DAL VERME, Pietro
Figlio di Nicola di Vilio, nato (presumibilmente a Verona) negli ultimi decenni del secolo XIII, fu il primo artefice delle fortune politiche e militari della famiglia nel Trecento. In un quarantennio di attività al servizio degli Scaligeri, il D. portò la sua famiglia dal rango tutto sommato provinciale di sostenitrice degli Scaligeri ad un sempre più autonomo ruolo nella scena politico-militare dell'Italia padana trecentesca.
Come per altre eminenti figure del ceto di governo scaligero - Federico Cavalli, Guglielmo Bevilacqua, Bailardino Nogarola -, il prestigio e l'autorità del D. crebbero con il crescere della potenza scaligera nel corso dei trentennio 1310-1340. Attraverso il susseguirsi delle cariche pubbliche da lui ricoperte in numerose città d'Italia, è' possibile ripercorrere le linee di fondo della politica della dinastia veronese. Se infatti dei suoi anni giovanili non sappiamo nulla, è già significativa la sua prima esperienza di amministratore: nel 1316, in un momento in cui Cangrande intrecciava più strette relazioni e collaborazioni con i ghibellini toscani, fu podestà di Lucca, dove aveva appena preso il potere appunto il ghibellino Castruccio Castracani. L'anno successivo, dopo aver partecipato all'assedio di Cremona, il D. fu designato da Cangrande e da Rainaldo (detto Passerino) Bonacolsi - cui il Comune di Parma aveva rimesso la scelta - alla carica di capitano del Popolo di Parma, ove diede buona prova di sé tanto da esser chiamato, nel marzo-aprile 1318, a ricoprire interinalmente anche la carica di podestà.
Il D. era ormai uno degli uomini di fiducia di Cangrande. Nel 1323 ricoprì un altro delicato incarico, in qualità di podestà della recentemente conquistata Bassano; e nel 1328, nella grande Curia celebrata da Cangrande dopo la conquista di Padova, fu armato cavaliere insieme con il fratello Iacopo e molti altri illustri personaggi delle corti italiane. L'anno seguente, nel marzo, era a Venezia con altri due stretti collaboratori di Cangrande, Pietro da Sacco e Guglielmo Servidei, per giurare fedeltà alla Repubblica in qualità di procuratore del signore di Verona, nominato cittadino veneziano; pochi mesi più tardi partecipò alla conquista di Treviso (luglio 1329), ed assistette alla repentina scomparsa di Cangrande.
Coi giovani successori di quest'ultimo, il ruolo delle grandi personalità della corte e dell'amministrazione scaligera divenne ancora più rilevante che in passato. Mastino e Alberto preferirono in più di un caso affidare, per periodi di tempo abbastanza lunghi, le città che l'espansione dello Stato scaligero assoggettava al loro controllo a questi uomini di fiducia, piuttosto che procedere ad annuali avvicendamenti di podestà. In questo quadro si inserisce la lunga podesteria trevigiana del D., durata dall'agosto 1329 ai primi mesi del 1337, salvo un intervallo nel primo semestre 1336, quando egli fu impegnato in attività di carattere diplomatico (lo si trova nel maggio a Ferrara, presente all'atto di cessione di Modena agli Estensi) e fu sostituito da un altro funzionario scaligero, Taddeo Uberti.
A Treviso il D. si trovò ad affrontare una situazione non facile. I delicati rapporti fiscali e militari con Venezia e con i signori trevigiani (da Camino in primis), la diffidenza della classe dirigente locale, le esigenze della difesa della città e del territorio (in quegli anni di frequente soggetto a saccheggi), le incalzanti richieste di denaro e di uomini dettate dalle esigenze belliche scaligere costrinsero il D. - e altri funzionari scaligeri (come Palmerio da Sesso) - ad operare con prudenza ma anche con abilità e fermezza. In materia di imposizione di tributi ad esempio, scrivendo a Mastino e Alberto, egli prese in più di una occasione posizione contro le incoerenze e gli eccessi del fiscalismo scaligero.
Lo scoppio della guerra veneto-fiorentino-scaligera trovò il D. ancora a Treviso, ove la sua presenza è attestata nei primi mesi del 1337, a tutelare la città e il devastato distretto. Dopo che la perdita di Padova (agosto 1337) segnò la svolta decisiva della guerra in senso sfavorevole agli Scaligeri, troviamo il D. impegnato nella lunga quanto vana difesa di Monselice, la sola fortezza rimasta agli Scaligeri nel Padovano. Per più di un anno egli si oppose con successo alle truppe della lega, ottenendo anche alcuni successi come l'uccisione del comandante nemico, il celebrato Pietro Rossi, avvenuta durante una sortita. In una guerra nella quale, come hanno mostrato le ricerche del Simeoni, la scarsa affidabilità delle. truppe mercenarie venne patentemente in luce, l'energia e il valore con cui il D. difese Monselice assunsero agli occhi dei contemporanei un rilievo particolare: quando la cittadina (non la rocca) fu presa, egli ne uscì, secondo il Cortusi, armato e a cavallo "levatis signis de la Scala". Molto rispetto per lui mostrano anche altri cronisti antiscaligeri, come Iacopo Piacentino, l'autore del Liber Marchianae ruinae e il redattore degli Annales patavini, secondo il quale egli uscì da Monselice "cum magna arrogantia".
Minori informazioni abbiamo sul successivo incarico dato al D. da Mastino, che nel 1339 lo inviò con Giberto da Fogliano a Parma. Ma nel nuovo contesto politico succeduto alla pace, anche la difesa della città emiliana era per la signoria veronese una battaglia persa in partenza.
Il ridimensionamento dello Stato scaligero dovette offrire, negli anni '40, minori occasioni di offici e di imprese, preparando indirettamente il terreno per il distacco dei Dal Verme dagli Scaligeri; sta di fatto che sull'attività pubblica del D. in questo periodo abbiamo scarse notizie. Nel frattempo egli attendeva al consolidamento della potenza famigliare. Il figlio Luchino sposò la figlia di un importante funzionario scaligero, il miles Bonetto da Malavicina; assieme con il fratello Iacopo (figura di minore rilievo, ma non insignificante dell'entourage scaligero, ad es. nel 1331 fu fra i legati che stipularono un patto fra Verona e il patriarca d'Aquileia: cfr. G. B. Verci, X, doc. 1165, p. 129) il D. ereditò una porzione modesta, ma non trascurabile, del patrimonio di Bailardino Nogarola, un altro grande della corte scaligera, e godé anche di redditi di terre del monastero di S. Zeno. Ma sul patrimonio dei D. ci informa soprattutto un documento recentemente messo in luce dalla Soldi Rondinini: si tratta di un atto del 1384, col quale Antonio Della Scala restituì a Iacopo quondam Luchino i beni che erano stati dell'avo, a Sanguinetto - centro della potenza fondiaria e giurisdizionale dei Dal Verme nella pianura veronese - e in altre località. Sembra comunque che, dal punto di vista patrimoniale e giurisdizionale, la posizione del fratello Iacopo fosse negli anni 1340-50più solida della sua.
Dovettero maturare in questi anni le condizioni che permisero ai Dal Verme di abbandonare il palcoscenico veronese e di tentare con successo, per mezzo della carriera militare, una autonoma affermazione nell'Italia padana, secondo una via seguita contemporaneamente anche da altre famiglie veronesi, come i Cavalli. Purtroppo sui primi legami stretti dal D. e da Luchino con i Visconti non si sa molto; ma va con buona probabilità connessa ai loro rapporti coi Visconti la partecipazione alla congiura di Fregnano Della Scala, il bastardo scaligero che nel febbraio 1354 tentò di togliere il potere all'assente dominus Cangrande II. Secondo alcuni cronisti, il D. sarebbe morto durante i brevi giorni in cui Fregnano tenne Verona; ma pare invece accertato che, bandito coi figli Luchino, Bartolomeo e Nicola dagli Scaligeri, sia morto in Brescia (comunque non dopo il maggio 1357: Arch. di Stato di Verona, Zileri-Dal Verme, perg. 75), donde il suo corpo fu traslato verso la fine del secolo a Verona, nella tomba di famiglia in S. Eufemia.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Verona, Zileri-Dal Verme, pergg. 27, 47. 48, 58, 59, 61, 66, 67, 71, 75; S. Maria delle Vergini, reg. 4, p. 332; S. Silvestro, perg. 134 app.; S. Zeno, reg. 1.5, C. 27r.; Archivio di Stato di Treviso, Comune, bb. 112 e 113: Registri litterarum di Pietro Dal Verme; Notarile, bb. 6, 9, 10, 20; Treviso, Biblioteca civica, mss. 544.4, 545, 64; Register litterarum 670, ms. 659: Cronaca dell'Anonimo foscariniano, ad annum; ms- 957, tomi VII-VIII: Documenti trivigiani, raccolti da V. Scoti, passim; Chronicon veronense, in L.A. Muratori, Rer. Ital. Script., VIII,Mediolani 1726, col. 654; Annales patavini, in Rer. Ital. Script., 2 ed., VIII, 1, a cura di A. Bonardi, p. 255; Chronicon parmense, ibid., IX, 9, a cura di G. Bonazzi, pp. 155 s.; G. de Cortusiis, Chronicon de novitatibus Padue et Lombardie, ibid., XII, 5, a cura di B. Pagnin, pp. 87, 132; P. Zagata, Cronica della città di Verona, Verona 1745, I, pp. 68, 83; G. B. Verci, Storia della Marca trivigiana e veronese, IX, Venezia 1788. pp. 157-60, e pp. 34, 37 ss. dei Documenti; X. ibid. 1788, Documenti, Passim; XI, ibid. 1789, pp. 35, 48 ss., 65, 67, 118, 147 s. e Documenti, passim (nei Doc. di questi due tomi il Verci pubblica numerosi atti che lo Scoti aveva tratto dalle fonti trevigiane sopra cit.); Cronaca inedita dei tempi degli Scaligeri, a cura di G. Orti Manara, Verona 1842, pp. 17, 43; Liber Marchianae ruinae, a cura di C. Cantù. in Misc. di st. ital., V (1868), pp. 44, 51, 61; S. Bongi, Inventario del R. Archivio di Stato in Lucca, II, Lucca 1876, p. 313; I libri comm. d. Rep. di Venezia. Regesti, a cura di R. Predelli, III, Venezia 1878, p. 27; La resa di Treviso e la morte di Cangrande I della Scala. Cantare inedito del sec. XIV, a cura di A. Medin, in Arch. veneto, s. 3. XXXI (1886), p. 37; Antiche cronache veronesi. a cura di C. Cipolla, Venezia 1890, pp. 128 s., 359, 476, 480; Le opere di Ferreto de' Ferreti vicentino, a cura di C. Cipolla, III, Roma 1920, pp. 91, 97; Iacopo Piacentino, Cronaca della guerra veneto-scaligera, a cura di L. Simeoni, in Misc. di storia veneta, s. 3, V (1931), pp. 87, 114 s., 172; Gli Statuti del Comune di Treviso, a cura di G. Liberali, I, Venezia 1950, p. LXXII; T. Saraina, Le historie e fatti de' veronesi..., Verona 1542, c. 36v; G. Bonifaccio, Historia di Trivigi, Treviso 1744, p. 346; G. Cittadella, Storia della dominaz. carrarese in Padova, I,Padova 1842, p. 174; O. Brentari, Storia di Bassano, Bassano 1884, p. 213; C. Cipolla, Un amico di Cangrande della Scala, in Mem. dell'Acc. delle scienze di Torino, LI (1900-1901), p. 18 (estr.); L. Simeoni, La ribellione di Fregnano della Scala e la politica generale italiana, in Atti e mem. dell'Accad. di Verona, s. 5, XVI (1938), pp. 293 ss.; U. Dorini, Un grande feudatario del Trecento. Spinetta Malaspina, Firenze 1940, pp. 343, 464; G. Sandri, Bailardino Nogarola…, in Atti dell'Ist. ven. di sc., lett. ed arti, C (1940-41). pp. 466, 473, 478, 481, 483, 506 s.; A. Mancini, Storia di Lucca, Lucca 1950, p. 132; B. Bresciani, Personaggi di rilievo in un piccolo borgo, in Atti e mem. dell'Accad. di Verona, s. 6, II (1950-51), pp. 73 s.; G. Sancassani, Documenti sull'amministrazione scaligera dei Comune di Treviso, ibid., s. 6, XIII (1961-62), pp. 193 s., 196 s., 200, 202; G. Soldi Rondinini, La dominazione viscontea a Verona (1387-1404), Verona 1978, pp. 86 s., 93; P. Litta, Famiglie celebri italiane, s.v. Dal Verme, tav. I.