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Oràzio Flacco, Quinto

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Poeta latino (Venosa 65 a. C. - Roma 8 a. C.). Nacque da padre libertinus, come egli stesso dice, e fu educato a Roma, dove ebbe come primo maestro Orbilio; compiuti i vent'anni si recò ad Atene, a completare gli studî retorici. Prima o dopo questo viaggio fu forse in Campania, dove venne in contatto con il circolo epicureo di Filodemo, in cui compì l'esperienza filosofica che rimase fondamentale nella sua vita; e certamente subì anche l'influsso del poema dottrinale di Lucrezio. In Atene aderì al mondo dei giovani romani che vi studiavano, e alle idee repubblicane e anticesariane tra loro diffuse. Perciò, dopo l'uccisione di Cesare, militò sotto Bruto come tribunus militum. Dopo Filippi rinunciò all'idea repubblicana, che rimase per lui solo un ricordo e un sogno della giovinezza. Dalla delusione morale e politica gli derivò una sottile amarezza che gli rimase poi sempre; per vivere si adattò al mestiere di scriba questorio, mentre proseguiva nell'approfondimento della pratica poetica già prima iniziata. Studiò la diatriba stoico-cinica, i poeti giambici greci, Ipponatte e Archiloco, e in genere la poesia lirica ellenistica classica e alessandrina. Incontratosi con Virgilio, giunto a Roma dopo l'esproprio del suo podere mantovano, fu da questo e da Vario presentato (38) a Mecenate, con il quale strinse un'amicizia decisiva per la sua vita. Lo seguì nel viaggio a Brindisi (37) per il rinnovo dell'accordo fra Ottaviano e Antonio; ritornato a Roma, divenne il centro del circolo poetico che si raccoglieva intorno al potente consigliere di Augusto; e Mecenate, comprendendo la natura schiva dell'amico, gli fece dono (nell'anno 31 circa) di una villa in Sabina, presso Licenza, che fu il rifugio e la consolazione di tutta la vita di Orazio. Tra la Sabina e Roma egli visse poi sempre; e come egli stesso aveva predetto, non si allontanò dall'amico carissimo neppure nella morte; morì infatti pochi mesi dopo Mecenate, il 27 novembre e fu sepolto sull'Esquilino presso il tumulo di lui. O. F. è autore di Epodi, Odi, Satire ed Epistole. Gli Epodi e le Odi appartengono al genere lirico: sono scritti, cioè, nei metri della giambica (Epodi) e della lirica greca (Odi), già usati dai neoteri, ma condotti da O. F. a una regolarità di forme e a una perfezione che rimarranno poi classiche. Nelle odi prevalgono la strofe saffica e le varie strofe alcaiche, oltre le asclepiadee. Se O. F. cerca ispirazione direttamente nei lirici monodici dell'età classica (Archiloco, Saffo, Alceo, Anacreonte), risente però anche della nuova lirica alessandrina (Asclepiade) specialmente per l'estrema cura dell'espressione formale. Le Satire (propriamente Sermones) e le Epistole sono invece composizioni in esametri, metro che rimarrà quello proprio del genere. O. F. tratta l'esametro con libertà, spezzandone il ritmo epico e riconducendolo a una forma discorsiva, quasi di prosa, con raffinati procedimenti stilistici, rimasti insuperati. Epodi e Satire rappresentano la prima fase della sua produzione: forse, il suo primo componimento è l'epodo XIII, dell'epoca di Filippi, e il secondo la satira VII del 1° libro, di epoca poco posteriore. La composizione degli Epodi e delle Satire procede di pari passo: nel 35 appare il 1° libro delle Satire, dedicato a Mecenate; nel 30 il libro degli Epodi e il 2° delle Satire. A questo periodo di produzione giambico-satirica fa seguito il periodo lirico: nel 23 egli pubblica i primi tre libri delle Odi, dedicati anch'essi a Mecenate. Immediatamente dopo, O. F. torna al genere dei sermones, concepiti ora in forma di epistola poetica: intorno al 20 appare il 1° libro delle Epistole, dedicato a Mecenate. Nel decennio successivo componeva: il Carmen saeculare (nel 17), in occasione dei Ludi saeculares, su ordinazione di Augusto; il 4° libro delle Odi e il 2° delle Epistole (pubbl. nel 13), comprendente come terza la grande epistola ai Pisoni, nota come Ars Poetica. La produzione poetica di O. F. si estende attraverso uno dei periodi più difficili della storia romana: egli si forma nell'età dell'ultima guerra civile e muore quando la pace augustea è già da molti anni stabilita e la repubblica è sistemata da tempo nel nuovo ordinamento del principato. Tuttavia non si può dire che O. F. abbia cercato di partecipare attivamente alle battaglie spirituali e politiche del suo tempo: tutt'altro che distaccato dalla vita, egli cercò di sottrarsi, per quanto era possibile, alla tempesta che travagliava la società e lo stato romano. Ma non rimase affatto insensibile ad essa, e lo testimoniano per esempio gli epodi, nei quali è possibile sentire la voce di una sincera passione civile, filtrata, però, da una sensibilità soprattutto moralistica. Via via che il tempo passa e la sua giovanile esperienza politica si allontana, O. F. si fa sempre più il poeta della vita quotidiana, nella quale entrano anche le passioni politiche in quanto motivo di gioia per le vittorie della parte cui egli ha aderito ormai senza riserve, quella di Augusto, o di sconforto (mai espresso in forma violenta) e inquietudine per le difficoltà e i dolori dell'uomo. Il suo animo è pacificato dalla profonda amicizia di Mecenate, ed egli può darsi tutto alla letteratura e a quella meditazione sugli uomini, sui loro costumi e caratteri, nella quale non si abbandona mai a toni amari, e che ama temperare con quella elegantissima ironia di cui è maestro. L'esperienza epicurea e quella stoico-cinica, che egli accoglie con eclettismo di artista, non preoccupato di coerenza filosofica, alimenta la sua naturale disposizione alla solitudine, nella quale è gradevole osservare il vano agitarsi degli uomini dietro ai loro meschini o grandi interessi, mentre egli ricerca intanto i piaceri dell'esistenza con la moderazione che toglie loro ogni aspetto di passione e permette di controllarli e di non esserne travolto. La disposizione osservatrice di O. F., la sua incomparabile attitudine a commentare, descrivere, illuminare gli individui incontrati nella vita, si esprime completamente nei suoi sermones, nelle satire, cioè, e nelle epistole; soprattutto perfetti il primo libro delle Epistole (il secondo è piuttosto di contenuto dottrinale) e molte satire, specie del 1° libro. Il suo ideale di vita goduta con sapiente moderazione, in solitudine ma non in isolamento, si esprime nel suo amore per la villa in Sabina: qui egli vive non lontano dalla città, da Mecenate e da Augusto, nei quali ritrova l'appoggio e la protezione, non meno spirituale che materiale, e dal Foro e dalle vie, nelle quali incontra quell'umanità di cui è sempre curioso; ma nello stesso tempo può conservare tutta la sua indipendenza, e ritrovare il silenzio di cui ha bisogno. Personalità ricca di affetti ma non espansiva, guardinga ma non sospettosa, O. F. è perfettamente padrone della forma poetica, come lo è del suo modo di vivere. Nei sermones si manifesta pienamente la sua virtù di stile piano, fluido ma anche curato ad arte, minuzioso nei particolari, dotto di lingua e di metrica, ma sempre lontano dall'esibizione. ▭ Il suo temperamento sembra, ed è in certo senso, antilirico. La sua lirica, perciò, è lontanissima proprio da quei modelli che egli si proponeva, Alceo, Saffo, Anacreonte. Da essi O. F. ha tratto l'amore per la forma pura, la levigatezza e la perfezione nelle gradazioni e nei colori; ma non ne ha sentito il calore e la potenza espressiva. Lo stile oraziano delle Odi è molto diverso, naturalmente, da quello dei sermones: altrettanto elevato quello, quanto questo è volutamente dimesso. Rimane, però, identica la personalità del poeta, che aspira soprattutto alla limpidezza, e che sa frenare l'impeto passionale che talora affiora, velandolo o di sottile ironia o, quando l'ispirazione è più ricca, di composta tristezza, nella quale si ritrovano i motivi del pessimismo greco, la consapevolezza della caducità delle passioni terrene e dell'umana debolezza. Come artista, O. F. rimane modello a tutte le esperienze classicistiche; come poeta, il suo resta un problema insoluto: altrettanto vivo è il fascino che emana dalla sua lirica, quanto difficile è definirne il valore. Nella sua estrema chiarezza, la poesia di O. F. è sostanzialmente ambigua; la sua personalità, tra le più originali del mondo antico, testimonia, come Virgilio, l'altezza spirituale raggiunta dalla civiltà latina nel suo tempo. ▭ Considerato modello di classicità, O. F. fu nuovamente edito da Valerio Probo (seconda metà del sec. 1° d. C.), commentato da Terenzio Scauro (fine sec. 2°) e da Elenio Acrone (sec. 2°-3°). Questi commenti, perduti, sono passati in quello di Porfirione (sec. 3°-4°) e nella massa degli scolî raccolti in età umanistica e tramandati col nome di Ps. Acrone. Nel Medioevo fu noto più come poeta delle Satire che delle Odi (Dante lo chiama "Orazio satiro"). Fu poi il grande maestro del Rinascimento e di tutte le età che apprezzarono il dominio spirituale di sé, espresso in forme letterarie impeccabili.

Vedi anche
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