RATCHIS, duca del Friuli, re dei Longobardi
RATCHIS, duca del Friuli, re dei Longobardi. – Membro di una famiglia aristocratica originaria di Belluno e trapiantata a Cividale, fu figlio di Pemmone, duca del Friuli (v. la voce in questo Dizionario) e di Ratperga; suoi fratelli furono Ratchait e Astolfo (per quest’ultimo v. la voce in questo Dizionario).
Vicino a re Liutprando, forse politicamente più conciliante di Pemmone, in una data compresa tra il 734 e il 738 Ratchis fu promosso dal sovrano a duca del Friuli, sostituendo il padre destituito dal re in seguito al dissidio insorto con il patriarca Callisto. A Cividale Ratchis ne proseguì l’opera, affrontando nella fase iniziale del suo mandato gli slavi in Carniola, l’attuale Slovenia, e riportando i successi militari che già erano stati del padre (Pauli Diaconi Historia Langobardorum, a cura di L. Bethmann - G. Waitz, 1878, VI, 52).
Probabilmente educato anche presso la corte longobarda, Ratchis fu fedele a re Liutprando; poté contare sulla solidarietà quasi parentale di un potente blocco aristocratico saldamente impiantato nella regione (sin dai tempi della reggenza del duca Ferdulfo, agli inizi dell’VIII secolo), che in seguito mosse alla conquista del potere centrale (Pauli Diaconi Historia Langobardorum, cit., VI, 45 e 51).
L’importanza della coesione del gruppo di guerrieri friulani emerse con forza in un episodio che precede di qualche anno la sua elezione a re: con il fratello Astolfo e con i guerrieri friulani del suo seguito, infatti, Ratchis guidò nel 742 parte dell’esercito di Liutprando nella campagna militare contro i duchi ribelli Trasamondo II di Spoleto e Godescalco di Benevento. Secondo quanto riferito da Paolo Diacono egli si distinse per l’eroismo suo e dei guerrieri al suo seguito in occasione dell’imboscata tesa da truppe bizantine e da exercitales spoletini tra Fano e Fossombrone. Ratchis, che era alla guida della retroguardia dell’esercito regio, respinse l’assalto e aprì a Liutprando la strada verso il Ducato di Spoleto, accompagnando quindi il sovrano a Benevento (Pauli Diaconi Historia Langobardorum, cit., VI, 56).
Nel descrivere questo fatto, Paolo Diacono riservò parole di elogio per il coraggio e per la prestanza militare del duca; lo stesso tono encomiastico gli fu riservato nel racconto relativo alla spedizione in Carniola, quando si fece riferimento alla mancata possibilità da parte di Ratchis di recuperare dal suo armigero la lancia, simbolo del comando sia ducale sia regio, facendo invece uso vittorioso di una clava. Nell’episodio relativo alla punizione di Pemmone da parte di re Liutprando, invece, Paolo Diacono mise in evidenza la saggezza e l’autocontrollo di Ratchis, nonché la devozione nei confronti del re, contrapponendo a queste l’irruenza del fratello minore Astolfo (Pauli Diaconi Historia Langobardorum, cit., VI, 51).
In linea con la politica perseguita da re Liutprando di promozione degli edifici di culto, in Friuli l’epoca di Pemmone e dei suoi immediati successori e figli Ratchis e Astolfo coincise con il periodo di maggior splendore della sede ducale; Cividale si arricchì allora di opere e arredi sacri quali il ciborio di Callisto e il pluteo di Sigualdo, nonché probabilmente il celebre tempietto. Ratchis commissionò inoltre l’altare che porta il suo nome e che è considerato uno dei più importanti monumenti dell’arte longobarda; l’iscrizione, che tramanda, tra l’altro, il soprannome attribuito a Ratchis (Hidebohohrit, dall’oscuro significato) fa riferimento all’impegno profuso da parte della famiglia ducale, e da Pemmone in particolare, nel riattare o nel valorizzare gli edifici religiosi della stessa Cividale.
Quando, nel gennaio del 744, morì re Liutprando gli succedette il nipote Ildeprando (v. la voce in questo Dizionario) che già gli era stato associato al trono in un momento in cui si era temuto per la salute del re. Ma dopo soli sette o otto mesi egli fu rovesciato da coloro i quali gli avevano giurato fedeltà e fu sostituito da Ratchis.
Nonostante si sappia poco della politica di Ildeprando durante la sua reggenza, è probabile che i duchi preferirono affidare la corona a Ratchis temendo che il nipote di Liutprando potesse perseguire la politica accentratrice e mirante all’unità della penisola che fu già dello zio. Come altri duchi che lo avevano preceduto a Cividale, Ratchis fu più accondiscendente verso una concezione meno rigida del potere monarchico; inoltre fu meglio accettato da parte dei romanici e dal papa di quanto non lo fosse stato Ildeprando.
Da sovrano Ratchis si mostrò innanzitutto propenso a portare avanti un programma di pace, anche se il modo in cui egli ottenne il trono probabilmente rese il suo potere meno solido e incrinò la stessa sua legittimità. Nel periodo immediatamente precedente, le attività militari erano state intense e quelle legislative in ombra: egli emanò pertanto alcune leggi che idealmente integrarono l’editto di Rotari richiamandovisi esplicitamente, istituendo inoltre una continuità con l’attività legislativa di Grimoaldo e di Liutprando. Tali provvedimenti affrontarono, inoltre, il tema della legalità e dell’ordine, perseguirono drasticamente i tentativi di rivolta o di tradimento punendo le eventuali spie introdottesi a corte o le relazioni intrattenute all’insaputa del monarca con i popoli vicini. Proseguendo l’opera di Liutprando, infine, Ratchis inasprì le pene per gli abusi perpetrati da parte degli iudices nei confronti degli strati sociali più deboli nelle varie regioni del regno, dimostrando inoltre la capacità di intervenire anche nelle regioni più periferiche, come l’Italia centrale.
Rientra nell’ottica di una politica di distensione anche il sostegno che Ratchis ricercò da parte di papa Zaccaria. Con lui stipulò una pace ventennale estesa non solo alla città di Roma, ma anche ai territori dell’Italia bizantina.
La vicinanza al mondo romano e alle sue consuetudini gli vennero probabilmente dalla moglie Tassia, che la tradizione vuole essere stata un’aristocratica di Roma. Il matrimonio sarebbe stato celebrato ignorando gli antichi usi longobardi, fatto che avrebbe inasprito i già tesi rapporti con i settori dell’aristocrazia più tradizionalisti e contrari a ogni apertura nei confronti dei rappresentanti romanici.
L’opposizione della fazione ostile al progressivo avvicinamento ai romani sottomessi e ai compromessi con Bisanzio e con il suo rappresentante locale, l’esarca, avrebbe costretto il sovrano a intraprendere una nuova campagna militare; nonostante la pace stipulata, re Ratchis mosse contro la Pentapoli e pose l’assedio a Perugia; dopo lunghi negoziati, papa Zaccaria riuscì a far desistere il re dall’impresa e a fermarlo. Gli oppositori ne approfittarono per deporre il sovrano e nel luglio del 749 elessero a Milano re dei Longobardi il suo più giovane fratello Astolfo.
Nel prologo delle sue leggi, alla vigilia della caduta dell’esarcato d’Italia, quest’ultimo si definì «re della stirpe dei Longobardi, essendoci stato consegnato da Dio il popolo dei Romani». Astolfo segnò, inoltre, un’ulteriore discontinuità rispetto al governo del fratello annullando le donazioni effettuate dalla destituita coppia regale nella fase che vide il rovesciamento dei vertici del regno.
Ratchis scelse la vita monastica; dopo essersi recato con i figli e la moglie ad limina apostolorum, si sarebbe ritirato dapprima presso il Soratte, poi a Montecassino. Sua moglie Tassia con la figlia Rottruda sarebbero entrate nel non distante monastero femminile di S. Maria di Plumbariola; una sorte simile sarebbe toccata ad altri figli (cum filiis) mai menzionati nel dettaglio e a cui fanno riferimento le fonti in modo indistinto (Pauli Continuationes, a cura di G. Waitz, 1878, pp. 199, 201, 208, 217).
Secondo gli autori di parte cassinese e pontificia la decisione di Ratchis di optare per la vita monastica sarebbe da ricondurre a una volontaria e spontanea scelta del re, esortato dalle parole del pontefice sotto le mura di Perugia. Pur senza escludere la devozione di Ratchis, il giudizio delle fonti romane sul sovrano longobardo è generalmente negativo, non discostandosi molto da quanto le stesse riferiscono a proposito del più bellicoso fratello Astolfo. Questa incongruenza, e soprattutto la prassi (diffusa durante l’alto Medioevo non soltanto nel contesto longobardo) di eliminare gli avversari politici obbligandoli a vestire l’abito monastico, non pare poter confermare questa ricostruzione degli eventi; deve essere privilegiata invece una spiegazione esclusivamente politica, legata ai fragili equilibri interni del regno e che trova contemporanei importanti parallelismi anche nel mondo franco.
La vocazione al cenobio di Ratchis e della sua famiglia, nonché le numerose fondazioni monastiche promosse dall’aristocrazia legata alla dinastia ducale friulana discesa da Pemmone, hanno inoculato il dubbio che dietro la fondazione dell’abbazia di S. Salvatore al Monte Amiata si debba rintracciare un’iniziativa diretta del sovrano longobardo. Neppure le ricerche più recenti hanno però potuto provare la fondatezza di un suo intervento; è da confermare perciò l’ipotesi che i due diplomi, il primo emanato dallo stesso Ratchis, il secondo da suo fratello e successore Astolfo, siano stati prodotti dai monaci nell’XI secolo quando provvidero alla stesura della Fundatio (per il dibattito su tale argomento si veda Marrocchi, 2014, pp. 291-305).
Dopo la morte di Astolfo nel dicembre del 756 si aprì per Ratchis la possibilità di ritornare sul trono, ma dopo pochi mesi fu sostituito da Desiderio, il quale dovette riuscire a coagulare intorno a sé parte del gruppo aristocratico veneto-friulano. Prevalse la fazione più favorevole alla ripresa della guerra; la sconfitta politica e la conseguente defenestrazione di Ratchis nel marzo del 757 ne furono la conseguenza inevitabile. In quanto monaco e vicino agli usi romani, gli fu preclusa ogni speranza di regnare nuovamente sul suo popolo.
Del periodo in cui tornò a reggere per pochi mesi le sorti del regno rimane un unico documento rogato in Toscana nel febbraio del 757 che nella sua formula di datazione testimonia l’ambiguità della situazione politica di Ratchis, famulu Christi Iesu e al contempo principem gentis Languardorum anno primo. Non è nota la data di morte.
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