Concetto elaborato dalla dottrina giuridica come strumento di interpretazione del negozio giuridico e come fondamento della cessazione della sua efficacia per risoluzione o revoca. Si distingue dalla causa del negozio giuridico perché non attiene alla funzione sociale del negozio giuridico previsto dal legislatore e risultante dallo schema legale, ma si riferisce a una previsione propria delle parti. La presupposizione non può confondersi neppure con i motivi del negozio perché la previsione degli effetti non ha mero carattere soggettivo, ma acquista oggettivo rilievo in quanto deve risultare dalla dichiarazione di volontà del negozio. Infine la presupposizione non si identifica con una condizione del negozio perché l’enunciazione delle rappresentazioni degli effetti che le parti si propongono non si esprime attraverso una clausola risolutiva, ma risulta implicitamente e informa di sé tutta la struttura dell’atto, divenendo essenziale per spiegarne la ragione e il movente oggettivo. Pur non essendo rigorosamente un elemento giuridico del negozio (anche perché non è riconosciuta come tale dal legislatore), la presupposizione diventa essenziale in sede di interpretazione del negozio e per accertare gli estremi della risoluzione di esso. Infatti l’indagine sugli effetti pratici proposti, presenti al momento della dichiarazione negoziale, consente di accertare di volta in volta quando il verificarsi di certe circostanze pregiudichi l’equilibrio contrattuale e debba dar luogo alla risoluzione, sia che queste circostanze dipendano dall’inadempimento, sia che dipendano da eventi esterni incolpevoli (come è la sopravvenuta eccessiva onerosità della prestazione).
Interpretazione del negozio giuridico