far discendere la possibilità di costituire rappresentanze sindacali nei luoghi di lavoro. Concetto, quello della maggior rappresentatività, che, se da un lato, a seguito del referendum dell’11.6.1995, perdeva la sua capacità selettiva degli agenti sindacali nei luoghi di lavoro, venendo sostituito dal solo requisito della rappresentatività effettiva derivante dalla stipulazione del contratto collettivo applicato nell’unità produttiva di riferimento, di cui alla lett. b) dell’art.19 l. n. 300/1970; dall’altro lato, in virtù della sua forte capacità espansiva veniva utilizzato dal legislatore per garantire alle organizzazioni «maggiormente rappresentative» facoltà e diritti di integrazione dello stesso dettato legislativo, andando ben al di là della mera prerogativa di costituzione di rappresentanze sindacali nei luoghi di lavoro. Consentendo la creazione di un sistema di relazioni industriali che, incentrandosi sul diritto civile e sul principio di libertà dell’art. 39 Cost, co. 1, avrebbe superato il modello proposto dalla Costituzione formale, basandosi sul principio del mutuo riconoscimento tra le parti contraenti, a prescindere dalla loro effettiva consistenza associativa, e sulla necessità dell’unità dell’azione sindacale di quelle organizzazioni presuntivamente rappresentative delle istanze dell’intera classe lavoratrice.
Peraltro, proprio l’esito referendario dell’11.6.1995, sarebbe risultato sostanzialmente ineffettivo, per il tema che a noi interessa, stante il coevo intervento delle stesse organizzazioni confederali che, per il mantenimento di una situazione di privilegio nella gestione delle prerogative e dei diritti sindacali nei luoghi di lavoro, avrebbero stipulato l’Accordo Interconfederale del 20.12.1993 sulla costituzione delle rappresentanze sindacali unitarie e sul loro subentro automatico, qualora costituite, nella titolarità dei diritti di cui al titolo III della l. n. 300/1970 spettanti alle rappresentanze sindacali aziendali. Prevedendo, sempre in quell’accordo, una rinuncia espressa da parte dei suoi sottoscrittori per la futura costituzione e l’eventuale mantenimento di rappresentanze sindacali aziendali, di cui all’art. 19, l. n. 300/1970 e superando, così, in via pattizia, eventuali problematiche scaturenti dalla convivenza di un doppio canale di rappresentanza nei luoghi di lavoro (peraltro, sempre possibile, stante la previsione dell’art.19, l. n. 300/1970).
Saranno soltanto gli eventi derivanti dalla prolungata rottura dell’unità sindacale tra le grandi confederazioni del nostro paese, culminati nel caso Fiat del 2010 che fungeranno da «detonatore di una crisi latente del sistema di relazioni industriali» (oramai fondato su di un’anomia unica nel panorama europeo) e che comporteranno, con l’intervento della giurisprudenza costituzionale del 2013 e della produzione contrattuale della stessa autonomia collettiva (con gli accordi interconfederali del 28.6.2011, 31.5.2013 e 10.1.2014), un ripensamento delle regole sui criteri di legittimazione dei soggetti negoziali e sui concetti di rappresentanza e rappresentatività.
Da un lato, infatti, la sentenza additiva della Corte costituzionale n. 231 del 2013 modificherà il dettato dell’art. 19, lett. b), della l. n. 300/1970 prevedendo che le rappresentanze sindacali aziendali possano essere costituite «anche nell’ambito di associazioni sindacali che, pur non firmatarie dei contratti collettivi applicati nell’unità produttiva, abbiano comunque partecipato alla negoziazione relativa agli stessi contratti», dall’altro lato, la produzione contrattual collettiva del triennio 2011, 2013 e 2014, ove efficace ed applicabile, proprio tenendo conto di quella sentenza prevede che «ai fini del riconoscimento dei diritti sindacali previsti dalla legge si intendono partecipanti alla negoziazione le organizzazioni che abbiano raggiunto il 5% di rappresentanza, secondo i criteri concordati nel presente accordo» (dunque, come media tra il dato associativo, percentuale delle iscrizioni certificate, ed il dato elettorale nelle elezioni delle rsu) «e che abbiano partecipato alla negoziazione in quanto hanno contribuito alla definizione della piattaforma e hanno fatto parte della delegazione trattante l’ultimo rinnovo del c.c.n.l. definito secondo le regole del presente accordo». Ma non è tutto, perché il trittico di accordi interconfederali rimodula anche le regole per la costituzione delle rsu, di cui all’accordo interconfederale del 20.12.1993. Ne consegue un quadro normativo alquanto incerto e frastagliato che, se dal lato della giurisprudenza costituzionale, sembra allargare la porta d’ingresso ai diritti sindacali in azienda, dal versante della contrattazione collettiva, ove applicabile, sembra restringere notevolmente tale accesso, sottoponendolo alle nuove e stringenti regole sulla costituzione delle RSU e sull’accesso alle piatteforme rivendicative; tant’è vero che da più parti si ritiene inevitabile un prossimo intervento legislativo in materia per consentire un ordinato svolgimento delle relazioni industriali in azienda.
Si è a lungo discusso se la disposizione dell’art. 21, l. n. 300/1970, tipizzasse una fattispecie esclusiva di referendum nei luoghi di lavoro, impedendo la legittimità di ulteriori forme di consultazione diretta della base dei lavoratori. La risposta giurisprudenziale e dottrinale ad un siffatto quesito è risultata negativa, stante la generale previsione della garanzia della libertà dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro, di cui all’art. 14 della stessa l. n. 300/1970, nonché del riconoscimento a tutti i lavoratori della libertà di manifestare liberamente il proprio pensiero, ex art.1, l. n. 300/1970 (Cass., 28.11.1994, n. 10119).
Peraltro, in queste eventuali ed ulteriori ipotesi di consultazione dei lavoratori non potranno invocarsi i diritti ed i limiti previsti dall’art. 21, l. n. 300/1970, ossia il coinvolgimento cooperativo del datore di lavoro, ma anche i limiti relativi alla titolarità del diritto ad indire il referendum, risultando ammissibili consultazioni promosse da singole RSA o da altri soggetti sindacali.
È invece escluso dalla giurisprudenza che il datore di lavoro possa utilizzare lo strumento dell’art. 21, l. n. 300/1970, con l’intento di gestire autonomamente le trattative per i rinnovi contrattuali, ledendo tipiche prerogative delle RSA ed incorrendo, dunque, in un comportamento qualificabile come condotta antisindacale, ai sensi dell’art. 28, l. n. 300/1970 (Cass., 14.2.2004, n.2857).
Diversa, poi, è l’ipotesi referendaria prevista dall’art.14, co. 1, l. 12.6.1990, n. 146, laddove si prevede che, in caso di dissenso tra sindacati o di un numero rilevante di lavoratori, la Commissione di garanzia possa indire «di propria iniziativa ovvero su proposta di una delle organizzazioni sindacali che hanno preso parte alle trattative, o su richiesta motivata dei prestatori di lavoro dipendenti dall'amministrazione o impresa erogatrice del servizio» una consultazione tra lavoratori in relazione agli accordi in materia di prestazioni indispensabili da garantire in occasione degli scioperi nei servizi pubblici essenziali (Sciopero nei servizi pubblici essenziali).
Per quanto attiene al delicato profilo dell’efficacia dello strumento referendario di cui all’art. 21, l. n. 300/1970, dottrina e giurisprudenza sembrano concordi nel ritenere il valore del referendum non vincolante poiché rilevante ai soli fini politici ovvero sotto il profilo del rapporto associativo tra lavoratore ed organizzazione sindacale, anche se, nei fatti, sarà poi politicamente più agevole perseguire una linea rivendicativa che non trascuri la volontà della maggioranza dei lavoratori (Cass., 28.11.1994, n. 10119). Conclusione questa valevole sia nell’ipotesi più comune di utilizzo del referendum e, cioè, in relazione alla predisposizione di piattaforme rivendicative sia nell’eventualità dell’utilizzo dell’istituto in chiave successiva all’approvazione di un accordo.
Tuttavia, la situazione sembra destinata a modificarsi profondamente, laddove, negli ultimi anni, soprattutto per superare le problematiche relative al dissenso collettivo in un regime di autonomia privata collettiva evidenziate dal caso Fiat, lo strumento referendario viene identificato dalla contrattazione collettiva quale elemento necessario al conferimento di efficacia generalizzata agli accordi aziendali e nazionali.
L’accordo Interconfederale del 28.6.2011, ripreso, poi, dal Testo Unico del 10.1.2014, dispone, infatti, che «i contratti collettivi aziendali per le parti economiche e normative sono efficaci ed esigibili per tutto il personale in forza e vincolano tutte le associazioni sindacali» (firmatarie del trittico di accordi del 2011/2013 e 2014), se sottoscritti da parte di RSA (nell’ipotesi delle rsu è sufficiente l’approvazione a maggioranza dei componenti della rappresentanza unitaria) e sottoposti al voto dei lavoratori qualora ne faccia richiesta almeno un’organizzazione sindacale (firmataria degli accordi interconfederali) oppure il 30% dei lavoratori dell’impresa, stante la validità del referendum con la partecipazione del 50% più uno degli aventi diritto.
Il Protocollo d’Intesa del 31.5.2013, ripreso anch’esso dal Testo Unico del 10.1.2014, prevede, poi, sotto il diverso profilo dell’efficacia dei contratti collettivi nazionali di lavoro che gli stessi per essere «efficaci ed esigibili» dovranno essere formalmente sottoscritti da organizzazioni sindacali che abbiano complessivamente un livello di rappresentanza (come media tra il dato associativo ed il dato elettorale) superiore al 50%, previa sottoposizione ad una consultazione certificata dei lavoratori con approvazione a maggioranza semplice (le modalità della consultazione certificata dovranno, peraltro, essere regolate «dalle categorie per ogni singolo contratto»).
Non bisogna dimenticare, poi, come l’intento di conferire efficacia generalizzata alla contrattazione collettiva con l’utilizzo dello strumento referendario, a seguito delle complesse problematiche evidenziate dal caso Fiat ha, del resto, influenzato anche l’agire del legislatore. Così, l’art. 8, co. 3, d.l. 13.8.2011, n. 138 (conv. dalla l. 14.9.2011, n. 148), non senza numerose polemiche dottrinali, al fine di garantire efficacia generalizzata agli accordi aziendali Fiat di Pomigliano e Mirafiori, stipulati da Cisl e Uil e non dalla Cgil (che si appellava proprio al mero valore storico-fattuale della fase referendaria), ha riconosciuto efficacia generalizzata ai contratti collettivi aziendali sottoscritti prima dell’accordo Interconfederale del 28.6.2011, laddove approvati con referendum dalla maggioranza dei lavoratori.
Art. 21, l. 20.5.1970, n.300; art. 8, co. 3, d.l. 13.8.2011, n.138, conv. dalla l. 14.9.2011, n. 148.
Sull’istituto referendario, di cui all’art. 21 l. n. 300/1970, Basenghi, F., Il referendum, in Diritto del lavoro. Commentario, Carinci, F., diretto da, I, Le fonti. Il diritto sindacale, Zoli, C., a cura di, Torino, 2007, 196 ss.; Carinci, F.-De Luca Tamajo, R.-Tosi, P.-Treu, T., Diritto del lavoro, 1. Il diritto sindacale, 6° ed., Torino, 2013, 157 ss.; Ballestrero, M.V., Diritto sindacale, 4° ed., Torino, 2012, 171 ss.; Persiani, M., Diritto sindacale, 14° ed., Padova, 2012, 56 ss.; Corso, F., I diritti sindacali, in Trattato di diritto del lavoro, Persiani, M.-Carinci, F., diretto da, vol. II, Organizzazione sindacale e contrattazione collettiva, Proia, G., a cura di, Milano, 2014, 373 ss.
Sulle problematiche relative all’interrelazione tra istituti di rappresentanza e fruizione dei diritti sindacali nel nuovo quadro ordinamentale Bellocchi, P., Rappresentanza e diritti sindacali in azienda, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 2011, 543 ss.; Bollani, A., Contratti collettivi separati e accesso ai diritti sindacali nel prisma degli accordi Fiat del 2010, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 124/2011, 19 ss; Gragnoli, E., Il sindacato in azienda, la titolarità dei diritti sindacali e la crisi del modello dell’art.19 St. Lav., in Argomenti dir. lav., 2012, n. 3, 587 ss; Carinci, F., Adelante Pedro con juicio: dall’accordo interconfederale 28 giugno 2011 al protocollo d’intesa del 31 maggio 2013 (passando per la “riformulazione costituzionale” dell’art.19, lett. b) St.), in Dir. rel. ind., 2013, 3, 598 ss.; Magnani, M., Rappresentatività e diritti sindacali tra autonomia collettiva e giustizia costituzionale, in AA. VV., Legge o contrattazione? Una risposta a Corte costituzionale n.231/2013, Carinci F., a cura di, e-book n. 20, Adapt, 2014, 47ss.; Carinci, F., Il lungo cammino per Santiago della rappresentatività sindacale: dal Tit. III dello Statuto dei lavoratori al Testo unico sulla rappresentanza del 10 gennaio 2014, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 205/2014.
Sulla necessità di un intervento legislativo in materia di rappresentanza nell’impiego privato, Caruso, B., Per un intervento sulla rappresentanza sindacale: se non ora quando, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 206/2014.
Sull’Accordo Interconfederale del 28.6.2011, Treu, T., L’accordo del 28 giugno 2011 e oltre, in Dir. rel. ind., 2011, 3, 635 ss.; Carinci, F., L’accordo interconfederale del 28 giugno 2011: armistizio o pace?, in Argomenti dir. lav., 2011, 3, 457 ss.; Persiani, M., Osservazioni estemporanee sull’accordo interconfederale del 2011, in Argomenti dir. lav., 2011, 3, 454 ss.
Sull’art. 8 d.l. n. 138/2011, Carinci, F., Al capezzale del sistema contrattuale: il giudice, il sindacato, il legislatore, in Argomenti dir. lav., 2011, 6, 1137 ss.; Treu, T., Modifiche in materia di contrattazione collettiva. L’articolo 8 del d.l. n. 138/2011 (L. n. 148/2011), in Libro dell’anno del Diritto, Roma, 2012; Ferraro, G., Il contratto collettivo dopo l’art. 8 del decreto n. 138/2011, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 129/2011; Perulli, A., La prasi applicativa del’art. 8 del d.l. n. 138/2011, convertito in legge n. 148/2011, in Il nuovo diritto del lavoro, Fiorillo, L.-Perulli, A., diretto da, Le relazioni industriali, III, Torino, 2014, 169 ss.