In linguistica, tempo del verbo (detto anche preterito) che indica la precedenza dell’azione o avvenimento rispetto al punto di vista di chi parla. A seconda del fatto che l’avvenimento si consideri come compiuto o in svolgimento, contemporaneo o anteriore rispetto a un altro evento passato, si può adoperare – se naturalmente la lingua possiede un mezzo d’espressione corrispondente – l’imperfetto, il perfetto, l’aoristo, il piuccheperfetto; anche il futuro anteriore è una specie di p. nel futuro. Di un passato come forma verbale a sé si può parlare dove non esiste che un solo paradigma designante questo tempo; tale è il caso, per es., delle antiche lingue germaniche, come il gotico, o della maggior parte delle lingue slave.
Il p. prossimo è uno dei tempi del verbo, nel modo indicativo; si contrappone a p. remoto, e serve a indicare un fatto passato ma avvenuto in un tempo non interamente trascorso (per es.: mi ha scritto in questo mese) o un fatto anche lontano ma i cui effetti durano tuttora o che sia comunque posto in relazione con il presente (per es.: l’America è stata scoperta da Cristoforo Colombo), ove il p. remoto serve a indicare un’azione che si presenta come compiuta nel tempo passato, distaccandola da ogni relazione col presente (per es.: Cesare sconfisse Pompeo).