persona
L’individuo nelle sue relazioni con il mondo
La persona (dall’etrusco phersu) era per i Romani la maschera che portavano gli attori in teatro e che i Greci chiamavano pròsopon «volto». Il termine è diventato nel corso dei secoli uno dei concetti centrali del diritto, della teologia, della filosofia, della politica e della psicologia. Anche se queste discipline lo usano in relazione a problemi differenti e quindi con significati diversi, il termine persona contiene sempre un rinvio alla dimensione individuale
Dalla filosofia al diritto. Dal significato originario di maschera teatrale e quindi di personaggio, il termine persona passò a indicare – con i filosofi del tardo stoicismo – il ruolo che il destino assegna a ogni individuo. Rivolgendosi all’uomo, il filosofo Epitteto (1°-2° secolo d.C.) scriveva: «Ricordati che tu nella vita non sei che l’attore di un dramma, il quale sarà breve o lungo secondo la volontà dell’autore. E se all’autore piace che tu rappresenti la persona di un mendicante, cerca di rappresentarla adeguatamente. Lo stesso se ti è assegnata la persona di uno zoppo, di un magistrato o di un uomo comune. Visto che a te spetta soltanto di rappresentare bene quella persona che ti è stata destinata: lo sceglierla appartiene ad un altro».
Ma è soprattutto nell’ambito del diritto romano che il concetto di persona ebbe un grande sviluppo, andando a indicare colui il quale – essendo libero nelle sue azioni e quindi responsabile dei suoi atti – può essere titolare di diritti e doveri (capacità giuridica). Col tempo i giuristi cominciarono a distinguere tra la persona fisica, ossia il singolo individuo, e la persona giuridica, che è composta da più individui o da un complesso di beni ai quali è attribuita la capacità giuridica. Un ente, per esempio, può avere personalità giuridica e quindi perseguire alcuni scopi determinati, il che dà luogo a una serie di diritti e doveri (è ovvio che titolari dei diritti e delle responsabilità saranno le persone fisiche che ricoprono cariche direttive all’interno di quell’ente).
L’uso teologico. Sempre nel periodo tardo-antico e medievale, il concetto di persona cominciò a essere usato dai pensatori cristiani per affrontare alcune complesse questioni teologiche, come la natura della Trinità o di Cristo. Nel primo caso il termine fu usato per cogliere il momento della distinzione all’interno dell’unità, per cui si affermava che Padre, Figlio e Spirito Santo sono le tre persone in cui si distingue l’unica sostanza di Dio; nel secondo caso fu invece usato per cogliere l’unità al di là della distinzione, per cui si sosteneva che le due nature di Cristo, quella divina e quella umana, si unificano nella sua persona.
In termini generali, oggi parliamo di Dio-persona per distinguere la concezione della divinità comune alle grandi religioni rivelate (ebraismo, cristianesimo, Islam) dalle concezioni panteistiche, che identificano Dio con la Natura.
Nella filosofia moderna la persona viene identificata con l’individuo e in particolare con il suo Io o coscienza. Per John Locke la persona è «un essere intelligente e pensante che possiede ragione e riflessione e può considerare sé stesso, cioè la stessa cosa pensante che egli è, in diversi tempi e luoghi»: tutto ciò grazie alla «coscienza che è inseparabile dal pensare».
Analogamente, Immanuel Kant sottolinea che la capacità dell’uomo di essere cosciente di sé lo «eleva infinitamente al di sopra di tutti gli esseri viventi sulla terra» e ne fa «una persona». Essenziale, nel pensatore tedesco, è l’idea che ogni persona – in quanto portatrice della legge morale e capace di scelte autonome – sia dotata di una dignità che non può mai essere violata. Questa ‘sacralizzazione’ della persona ha portato alla progressiva affermazione, in età moderna, delle libertà individuali o personali, così definite perché proteggono, in ogni individuo, sia la persona fisica (si pensi alle garanzie giudiziarie) sia la persona morale, cioè la coscienza (libertà di pensiero e di religione).
Se nella filosofia moderna il concetto di persona viene usato per indicare la relazione consapevole dell’uomo con sé stesso, nella filosofia novecentesca esso viene invece usato per indicare la relazione dell’uomo con il mondo.
È al filosofo tedesco Max Scheler che dobbiamo la riflessione più articolata su questo concetto: mentre l’io si rapporta al mondo esterno, l’individuo alla società e il corpo all’ambiente, la persona si rapporta al mondo nel suo complesso, sia nel senso che ogni individuo ha il suo ‘mondo’ (l’insieme delle relazioni che lo definiscono), sia nel senso di poter influire su quel mondo stesso. Un individuo ridotto in schiavitù – esemplifica Scheler – è senz’altro dotato di un corpo e di una coscienza, ma non di una persona, perché non è padrone del suo corpo e quindi gli sfugge uno degli elementi essenziali che costituiscono il suo mondo.
Il concetto di persona come rapporto con gli altri e con il mondo anima anche la riflessione politica di alcuni pensatori cristiani, che fondarono, negli anni Trenta del Novecento, il movimento del personalismo. Raccolto intorno alla rivista Esprit («Spirito») e guidato dal francese Emmanuel Mounier, tale movimento si pose come una sorta di terza via tra liberalismo e comunismo, individuando nel concetto di persona una sintesi tra le esigenze di libertà individuale e le istanze di appartenenza comunitaria.
Contro il liberalismo il personalismo sottolineava i vincoli di solidarietà che legano la persona agli altri e in particolare alle formazioni sociali nelle quali si sviluppa (famiglia, chiesa, associazioni lavorative, civili, politiche e così via); veniva inoltre contestato il primato dell’economia e del denaro su altre dimensioni della vita, come quella spirituale e sociale, che erano considerate più importanti. Contro il comunismo, invece, veniva rivendicato il valore assoluto della persona, sostenendo che la dignità e la libertà degli individui non potevano essere sacrificate in nome di nessun obiettivo collettivo; inoltre alla dimensione anonima e soffocante dei grandi apparati statali veniva contrapposta la dimensione partecipativa dei corpi intermedi – dalla famiglia alla chiesa, dalla cooperativa di lavoro al sindacato, sino alle associazioni civili in genere – nei quali l’individuo conservava il sentimento della propria particolarità e responsabilità.
Il personalismo ebbe, subito dopo la fine della Seconda guerra mondiale, un influsso significativo sulla vita politica di alcuni paesi, come la Francia e l’Italia. Nel nostro paese esso ispirò molti aspetti della Costituzione varata nel 1948, grazie all’opera di personalità cattoliche come Giuseppe Dossetti e Giorgio La Pira.
Tra 19° e 20° secolo il concetto di persona ha avuto un ruolo molto importante anche nella psicologia. Da esso deriva il termine personalità, con il quale gli psicologi intendono l’organizzazione dinamica degli aspetti conoscitivi, affettivi, motivazionali e volitivi dell’individuo. Tale organizzazione ha una sua stabilità e permette di distinguere quello che appartiene in modo costante a un individuo da quello che è dovuto a circostanze passeggere.
Di particolare interesse è poi la riflessione del grande psicologo Carl Gustav Jung, il quale si serve del termine persona nel suo antico significato di «maschera», per indicare i vari ‘ruoli’ che ogni individuo assume nelle sue relazioni con il mondo esterno: dai ruoli familiari (figlio, genitore, nonno) a quelli professionali (medico, insegnante e così via), sino ai ruoli sociali in senso lato (ospite, amico e altro ancora). Ogni individuo ha la sua persona, che costituisce uno degli aspetti della sua psiche, accanto all’io (anch’esso parte della sfera cosciente) e alle varie componenti dell’inconscio. La salute psichica consiste nell’equilibrio di queste varie componenti, ma a volte accade che l’individuo – per bisogno di sicurezza e per tenere a bada le tensioni provenienti dal suo inconscio – si identifichi con la propria persona, cioè con uno dei ruoli che egli assume nel mondo esterno.
Alcune donne, per esempio, si identificano con il loro ruolo di madre, mentre alcuni uomini si identificano con il loro ruolo professionale. In tal modo, però, essi sviluppano in modo inadeguato la propria individualità, che è assai più ampia e complessa: di qui il sentimento di irrimediabile perdita di identità e di significato che provano quando quei ruoli vengono meno (cioè, per tornare al nostro esempio, quando i figli vanno via di casa o al momento di andare in pensione).