DAL VERME, Pietro
Figlio di Luigi e di Luchi-na di Francesco Bussone, conte di Carmagnola, nacque probabilmente nel 1445. Alla morte del padre nel 1449 ereditò vasti feudi e beni, insieme con il titolo imperiale di conte di Sanguinetto, cui peraltro non corrispondeva una signoria territoriale dato che il padre era stato espropriato delle terre veronesi allorché aveva abbandonato il servizio di Venezia nel 1436. La base territoriale di questo ramo dell'antica famiglia veronese Dal Verme si trovava allora all'interno dei ducato di Milano e il D. era signore di Voghera, Bobbio, Castel San Giovanni ed era titolare di terre site nel Piacentino e nel Pavese. La sua importanza perciò, nella storia del ducato milanese fu più quella di un grande feudatario che di un capitano militare, benché egli non abbia mai cessato di esercitare quest'ultima funzione ed abbia partecipato a quasi tutte le campagne di Galeazzo Maria Sforza e dei suoi successori.
Quando successe al padre il D. aveva appena quattro anni circa. Podestà del padre a Voghera era allora il dotto Antonio Bossi, che fu uno dei primi tutori del Dal Verme. Nei primi anni l'influenza predominante su di lui fu esercitata dalla madre Luchina, che, come figlia del Carmagnola, aveva ereditato il palazzo del Broletto a Milano ed era una figura rilevante nella vita del ducato. Ella amministrava il patrimonio familiare dal castello di Voghera, dove teneva corte e dove nel gennaio del 1454 ricevette la visita di Renato d'Angiò. Il giovane D., cognato di Sforza Maria Sforza - il potente figlio naturale di Francesco Sforza conosciuto come Sforza Secondo, che aveva sposato sua sorella Antonia - fu creato cavaliere quando il duca Francesco entro in Milano il 26 marzo 1450. Egli probabilmente frequentò assiduamente la corte ducale in quegli anni e nel 1456 fu uno dei testimoni all'atto del fidanzamento tra Ippolita Sforza ed Alfonso d'Aragona. Nel 1459 fu al seguito di Galeazzo Maria Sforza a Firenze ed a Bologna per rendere omaggio a Pio II diretto a Mantova.
Nel 1461 il D. divenne maggiorenne e la madre gli trasmise l'amministrazione dei suoi beni. Da allora egli passò gran parte del suo tempo a Voghera, acquisendo grande influenza nella regione che si estendeva a sud del Po: la sua potenza e la sua autorità provocheranno non pochi conflitti con il governo ducale.
Alla morte di Francesco Sforza nel 1466 il suo successore, Galeazzo Maria, confermò i privilegi del D. e il giovane conte combatté nelle file degli Sforzeschi nella battaglia della Molinella contro Bartolomeo Colleoni nel 1467. Tuttavia, alla fine del medesimo anno egli cadde in disgrazia, fu arrestato e costretto a consegnare i suoi castelli; nel marzo 1468 sua madre Luchina dovette, poi, lasciare il castello di Voghera. Non è nota la causa della disgrazia; la tradizione vuole che essa fosse stata provocata dal rifiuto del D. di sposare Chiara, figlia illegittima del duca; il D. preferì, invece, chiedere la mano di Cecilia di Andreotto Del Maino. Se vi fu, tale proposta di Galeazzo Maria rientrava nel più generale tentativo di tenere sotto controllo i grandi feudatari, di modo che il rifiuto del D. rivelerebbe il suo desiderio di conservare la propria indipendenza. Comunque nella estate del 1468, in seguito all'intervento di Federico da Montefeltro, il D. si riconciliò in parte con il duca: promise infatti, di abbandonare i suoi disegni matrimoniali, ridurre la sua compagnia militare a 400 cavalieri e consegnare quattro dei suoi castelli, compreso Bobbio; in cambio riacquistò gli antichi privilegi e il resto dei suoi beni. Due anni più tardi. il 22 febbr. 1470, fu reinvestito con pieni diritti di Voghera e nel 1471 fu invitato ad accompagnare il duca nel suo viaggio a Firenze. Nel 1472, infine si addivenne all'atto finale di riconciliazione ed il D. fu autorizzato a sposare Cecilia Del Maino. Nelle disposizioni militari milanesi di quell'anno egli risulta con una condotta di 400 uomini d'armi o almeno di 1200 cavalieri; il che indica un completo recupero della sua posizione militare. Il 12 maggio dell'anno seguente la madre del D. Luchina morì e fu sepolta con gran pompa in S. Lorenzo a Voghera.
Nei primi mesi del 1474 il D. fu inviato in Savoia come ambasciatore di Galeazzo Maria per porgere al duca le congratulazioni per il suo matrimonio e il 21 maggio del medesimo anno fece parte della deputazione di nobili milanesi inviata ad incontrare a Cremona il re Cristiano di Danimarca. che tornava dal suo viaggio a Roma. Due anni più tardi accompagnò Galeazzo Maria nella spedizione in Piemonte organizzata per liberare la duchessa Iolanda dalle mani di Carlo il Temerario. La spedizione, che si svolse nell'agosto-settembre 1476 e costituì una massiccia dimostrazione della potenza militare milanese nel momento in cui avveniva la riconciliazione con Luigi XI, rappresentò il massimo sforzo compiuto da Galeazzo Maria per aumentare il prestigio politico e militare del ducato. L'assassinio del duca nel dicembre del 1476 comportò sia il declino del prestigio ducale sia un grave calo dell'influenza del D. a corte.
Nel febbraio del 1477 il D. si preparava a Bobbio a muovere su Genova con l'esercito che doveva domare la ribellione capeggiata dai Fieschi. Soffocata la rivolta e catturato Obietto Fieschi nell'aprile, una parte dell'esercito milanese, di cui il D. era uno dei governatori, inseguì a Torriglia Gian Luigi Fieschi e quindi, trasportata via mare a Rapallo, completò con successo l'assoggettamento dei castelli dei Fieschi. Il 23 maggio 1477 il D. fu nominato membro del Consiglio segreto, probabilmente al fine di assicurare la sua fedeltà al governo in carica nel momento in cui si accentuava il contrasto fra la duchessa Bona ed il cognato Ludovico Sforza.
Nel luglio del 1478 il D. fu uno dei capitani più importanti spediti con Sforza Secondo a soffocare una nuova rivolta a Genova, fomentata da Roberto di Sanseverino e dal governo napoletano. Il 7 agosto l'esercito milanese fu sconfitto dal Sanseverino a Busalla e il D. venne catturato insieme con il conte Borella, Giampietro Bergamino ed altri capitani. Dopo il suo rilascio, nell'aprile del 1479 fu convocato a Milano, sospettato di aver cospirato con Ludovico Sforza e Roberto di Sanseverino per rovesciare il governo della duchessa Bona e di Cicco Simonetta. Si finse, allora, malato ed evitò di presentarsi a corte per non correre il rischio di essere arrestato. In autunno, comunque, in seguito al ritorno di Ludovico Sforza e all'arresto del Simonetta, tale pericolo venne a cadere e il D. poté riassumere il suo posto nel Consiglio segreto.
All'inizio dell'anno successivo Cecilia Del Maino morì e il D. acconsentì allora a sposare Chiara Sforza con una dote di 14.000 ducati, compresi i possedimenti di Valsassina, Pieve d'Incino, Mandello, Bellano e Varenna. Il matrimonio fu celebrato il 24 apr. 1480. Pochi giorni prima il D. aveva chiesto al governo ducale di procurargli una condotta con Firenze o Napoli. La richiesta probabilmente rientrava nel progetto del D. di accrescere il proprio prestigio militare anche per controbilanciare l'influenza che gli Sforza avrebbero esercitato su di lui attraverso i nuovi legami di parentela. Ma la pressione esercitata da Milano sulla Repubblica fiorentina non fu sufficiente a ottenergli la desiderata condotta ed a convincere Firenze a rivedere la sua politica di drastica riduzione delle spese militari. Il D. perciò rimase a Milano e il 23 giugno fu testimone al fidanzamento del duca Giangaleazzo con Isabella d'Aragona.
Dopo il ritiro della duchessa Bona ad Abbiategrasso nell'ottobre del 1480 e l'affermazione di Ludovico Sforza e dei suoi feudatari, i Pallavicini, il D. ed altri grandi nobili divennero sempre più ostili al regime. Quando nell'autunno del 1481 Roberto di Sanseverino espresse il suo disaccordo ritirandosi nei suoi possedimenti a Castelnuovo nel Tortonese, corsero voci che il D., Pier Maria Rossi ed i Torelli volessero raggiungerlo. Ma il Moro prevenne qualsiasi simile intenzione del D., poiché mosse rapidamente contro Roberto di Sanseverino, costringendolo a fuggire. Il D., invece, ricevette il 20 marzo 1482 una nuova condotta di go uomini d'arme e una "provisione" annua di 8.000 ducati: poche settimane più tardi si avviava a raggiungere le forze milanesi che si radunavano per la guerra di Ferrara.
Poco sappiamo dell'attività del D. durante questo conflitto, ma.sembra che egli abbia allontanato da sé ogni ulteriore sospetto di tradimento. Nondimeno la sua improvvisa morte il 17 ott. 1485 fu immediatamente attribuita a veleno, che gli sarebbe stato somministrato per ordine di Ludovico il Moro e, secondo alcuni, dalla stessa Chiara Sforza. Questa tipica leggenda rinascimentale, per la quale non ci sono chiare testimonianze, ebbe qualche credito per la rapidità con cui lo Sforza si impadronì di tutte le proprietà del D., che era morto intestato e senza legittimi eredi. Il padre del D., Luigi, aveva disposto nel testamento che se si fosse presentata tale eventualità i feudi sarebbero dovuti passare ai propri figli naturali legittimati, ma il Moro ignorò tale disposizione. La maggior parte delle proprietà del D. fu distribuita tra i favoriti di Ludovico e in particolare a Galeazzo di Sanseverino, ma Bobbio e Castel San Giovanni furono ritenuti dalla Camera ducale e il palazzo del Broletto a Milano, che il D. aveva ereditato dalla madre, fu donato a Cecilia Gallerani, amante del Moro. A giustificazione di queste decisioni Ludovico Sforza sostenne che il D. aveva congiurato con Roberto Sanseverino, senza tuttavia poter produrre alcuna prova di quest'accusa.
Il D., che fu seppellito in S. Lorenzo in Voghera, lasciò un figlio naturale, Francesco, del quale non si hanno che scarse notizie.
Fonti e Bibl.: Documenti relativi al D. si conservano in molti fondi dell'Archivio di Stato di Milano, in particolare nelle Missive ducali, ma anche in Autografi, 206 e in Famiglie, 198. La condotta del 20 marzo 1482 si trova in Sforzesco, 1548. Il D. è ricordato inoltre nelle seguenti cronache edite: Cronaca di anonimo veronese dal 1446 al 1448, a cura di G. Soranzo, Venezia 1915, p. 367; Corpus chronicorum Bononiensium, in Rer. Ital. Script., 2 ed., XVIII, 1, a cura di A. Sorbelli, IV, pp. 262 s., 361; Antonii Galli Commentarii de rebus Genuensium…, ibid., XXIII, 1,a cura di E. Pandiani, ad Indicem; Cronica gestorum in partibus Lombardie et reliquis Italiae 1476-82, ibid., XXII, 3, a cura di G. Bonazzi, ad Indicem. Non esiste una biografia complessiva sul D., ad eccezione della breve voce in P. Litta, Fam. cel. italiane, sub voce Dal Verme, tav. II, e della nota, priva di valore, in L. Bignami, Condottieri viscontei e sforzeschi, Milano 1934, pp. 79-81. Vedi inoltre: C. De' Rosmini, Nell'istorie intorno alla militare impresa e alla vita di Gian Iacopo Trivulzio, Milano 1815, pp. 000-00; B. Corio, Storia di Milano, Milano 1856, III, pp. 300, 357, 410; C. E. Visconti, Ordine dell'esercito ducale sforzesco, 1472-1474, in Arch. stor. lomb., III (1876), p. 455; A. Battistella, Ritagli e scampoli: aneddoti e appunti storici documentati, Voghera 1890, pp. 97 s., 102, 104; Gli uffici del dominio sforzesco, a cura di C. Santoro, Milano 1948, pp. 15, 236, 288; A. R. Natale, I Diari di Cicco Simonetta, in Arch.stor. lomb., s. 8, II (1951-52), p. 165; III (1953), p. 189; C. Santoro, Un registro di doti sforzesche, ibid., p. 145; D. Bueno de Mesquita, Ludovico Sforza and his vassals, in Italian Renaissance Studies, a cura di E. F. Jacob, London 1960, pp. 198-202; G. Manfredi, Storia di Voghera, Voghera 1968, pp. 266 s., 273, 275.