Abstract
Viene esaminato, per linee generali, il modello di regolamentazione del conflitto nei servizi pubblici essenziali, introdotto dalla l. n. 146/1990, come riformata dalla l. n. 83/2000. Si tratta di un modello complesso ed originale che si sviluppa, sostanzialmente, oltre che sui precetti normativi, sul fondamentale ruolo dell’autonomia collettiva e sull’intensa attività iure praetorio della Commissione di garanzia.
La contrazione occupazionale che si delinea nel nostro Paese (e non solo), intorno agli anni ’80, nel settore industriale, dà luogo ad un certo declino del conflitto in tale settore e un suo spostamento in quello dei servizi (Corazza, L., Il nuovo conflitto collettivo, Milano, 2012, 14 ss.; Bordogna, L.-Provasi, G.C., La conflittualità, 1998, 331 ss.).
Una prima conseguenza di tale situazione riguarda, innanzitutto, un ampliamento, nel settore dei servizi, delle dimensioni del conflitto, che non appare più riconducibile solamente alla figura tradizionale dello sciopero (tipica azione collettiva del lavoratore dipendente), ma si ritrova in diversificate forme di azione collettiva, corrispondenti alla diversificata organizzazione dei servizi pubblici (Rusciano, M., Diritto di sciopero e assetto costituzionale, Milano, 2010, 43 ss.). Assumono, pertanto, rilevanza azioni collettive di lavoratori autonomi, professionisti o piccoli imprenditori, poste in essere come espressioni proprie del potere di coalizione del gruppo professionale organizzato.
Altra conseguenza dello scenario delineato riguarda quel fenomeno noto come “terziarizzazione del conflitto”, che sta ad indicare come, con la collocazione di questo nel settore terziario, le sue conseguenze non assumono rilevanza, solamente, tra le parti protagoniste delle varie vertenze (sindacati e aziende o amministrazioni), bensì anche su soggetti terzi, quali i cittadini utenti del servizio (Accornero, A., Conflitto “terziario” e terzi, in Dir. lav. rel. ind., 1985, 17 ss.)
Infine, il conflitto collettivo nel settore dei servizi deve confrontarsi con l’abnorme frammentazione degli interessi sindacali che, in tale contesto, non sono sempre identificabili con la categoria, ma piuttosto con le singole professionalità.
Ciò comporta un arcipelago di sigle sindacali, spesso dall’incerta rappresentatività, tuttavia, in grado di aggregare figure professionali, operanti in punti nevralgici dei servizi pubblici e, dunque, in grado di determinare, in caso di sciopero, gravi conseguenze anche su tutto il territorio nazionale (si pensi ad uno sciopero dei controllori di volo in un punto strategico del Paese, o a quello di alcuni casellanti ferroviari; AA.VV. Sciopero e rappresentatività sindacale, Milano, 1999; Carrieri, M., L’incerta rappresentanza, Bologna, 1995).
Prima della l. 12.6.1990, n. 146, oltre a quelle provenienti dall’autonomia collettiva (accordi o codici di autoregolamentazione), vi era anche, un apparato di regole, costituito da alcune disposizioni residuali di legge e da altre concepite con riferimento a determinati settori.
A parte gli artt. 330 e 333 c.p., sull’abbandono, collettivo o individuale, di pubblici uffici, va ricordato il d.P.R. 27.7.1981, n. 484, emanato dall'allora Presidente della Repubblica, Sandro Pertini, a seguito della smilitarizzazione del settore, contenente regole sull’esercizio del diritto di sciopero dei controllori di volo, adottato dopo i grandi scioperi, alla fine degli anni ’70, che prevedeva obblighi di preavviso e di garanzia di alcuni servizi essenziali. Ancora, l’art. 171 della l. 11.7.1980, n. 312 «Nuovo assetto retributivo-funzionale del personale civile e militare dello Stato», che non limitava il diritto di sciopero, ma disciplinava le conseguenze economico-patrimoniali di esso, confermando un criterio di decurtazione della retribuzione proporzionale alla durata dello sciopero. Restava, inoltre, il quadro normativo riconducibile alla precettazione e rappresentato, dopo la dichiarata incostituzionalità dell’art. 2 R.d. 18.6.1931, n. 773, Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, (Corte cost., 27.5.1961, n .26, in Foro it., 1961,I, 888) dall’art. 20 R.d. 3.3.1934, n. 383, Testo Unico delle leggi comunali e provinciali n. 383/1934.
Si era in presenza, insomma, di una disciplina eteronoma strisciante che, come rilevato da Gino Giugni, si era inserita nel nostro Ordinamento, surrettiziamente e «con scarso dibattito e scarso impegno dell’opinione pubblica» (Giugni, G. La regolamentazione del diritto di sciopero, in Riv. giur. lav., 1981, I, 311 ss.).
Peraltro, anche le tradizionali fonti di autoregolamentazione dello sciopero, provenienti dall’autonomia collettiva, lasciavano intravedere qualche debolezza, sul piano della loro efficacia. Restavano, infatti, ben evidenti i limiti riconducibili, innanzitutto, alla difficoltà di una loro estensione erga omnes, essendo essi vincolanti solo per i lavoratori aderenti alle organizzazioni sindacali che li avevano posti in essere e, dunque, non ad altri sindacati o organizzazioni di lavoratori. D’altro canto, eventuali sanzioni per la mancata osservanza della disciplina di autoregolamentazione erano ipotizzabili solo nei confronti dei soggetti iscritti, fermo restando anche il dubbio di una loro effettiva applicazione da parte dei sindacati.
La l. n.146/1990, riformata, con la l. 11.4.2000, n. 83, raccoglie, nel suo back ground culturale buona parte dei contenuti espressi dall’autonomia collettiva, in quella stagione dei protocolli che si sviluppò, negli anni ’80 e segnò uno dei punti più alti della politica di concertazione.
Ci si riferisce ai protocolli del 18.12.1985, e del 25.7.1986 sottoscritti dai sindacati confederali, del comparto pubblico; al protocollo firmato dai sindacati confederali e i maggiori sindacati autonomi il 16.7.1984 e, successivamente, rinnovato il 19.7.1986, in un settore di estrema delicatezza e conflittualità come quello dei trasporti, con la mediazione attiva dell’allora Ministro, Claudio Signorile; ai protocolli Iri, 18.12.1984 – 16.7.1986; Efim 29.9.1986; Gepi 21.1.1987; Cispel, del 20.7.1989 (Giugni, G., La lunga marcia della concertazione, Bologna, 2003; Ghera, E., La concertazione sociale nell’esperienza italiana, in Riv. it. dir. lav., 2000, 115 ss.).
Assume, altresì, rilievo, nel processo di formazione della legge 146, il contributo del comitato dei saggi, istituito dalle Confederazioni Cgil Cisl Uil, che formulò, nel dicembre del 1987, una Proposta sindacale, proprio con riferimento alla prospettiva di un possibile intervento del legislatore sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali (in Foro it, 1988,V, 197 ss., con nota di M., D’Antona).
È altresì evidente, nel percorso formativo della legge, il ruolo della giurisprudenza costituzionale, sviluppatosi in un arco temporale che, si può dire, va dal 1958 fino ai primi anni ’80. Sentenze che rivelano la loro originalità nel tracciare il sentiero che sarà poi percorso dal legislatore del ’90, nella conclamata necessità «di salvaguardare … il nucleo di interessi generali assolutamente preminenti rispetto agli altri collegati all’autotutela di categoria» (C. cost., 2.7.1958, n. 46); o di non pregiudicare «funzioni o servizi da considerare essenziali per il carattere di preminente interesse generale ai sensi della Costituzione» (C. cost., 29.12.1962, n. 123); o ancora di «non ledere altre libertà costituzionalmente garantite» o «di assicurare un minimo di prestazioni che attengano ai servizi essenziali» (C. cost., 17.3.1969, n. 31), con una possibile graduazione, sulla essenzialità, tra i servizi pubblici (C. cost., 3.8..1976, n. 222; C. cost., 23.7.1980, n.125).
La legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali rientra nel novero delle cd. leggi concertate, nel senso che i contenuti di essa sono stati concepiti in una logica di cooptazione delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative nel nostro sistema di relazioni industriali. Ciò anche a conferma di un’impostazione che interpreta la riserva di legge stabilita nell’art. 40 Cost., non in senso assoluto, ma relativo (Balduzzi, R.-Sorrentino, F., Riserva di legge, in Enc.dir., Vol. XL, Milano 1989, 1207 ss.; Luciani, M., Diritto di sciopero, forma di stato e forma di governo, Milano, 2010, 249). In base a tale impostazione, le regole per l’esercizio del diritto di sciopero possono derivare, oltre che dalla legge, anche da fonti secondarie, quali l’autonomia collettiva. Peraltro, la ricostruzione del diritto di sciopero in termini di riserva di legge assoluta si può dire già ridimensionata, nella metà degli anni ’70, dal contributo della giurisprudenza costituzionale verso l’attuazione di un modello consolidato proprio su una inattività del legislatore (Ghera, E., La Corte costituzionale e il diritto sindacale, Bari, 1990, 96 ss.; Carinci, F., Il conflitto collettivo nella giurisprudenza costituzionale, Bari,1971).
Ciò premesso, si può rilevare come il sistema di garanzie predisposto dalla l. n. 146/1990, come modificata dalla l. n. 83/2000, si realizzi nella interconnessione tra diritti del cittadino e servizi pubblici essenziali.
I diritti costituzionali dei cittadini vengono indicati, all’art. 1, in modo tassativo, vale a dire non suscettibile di futura modificazione o ampliamento. In essi rientrano quelli riconducibili ai cc.dd. diritti inviolabili dell’uomo (la vita, la salute, la libertà); ovvero, quelli cd. sociali (l’assistenza e previdenza sociale, l’istruzione etc.). Tali diritti vanno considerati nella loro unicità (solo quelli) ed essenzialità, vale a dire nel loro contenuto essenziale.
La legge accoglie, poi, una nozione ampia di servizio pubblico essenziale, indipendentemente dalla natura giuridica del rapporto di lavoro, anche se svolti in regime di concessione o mediante convenzione (art. 1). Ciò si rivela, peraltro, coerente anche con i recenti processi di liberalizzazione che interessano la gestione di gran parte dei servizi pubblici in Europa. La norma, inoltre, non prende in considerazione i servizi pubblici tout court, bensì solo quelli che rivelano la loro essenzialità al godimento dei diritti costituzionali.
Si tratta di una nozione di essenzialità che comprende anche il concetto di strumentalità del servizio, vale a dire quelle attività che risultano strumentalmente connesse e quindi necessarie alla erogazione del servizio stesso (si pensi al servizio essenziale di assistenza alla navigazione aerea, per la garanzia del quale è necessario assicurare il servizio strumentale di conduzione e manutenzione tecnica degli impianti radar; o il servizio di pulizie delle sedi aeroportuali strumentale al trasporto aereo; o ancora, il servizio strumentale del catering all’interno degli aeromobili e negli aeroporti).
La definizione di servizio pubblico essenziale è, poi, ulteriormente esplicitata, nel co. 2 dell’art. 1, attraverso un’elencazione, stavolta esemplificativa, di quelli che possono essere i settori nei quali si rende necessaria l’effettuazione di prestazioni indispensabili, in caso di sciopero, per garantire una soglia minima di servizio all’utenza. Si tratta, dunque di una indicazione che non deve essere considerata esaustiva, la norma, infatti, recita «in particolare nei seguenti servizi» e, dunque, non esclude la possibilità di un ampliamento o di una interpretazione estensiva, tutte le volte che ciò possa ritenersi funzionale agli scopi stessi della legge (Treu, T., sub art. 1, in Il diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali, in Nuove leggi civ. comm., 1991, 10; Vallebona, A., Le regole dello sciopero nei servizi pubblici essenziali, Torino, 2007, 55 ss.; Commissione di garanzia, del. 4.10.2001, n. 110, in www.cgsse.it ).
Così, ad esempio, mentre in tema di diritto alla mobilità dei cittadini, la legge indica in generale i servizi di trasporto pubblico urbano ed extraurbano, ferroviario, aereo e marittimo, ad essi sono stati aggiunti, dalla Commissione in via interpretativa, anche il servizio taxi, distribuzione di carburante, sicurezza e soccorso autostradale, autonoleggio con conducente (del. 4.10.2001, n. 100, in www.cgsse.it). Ancora, relativamente alla tutela della salute, la legge fa riferimento alla sanità in generale e la Commissione ha precisato che si deve avere riguardo non solo di quella pubblica, ma anche della sanità privata, ed anche, delle terme a fini terapeutici (dell. 16.3.2005, n. 134, 1.4.2004, n. 214, 11.11.2004, n. 612, in www.cgsse.it).
Al concetto di essenzialità dei diritti va affiancato anche quello del limite minimo, con il quale si vuole identificare proprio il grado della limitazione dell’esercizio e godimento dei diritti costituzionali che non saranno garantiti nella loro interezza, ma soltanto in un soglia minima, attraverso l’individuazione di prestazioni indispensabili (prestazioni indispensabili in caso di sciopero). Tale individuazione delle prestazioni indispensabili è rimessa all’autonomia collettiva.
Nel sistema della l. n. 146/1990 è, dunque, evidente la scelta di fondo del legislatore verso l’affermazione di un ruolo centrale dell’autonomia collettiva (Ghera, E., Il contratto collettivo tra natura negoziale e di fonte normativa, in Riv. it. dir. lav., I, 2012, 195 ss.), a ribadire la natura relativa della riserva di legge contenuta nell’art. 40 Cost. Si tratta del riconoscimento del valore della contrattazione e del ruolo del sindacato per una regolamentazione del conflitto basata, prevalentemente, sul consenso (Treu, T., Il conflitto e le regole, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 2000, 22 ss.).
Il procedimento negoziale finalizzato all’accordo rimane, pertanto, un profilo fondamentale dell’attuazione della legge: l’art. 2, nel cui co. 2 si possono rinvenire disposizioni dal contenuto precettivo; ed altre di contenuto programmatico. Si tratta, infatti, di un modello di autonomia collettiva fortemente guidato nei contenuti e nelle modalità. La legge si ispira, altresì, ad una logica di procedimentalizzazione del conflitto, nel cui ambito il momento della predisposizione degli accordi ne costituisce una fase.
Le parti devono concordare nei contratti collettivi, o negli accordi, non solo le prestazioni indispensabili che sono tenuti ad assicurare per consentire l’erogazione delle soglie minime di servizio, ma anche le modalità di svolgimento delle procedure di raffreddamento e conciliazione che il legislatore impone come obbligatorie prima della proclamazione dello sciopero, proprio nella su indicata logica di procedimentalizzazione del conflitto. Esse, dunque, vengono considerate, al pari delle prestazioni indispensabili, come misure necessarie a garantire il contemperamento dell’esercizio del diritto di sciopero con il godimento dei diritti costituzionali della persona.
Il co. 1 dell’art. 2 rappresenta, dunque, una fattispecie completa, con delle regole applicabili direttamente a tutti i soggetti che proclamano lo sciopero (obbligo di preavviso, di comunicazione della durata, delle modalità di attuazione e la sua motivazione); il co. 2 integra, invece, una fattispecie aperta, che sarebbe, di per sé, incompleta se non fosse perfezionata con la disciplina cui essa stessa fa rinvio, vale a dire la disciplina contrattuale.
La l. n. 146/1990, soprattutto con la sua riforma ad opera della l. n. 83/2000, ha sancito definitivamente la sua applicabilità anche alle astensioni dei lavoratori autonomi, professionisti o piccoli imprenditori (art.2 bis), raccogliendo le indicazioni della Corte costituzionale, la quale aveva già rilevato tale necessità, allorché l’attività di questi incidesse sull’erogazione di servizi pubblici (C. cost., 31.3.1994, n.114; C. cost., 27.5.1996, n.171; Pino, G., La Corte Costituzionale e l’astensione dal lavoro degli avvocati, in Foro it., 1997, I, 1030). Si conferma, così, l’accoglimento di una nozione di conflitto più ampia, rispetto alla sua prima stesura del 1990, che era più incentrata sulla dinamica datori di lavoro – lavoratori dipendenti (Caruso, B.-Nicosia, G., Il conflitto collettivo post moderno: lo “sciopero” dei lavoratori autonomi; in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT - 43/2006).
L’esatta determinazione delle prestazioni indispensabili è, in tal caso rimessa alla predisposizione di codici di autoregolamentazione che saranno soggetti al giudizio di idoneità da parte della Commissione di garanzia.
Sul contenuto degli accordi dispone, in linee generali, l’art. 2, co. 2 della legge. In essi devono, ovviamente, essere recepiti i principi generali in materia di obbligo di preavviso (non inferiore a 10 giorni) e indicazione esatta della durata e modalità di effettuazione dello sciopero (Di Cagno, G.–Monaco, M.P., Lo sciopero nei servizi pubblici essenziali, Bari, 2009, 65 ss.; D’Atena, A., voce Sciopero nei servizi pubblici essenziali, in Enc. dir., Agg., Vol. III, Milano, 1999, 955 ss.). È opportuno ricordare, in tale contesto, che il co. 7 dell’art. 2 prevede espressamente l’esonero dell’obbligo del preavviso e della predeterminazione della durata qualora si ponga in essere uno sciopero «in difesa dell’ordine costituzionale o di protesta per gravi eventi lesivi dell’incolumità e della sicurezza dei lavoratori». Tale difesa o protesta, infatti, devono essere immediate e non assogettabili ad un termine di preavviso.
La proclamazione dello sciopero deve essere inviata alle aziende e alle Autorità previste nell’art. 8 della 146 (Presidente del Consiglio dei Ministri o Ministro da lui delegato, se lo sciopero ha rilevanza nazionale; Prefetto territorialmente competente, se ha rilevanza locale). Stranamente la legge non prevede l’inoltro della proclamazione alla Commissione di garanzia, anche se ciò avviene nella prassi ed è, oramai, stabilito in molte discipline di settori.
Il datore di lavoro, in caso di proclamazione di sciopero, deve procedere a comandare in servizio la quota di dipendenti, come stabilita nella disciplina del singolo settore, strettamente necessaria a garantire quel minimo di servizio necessario per contemperare l’esercizio del diritto di sciopero con i diritti costituzionali dei cittadini utenti.
Obblighi ulteriori rispetto a quelli di fornire le prestazioni indispensabili, riguardano le regole in materia di rarefazione tra le azioni di sciopero, con le quali sono prescritti intervalli minimi da rispettare tra l’effettuazione di uno sciopero e la proclamazione del successivo, allorché dette astensioni incidono sullo stesso servizio pubblico o sullo stesso bacino di utenza. La rarefazione tra azioni di sciopero può essere soggettiva, vale a dire tra gli scioperi proclamati da uno stesso soggetto collettivo; o oggettiva, se posti in essere da soggetti collettivi diversi.
Nell’art. 2, co. 6, al fine di scoraggiare forme sleali di azioni sindacali, si fa un espresso riferimento alla revoca spontanea ed immotivata di un’azione di sciopero, con l’obbiettivo di evitare che si tragga un indebito vantaggio dal cd. effetto annuncio dello sciopero, che produrrebbe, in pratica, gli stessi effetti della sua effettuazione, dal momento che, l’utenza non sarebbe più messa in condizioni di far affidamento sulla piena erogazione del servizio interessato.
Nel settore dei servizi pubblici essenziali vige, pertanto, un obbligo generale di motivazione della revoca dello sciopero, a meno che essa non avvenga, almeno cinque giorni prima dell’inizio dello sciopero. Tale spazio temporale coincide con il termine entro il quale l’azienda deve comunicare all’utenza i modi e i tempi di erogazione del servizio che sarà garantito (Pino, G., L’istituto della revoca dello sciopero e il c.d. effetto annuncio, in Dir. rel. ind., 2008, 18 ss.). Oltre questo termine, la revoca dello sciopero non esonera da responsabilità il soggetto collettivo che lo ha proclamato, a meno che tale revoca non sopraggiunga a seguito di composizione della vertenza, attraverso il raggiungimento di un accordo o anche una ripresa delle trattative; o a seguito di esplicita richiesta della Commissione di garanzia a revocare lo sciopero (ad es. un’indicazione immediata ai sensi dell’art. 13 lett. d), in caso di illegittimità nella proclamazione); o ancora, un analoga richiesta da parte dell’autorità competente ad emanare l’ordinanza di cui all’art. 8, allorché sussista il fondato pericolo di un pregiudizio grave ed imminente ai diritti della persona costituzionalmente tutelati.
La commissione di garanzia è un’autorità amministrativa indipendente i cui componenti sono nominati dal Capo dello Stato su designazione dei Presidenti delle Camere, tra esperti in materia di diritto costituzionale, diritto del lavoro e di relazioni industriali. A seguito del d.l. 6.12.2011, n. 201, del Governo Monti (cd. Decreto cresci Italia), poi convertito in l. n. 22.12.2011, n. 214, il numero dei componenti della Commissione di garanzia è stato ridotto dai nove previsti dall’art.12 l. n. 146/1990, a cinque e la loro durata è stabilita in sei anni senza possibilità di rinnovo. L’originaria previsione dell’art. 12 l. n. 146/1990, prevedeva 9 componenti la cui loro durata era di tre anni, rinnovabili una sola volta.
Al proprio interno, la Commissione elegge il Presidente e predispone il proprio Regolamento di funzionamento.
I poteri della Commissione sono trattati nell’art.13 della legge e possono essere suddivisi in quattro raggruppamenti: a) inerenti alla fase della predisposizione delle regole (che sono dunque preventivi rispetto alla proclamazione di scioperi); b) esercitabili a seguito della proclamazione di scioperi; c) di intervento successivo all’attuazione dello sciopero; d) relativi alla pubblicità dei propri atti e la loro trasmissione agli interlocutori istituzionali.
Fondamentale funzione attribuita dalla legge alla Commissione è quella di valutare l’idoneità delle prestazioni indispensabili predisposte dalle parti negli accordi e nei codici di autoregolamentazione. L’atto di valutazione costituisce il momento di verifica sostanziale e di formalizzazione esterna dell’attività negoziale delle parti, oltre che di accertamento della effettiva idoneità del contemperamento tra diritto di sciopero e diritti degli utenti e rende, così, l’accordo, oggettivamente, opponibile ai terzi (Grandi, M. Sciopero e prevenzione del conflitto nei servizi pubblici essenziali, in Riv. it. dir. lav., 1999, 281; Ballestrero, M.V., Sub artt. 12-14, in Romagnoli, U.-Ballestrero, M.V., Norme sull’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali, Commentario della Costituzione, Bologna, 257).
Condizione necessaria e propedeutica per la valutazione dell’accordo è l’acquisizione del parere delle Organizzazioni degli utenti operanti nel territorio e rappresentate nel Consiglio nazionale dei consumatori e utenti istituito presso il Ministero dello sviluppo economico, ex art. 8 della l. 30.7.1998, n. 281. Tale parere è classificabile come obbligatorio, ma non vincolante, nel senso che l’Autorità è obbligata a richiederlo, ma non ad attenervisi, potendo essa decidere anche in difformità da esso, fermo restando l’obbligo di motivarne adeguatamente, le ragioni.
Con la valutazione di idoneità, l’accordo acquista efficacia erga omnes, vale a dire, anche nei confronti dei soggetti non firmatari. Tale efficacia è stata, implicitamente, sancita dalla Corte Costituzionale (C. cost., 18.10.1996, n. 344, in Foro it., 1997, I, 381), per la quale essa è riconducibile non tanto all’accordo in se, ma al suo condizionare i poteri datoriali: praticamente il regolamento di servizio che me recepisce i contenuti.
Si tratta di un principio, peraltro, già espresso dalla Commissione di garanzia (del., 3.6.1991 e 18.7.1991, in www.cgsse.it), come necessità di poter contare su «intese piene, solide ed affidabili … che, per l’ampiezza del concorso sindacale, hanno una larga base d’intesa», «indipendentemente … dall’ampiezza dei consensi che su di esse si sia formata».
Ad ulteriore rafforzamento dell’efficacia generale dell’accordo può essere richiamato l’art. 13 lett. l), della l. n. 146/1990 che prevede la possibilità, per la Commissione, di richiedere la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale degli accordi sulle prestazioni indispensabili di livello nazionale, valutati idonei, dei codici di autoregolamentazione e delle regolamentazioni provvisorie da essa stessa predisposte. La pubblicazione dell’accordo (ormai prassi consolidata) rende questo ulteriormente conoscibile e opponibile a tutti. A differenza dei provvedimenti legislativi, tuttavia, essa non ha valore costitutivo, ma solamente dichiarativo o di pubblicità notizia.
Qualora l’accordo sottoscritto non sia valutato idoneo, o qualora non sia mai venuto in essere, a causa di cattive relazioni industriali in quel dato settore, la Commissione, eserciterà quei poteri di sostituzione alle parti che le sono riconosciute dall’art. 13, lett. a) della legge, inoltrando alle parti una propria proposta sulle procedure e sulle prestazioni indispensabili da garantire in caso di sciopero.
Su tale atto le parti devono pronunciarsi, entro 15 giorni, recependone, volontariamente, i contenuti, pur con ragionevoli margini di ulteriore elaborazione, in tal modo questi rileveranno alla stregua di un accordo. Se, entro il termine su indicato, non si pronunciano, o rigettano la proposta, nei venti giorni successivi (termini, tuttavia, da considerare non perentori, ma dilatori), la Commissione, verificata ulteriormente, con appositi incontri tra le parti, la loro indisponibilità a raggiungere un accordo, adotterà la delibera di regolamentazione provvisoria che, in pratica, assorbirà i contenuti della proposta.
In tutta questa fase procedurale va evidenziato il ruolo attivo di mediazione tecnica e di composizione negoziale svolto dalla Commissione (Magnani, M., Voce, sciopero nei servizi pubblici essenziali, in Enc giur. Treccani, Agg., Roma 2008).
Ulteriore prerogativa della Commissione di garanzia, è quella di indire un referendum «su clausole specifiche concernenti l’individuazione o le modalità di effettuazione delle prestazioni indispensabili», allorché su un’intesa raggiunta si registri un significativo dissenso da parte di altre organizzazioni sindacali operanti nello stesso servizio, o da parte di una parte consistente di lavoratori (del. 6.5.1993, n. 18.7, in www.cgsse.it). Si deve dedurre che la richiesta può provenire anche da una organizzazione sindacale di una certa consistenza che non abbia partecipato alle trattative e che dissenta dall’intesa.
La prerogativa di esprimere il proprio giudizio sulle questioni interpretative o applicative dei contenuti degli accordi o codici di autoregolamentazione, prevista dall’art. 13 lett. b), può essere considerata come un ideale prolungamento del potere che il legislatore assegna alla Commissione in tema di valutazione della disciplina sulle prestazioni indispensabili, nella fase applicativa degli stessi. Ciò vuol dire che il ruolo dell’Autorità di garanzia in merito all’individuazione del giusto contemperamento tra esercizio del diritto di sciopero e diritti costituzionalmente protetti dell’utenza, non si esaurisce al momento del giudizio di idoneità sull’accordo, ma prosegue anche nella fase attuativa della disciplina contrattuale. Tale giudizio sulle questioni interpretative può essere esercitato su richiesta congiunta delle parti o direttamente di propria iniziativa.
Nella norma in esame il legislatore colloca l’unica disposizione sulla funzione arbitrale della Commissione, cioè quella di poter emanare un lodo sul merito della controversia, su richiesta congiunta delle parti.
Un’interpretazione restrittiva della norma ridurrebbe la portata di tale funzione arbitrale nell’ambito esclusivo di controversie inerenti questioni interpretative sulle prestazioni indispensabili. La soluzione appare riduttiva, ci si troverebbe, peraltro, in presenza di una ripetizione di quanto già riconosciuto alla Commissione nel primo periodo della stessa norma. Si deve ritenere, invece, che il legislatore abbia inteso considerare l’opportunità di un pronunciamento (appunto un lodo) della Commissione sul merito del conflitto, tutte le volte che le parti congiuntamente lo richiedano. Di fronte ad un’eventuale eccessiva utilizzazione dell’istituto, la norma rimette alla Commissione la possibilità di selezionarne il ricorso: «...la Commissione può emanare un lodo...» non deve.
La lett. c) dell’art. 13, nel suo incipit, introduce i poteri conferiti alla Commissione una volta «ricevuta la comunicazione di cui all’articolo, 2 comma 1», una volta cioè, che lo sciopero è stato proclamato.
La prima prerogativa, riconosciuta dalla norma è quella di verificare se vi siano ancora «le condizioni per una composizione della controversia»: in altre parole, se non ci sia più niente da fare per evitare lo sciopero. La norma assume un’estrema rilevanza, nella misura in cui, essa possa essere interpretata come un timido riconoscimento di competenza dell’Autorità sul merito della vertenza e non solo un mero controllo sugli adempimenti legali. Solo in tal modo la Commissione potrà rendersi conto se sussista, ancora, un margine di trattativa e, dunque, «invitare, con apposita delibera, i soggetti che hanno proclamato lo sciopero a differire la data dell’astensione dal lavoro per il tempo necessario a consentire un ulteriore tentativo di mediazione» (Pino, G., Manuale sul conflitto nei servizi pubblici essenziali, Torino, 2009, 113 ss.).
Altra rilevante prerogativa è quella prevista per la Commissione dalla lett. d), dell’art. 13, consistente nella possibilità di inoltrare alle parti un invito, a riconsiderare la proclamazione di sciopero, nel caso in cui questa si riveli in contrasto con la normativa legale e contrattuale. Si tratta dello strumento di intervento maggiormente utilizzato dall’Authority e nella maggior parte dei casi, tale indicazione trova un positivo riscontro da parte dei soggetti destinatari che, a seguito si essa, revocano lo sciopero o lo adeguano a quanto segnalato.
Tale indicazione di illegittimità, da parte della Commissione, può avvenire non necessariamente a seguito di una accertata violazione, ma anche sulla base del periculum di essa e non viene a formalizzare, di per sé, l’apertura di un procedimento di valutazione, ai sensi della successiva lett. i) e dall’art. 4, co. 4-quater, che può avvenire indipendentemente dall’indicazione ex art. 13 lett. d).
Corrispondente all’indicazione immediata ex art. 13, lett. d) può essere ritenuta l’altra possibilità di intervento della Commissione, prevista nella successiva lett. h), nei confronti delle amministrazioni o le imprese che pongano in essere comportamenti in violazione della normativa, che possano determinare l’insorgenza o l’aggravamento dei conflitti. In simili ipotesi, la Commissione inoltra ai suddetti soggetti una delibera rivolta a far rimuovere tali comportamenti.
Analogo potere di differimento dell’azione di sciopero potrà essere esercitato dalla Commissione, ai sensi della lett. e) della norma in esame, in caso di addensamento tra astensioni, proclamate dallo stesso o da soggetti sindacali diversi in un breve arco temporale che vanno ad pregiudicare la funzionalità dello stesso servizio. Si tratta di un’ulteriore puntualizzazione delle regole in materia di rarefazione, soggettiva o oggettiva, di cui si è già detto. Mentre le possibilità di segnalazione ai sensi della lett. f), vanno ad intrecciarsi con i poteri assegnati alle autorità, indicate nel successivo art. 8, titolari del potere di precettazione.
La valutazione del comportamento dei soggetti che hanno effettuato lo sciopero, può essere definita come una funzione di tipo paragiurisdizionale. Essa è definita, nelle sue linee generali, dalla lett. i), dell’art. 13, nella parte in cui si riconosce la titolarità della Commissione a giudicare su «inadempienze o violazione degli obblighi che derivano dalla presente legge, degli accordi».
La nozione di comportamento da valutare non è riconducibile solamente alla mera astensione dal lavoro, nella sua nozione vanno piuttosto ricondotte anche le altre forme di azione collettiva che, in quanto tali, si rivelano idonei a pregiudicare i diritti costituzionalmente protetti dell’utenza.
Anche l’attività di valutazione del comportamento soggiace a precise regole procedurali stabilite nell’art. 4, co. 4-quater. Inoltre, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 57/1995 (C. cost., 24.2.1995, in Foro It.,1995, I, 1407), ha sottolineato la necessità di idonee garanzie procedimentali, per tale attività deliberante-decisoria della Commissione che deve, dunque, essere esercitata nel rispetto dei principi e delle garanzie del cd. «giusto procedimento».
Ci sarà, dunque, una fase istruttoria, che si apre con la delibera di apertura del procedimento, ex artt. 4, co. 4-quater, e 13, lett. i), da notificare alle parti interessate, in persona del loro legale rappresentante, le quali, entro un termine stabilito di trenta giorni, possono fornire le proprie osservazioni e deduzioni, nonché, chiedere di essere convocate in audizione. Inoltre, una fase decisoria, con l’emanazione, da parte Commissione, della delibera di valutazione del comportamento, che deve avvenire «non oltre i sessanta giorni dalla notifica dell’apertura del procedimento di valutazione» (art. 4, co. 4-quater).
Se tale valutazione è negativa, la Commissione delibererà le sanzioni, tenendo conto anche delle cause di insorgenza del conflitto, direttamente ai soggetti collettivi, o prescrivendo al datore di lavoro l’irrogazione di eventuali sanzioni individuali. Dell’avvenuta esecuzione della delibera sanzionatoria deve essere data notizia alla Commissione negli ulteriori trenta giorni successivi (Santoni, F., Le sanzioni, in Le regole dello sciopero, Napoli, 2001, 177 ss.; Valentini, V.-Buratti, A., Le sanzioni della commissione di garanzia dell’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, in Le sanzioni delle autorità amministrative indipendenti, Fratini, M., a cura di, Padova, 2011, 1277).
Per i singoli lavoratori, sono previste sanzioni disciplinari, sia per la partecipazione ad uno sciopero giudicato illegittimo, già al momento della sua proclamazione; o anche per l’effettuazione in modo illegittimo di uno sciopero che era stato, invece, legittimamente proclamato. Tali sanzioni vengono irrogate dal datore di lavoro in proporzione alla gravità dell’infrazione e, si può dire, rientrino nell’esercizio del suo potere disciplinare, fermo restando che qui la proporzionalità va considerata non in riferimento alla lesione degli interessi dell’azienda, bensì dei diritti dei cittadini utenti. La loro irrogazione, comunque, deve avvenire su “prescrizione” della Commissione.
Al soggetto collettivo, invece possono essere irrogate delle sanzioni amministrative, consistenti in una somma di denaro determinata, nel quantum, dall’Autorità in base al co. 2 dell’art. 4, come modificato dalla legge di stabilità del 24.12.2012, n. 228, da un minimo di € 2.500 a un massimo di euro 50.000. Tale somma di denaro va prelevata sui contributi sindacali comunque percepiti dalle organizzazioni dei lavoratori e/o sui permessi sindacali retribuiti.
L’importo massimo della sanzione può essere raddoppiato se l’astensione viene effettuata, dal soggetto collettivo, nonostante una delibera di invito della Commissione ex art. 13, lett. c), d), ed h).
Un’ulteriore sanzione collettiva (indicata nel co. 2) consente alla Commissione di escludere dalle trattative sindacali per un periodo di due mesi, successivamente al comportamento ritenuto illegittimo. Quest’ultima, pertanto, non può essere irrogata autonomamente, ma oltre alla irrogazione della sanzione pecuniaria.
Anche i datori di lavoro sono soggetti alla valutazione della Commissione che, accertata la loro responsabilità per la mancata osservanza degli obblighi loro derivanti dalla normativa legale o derivata, irroga loro una sanzione amministrativa, anche questa nei limiti anzi detti. La sanzione, deliberata della Commissione, è poi resa esecutiva con un’apposita ordinanza-ingiunzione della competente Direzione territoriale del Lavoro.
Identica procedura è prevista, sia per l’irrogazione della cd. sanzione sostitutiva, comminata dalla Commissione negli stessi limiti (art. 4, co. 4-bis), nei casi in cui il soggetto collettivo che ha scioperato illegittimamente non percepisca contributi o permessi sindacali; sia per le associazioni dei lavoratori autonomi, professionisti e piccoli imprenditori, che è irrogata in solido con i singoli lavoratori autonomi, a maggior garanzia di effettività.
La parte finale dell’art. 13 contiene norme relative alla visibilità esterna degli atti della Commissione di garanzia, sia per i soggetti ai quali direttamente gli atti sono destinati, vale a dire le parti del conflitto; sia verso gli interlocutori istituzionali quali i Presidenti di Camera e Senato ai quali essa riferisce, se richiesto da questi, o anche di propria iniziativa, sugli aspetti di propria competenza relativi, in generale, ai conflitti sui servizi pubblici essenziali. Ciò può avvenire con riferimento a particolari situazioni e, in linea generale, si può ritenere che a tale indicazione normativa la Commissione ottemperi anche predisponendo, con cadenza annuale, delle Relazioni sulla propria attività ai Presidenti dei due rami del Parlamento.
In merito al potere di precettazione, esso è stato tradizionalmente regolamentato (dopo la dichiarata incostituzionalità dell’art. 2 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza n. 773/1931, da parte della C. Cost. n. 26/1961) dall’art. 20 del Testo Unico delle leggi comunali e provinciali n. 383/1934 e dall’art. 66 della l. n. 142/1990, sull’ordinamento delle autonomie locali.
Le innovazione apportate in materia dalla l. n. 146/1990 sono state, giustamente, interpretate in termini di rivisitazione (Vallebona, A., Le regole dello sciopero nei servizi pubblici essenziali, cit., 141 ss.) e hanno sottoposto l’esercizio del potere stesso a precise regole procedimentali.
La precettazione rimane un potere di ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri o di un Ministro delegato, ovvero del Prefetto, in base alla rilevanza nazionale o locale del conflitto, rivolto a differire o ridurre lo sciopero, tutte le volte che sussista il fondato pericolo di un pregiudizio grave ed imminente ai diritti costituzionali della persona.
L’art. 8 l. n. 146/1990, dispone che tale potere deve essere esercitato, dai titolari, su segnalazione della Commissione di garanzia ed, in via eccezionale (nei casi di necessità ed urgenza), di propria iniziativa, informandone comunque la stessa. L’emanazione del provvedimento viene, altresì, sottoposta a regole procedimentali, quali il preventivo esperimento di un tentativo di conciliazione.
La Commissione di garanzia può altresì formulare precise proposte, che dovranno essere tenute in considerazione dalle Autorità precettanti, nell’adozione dell’ordinanza.
Bisogna rilevare come, nella prassi, accada che le prerogative riconosciute alla Commissione, finiscano per intrecciarsi con quelle di pertinenza delle Autorità preposte alla precettazione, ponendo in essere, spesso, qualche imbarazzante contraddizione, nel momento in cui il Ministro competente interviene, di propria iniziativa, sul presupposto discrezionale di una ritenuta «necessità ed urgenza», anche nei confronti di scioperi che la Commissione, in sede di valutazione di legittimità, ha ritenuto regolari.
Una soluzione potrebbe essere quella di attribuire alla Commissione, nel rispetto del quadro normativo generale, un ruolo partecipativo più attivo, attraverso la formulazione di un parere obbligatorio (seppur non vincolante) da fornire alle Autorità precettanti (Alesse, R., La Commissione di garanzia per l’attuazione della legge sullo sciopero e l’istituto della precettazione, in Quadd. costt., 2011, 671 ss.; Glinianski, S.–Pino, G. Il potere di precettazione in materia di scioperi nei servizi pubblici essenziali, in LexItalia.It, 2, 2012).
L. 12.6.1990, n. 146, modificata dalla l. 11.4.2000, n. 83.
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