Filosofo e scienziato greco (n. Apamea di Siria 135 a. C. circa - m. metà sec. 1º a. C.). Scolaro di Panezio di Rodi, fu con lui uno dei maggiori rappresentanti della cosiddetta media stoa: per la vastità e l'universalità dell'interesse scientifico superò peraltro di gran lunga il maestro, manifestandosi a noi, più in forza dell'enorme influsso esercitato sul pensiero posteriore che attraverso le sue opere, quale una delle più complesse e imponenti figure di tutta la cultura antica. I suoi interessi furono molto vasti e le sue opere (di filosofia, storia, scienze naturali) esercitarono un grande influsso: purtroppo ce ne restano soltanto alcuni frammenti.
Compiuti lunghi viaggi scientifici, fondò una sua scuola a Rodi (donde il nome che spesso gli vien dato di P. di Rodi), nella quale ebbe uditori, tra gli altri, Cicerone e Pompeo. Esplicò la sua attività anche nel campo della storia e di quasi tutte le scienze della natura, con tale vastità di interessi e di lavoro da poter essere paragonato in tal senso solo ad Aristotele. Purtroppo però tale attività può essere valutata più in forza dell'enorme influsso esercitato sul pensiero posteriore che attraverso i frammenti delle sue opere, delle quali sono noti ventitré titoli. Tra le più importanti sono: Sugli dei (Περὶ ϑεῶν); Sulla mantica (Περὶ μαντικῆς); Sulle passioni (Περὶ παϑῶν); Sul dovere (Περὶ τοῦ καϑήκοντος); Discorsi protreptici, cioè esortativi (Λόγοι προτρεπτικοί); un commentario al Timeo platonico; Storie (῾Ιστορίαι) e Sull'Oceano (Περὶ ᾿Ωκεανοῦ). Alla vecchia edizione complessiva dei frammenti, di J. Bake, P. Rhodii reliquiae doctrinae (1810), si è sostituita (1972) quella di L. Edelstein e I. G. Kidd; i frammenti storici sono raccolti anche nei Fragmente der griechischen Historiker di F. Jacoby. La concezione filosofica di P. è caratterizzata dall'intento di conciliare in un grande complesso armonico ogni verità ricavabile dal pensiero precedente: onde egli si può dire insieme stoico ed eracliteo, presocratico e platonico (ma è soprattutto della cosmologia e del latente misticismo del Timeo che egli sente la suggestione). Così egli insiste sulla posizione intermedia dell'uomo, terreno nel corpo e ultraterreno nell'anima, e perciò capace di volgersi verso entrambe le sfere dell'universo (contribuendo a tramandare al mondo moderno tale concetto platonico in quella forma in cui si incarnò poi tipicamente, nel Rinascimento, il senso del valore cosmico dell'uomo). Le Storie erano una continuazione, in 52 libri, dell'opera di Polibio e quindi partivano dal 146 circa a. C. per giungere poco oltre la fine (85) della prima guerra mitridatica; ma un'appendice era dedicata alle guerre di Pompeo. Nonostante la larghissima utilizzazione che delle Storie fu fatta, dal pochissimo che resta di accenni diretti e di frammenti è impossibile una ricostruzione. Anche i suoi scritti geografici e astronomici sono di difficile ricostruzione. Durante i suoi viaggi aveva fatto molte osservazioni astronomiche e fisiche. Seguace del sistema geocentrico, pare che abbia calcolato una nuova misura della circonferenza terrestre; studiò inoltre la corrispondenza fra l'andamento delle maree e le fasi lunari, e si occupò di questioni etnografiche. La sua etnografia influenzò la rappresentazione dei popoli nordici in Strabone; è oggetto di discussione il grado di dipendenza di Cesare e di Tacito da P. nella rappresentazione dei Germani. Tutte le sue opere furono ampiamente utilizzate ed esercitarono largo influsso sulle posteriori dottrine geografiche.