Prassitele
Lo scultore della grazia
Insieme a Lisippo e a Scopa, Prassitele è stato il grande protagonista della scultura greca del 4° secolo a.C. Con le sue figure sentimentali e malinconiche riuscì a rappresentare perfettamente la crisi della società ateniese. La fama di Prassitele è attestata dalle numerosissime copie di età romana delle sue più celebri statue, grazie alle quali è possibile ricostruire la sua attività artistica
Prassitele nacque ad Atene nella prima metà del 4° secolo a.C. e suo padre, lo scultore Cefisodoto, fu probabilmente il suo maestro. Una delle sue opere più famose è l’Apollo sauroctono (dal greco sàuros «lucertola» e ktèino «uccidere»), cioè in atto di uccidere con la freccia una lucertola che striscia sul tronco d’albero a cui il dio si appoggia. Apollo si presenta come un fanciullo dall’aspetto delicato che si poggia all’albero con un gesto aggraziato e si spinge in avanti per colpire la lucertola. Il cambiamento rispetto al poderoso e ritmico Doriforo di Policleto è incredibile!
La forza sicura delle statue policletee scompare nel delicato e adolescenziale Apollo di Prassitele, che non ha più un’impostazione ferma e verticale, ma un andamento alquanto sinuoso; inoltre l’asse dell’Apollo cade fuori dal baricentro, tanto che il dio greco ha addirittura bisogno di un appoggio per sostenersi. L’ultimo legame con la sicurezza dello sguardo del Doriforo e della gloriosa Atene del 5° secolo a.C. si scioglie nell’espressione malinconica e nella patetica inclinazione della testa dell’Apollo sauroctono.
L’opera, in origine in bronzo, è nota attraverso alcune copie in marmo, la più famosa delle quali è conservata nei Musei Vaticani.
La statua rappresentante Ermes e Dioniso, ritrovata nel 1877 nel tempio di Era a Olimpia, viene ritenuta addirittura un originale di Prassitele del 4° secolo a.C., anche se una parte degli studiosi tende a pensare che si tratti di una copia più tarda. Ermes (Mercurio), messaggero degli dei, è raffigurato mentre sta portando il fratellino Dioniso (Bacco) dalle Ninfe, incaricate di allevarlo; lungo la strada si ferma per una sosta e inizia a giocare con il fratellino, al quale offre un grappolo d’uva.
Prassitele sceglie di rappresentare il dio in sembianze umane, come un fratello maggiore che gioca scherzosamente con un bambino. Come già nell’Apollo sauroctono, il dio, che sta per compiere la sua azione – cioè sostenere il bambino –, si sbilancia su un lato, rompendo ancora una volta l’equilibrio del canone policleteo, recuperando un appoggio nel tronco, assumendo anche una posa curveggiante.
Il capolavoro di Prassitele è l’Afrodite cnidia, così chiamata perché l’originale venne scolpito dall’artista per la città di Cnido, in Caria (Asia Minore). La statua era così famosa presso gli antichi che ne vennero realizzate ben cinquanta copie.
Essa rappresenta la dea della bellezza che, dopo aver posato la veste su un vaso, si accinge a entrare in acqua per il bagno, completamente nuda. Lo splendore della statua e la nudità avevano creato molte leggende intorno alla scultura: innanzitutto si credeva che come modella avesse posato Frine, ritenuta la cortigiana più bella dell’epoca; inoltre si diceva che la statua catturasse lo spirito di chi la guardava troppo intensamente. Il corpo della dea è scolpito in maniera armoniosa, con la consueta posa sinuosa cara a Prassitele, e il marmo è lavorato con la gànosis, una miscela di olio e cera che gli conferisce un caldo tono ambrato; inoltre lo sguardo dolce e sentimentale e la bellezza del nudo hanno permesso all’Afrodite cnidia di divenire un capolavoro di eleganza e a Prassitele di fregiarsi dell’appellativo di scultore della grazia.