Sebbene la Costituzione degli Stati Uniti (1788) taccia sull’argomento (peraltro il primo presidente, G. Washington, non apparteneva a nessun partito), i partiti sono comparsi negli Stati Uniti già alla fine del XVIII secolo. A differenza, però, di quanto sarebbe avvenuto in Europa specie dal secondo Ottocento, i partiti americani sono e sono stati per lo più privi di solide strutture interne, di sistemi capillari di tesseramento, di ramificazioni territoriali permanenti, di un’attitudine alla formazione e selezione interne della leadership. Negli Stati Uniti i partiti hanno avuto ed hanno una prevalente funzione elettorale e svolgono un ruolo decisivo – attraverso le conventions – nella selezione e nella nomina dei candidati alle elezioni, a cominciare dalle elezioni presidenziali che costituiscono l’appuntamento politico più importante.
Sin dalle prime legislature il sistema politico statunitense si è orientato verso il bipartitismo, modalità ancora oggi in vigore, ma nel tempo i partiti hanno mutato forma e denominazione. Un primo momento di divisione all’interno della cultura politica federalista che aveva realizzato la nuova nazione americana si verificò alla fine del Settecento. Un po’ a ricalco del modello politico britannico (distinto in Whigs e Tories), al Federalist Party (creato da A. Hamilton) si contrappose il Republican-Democratic Party (o Republican Party), fondato da Th. Jefferson. La distinzione riguardava l’ampiezza dei poteri dell’esecutivo, che i federalisti intendevano rafforzare, ma vi erano anche differenze geografiche (i repubblicani erano più radicati negli stati del Sud), sociali (federalista era la business community), di orientamento internazionale (più filobritannici i federalisti, più simpatizzanti con la Francia e la Rivoluzione francese i repubblicani). Le ripetute affermazioni repubblicano-democratiche (a partire dal 1800) da un lato ridussero i federalisti a poche roccaforti isolate, dall’altro però minarono l’unità del partito maggioritario che tra il 1824 e il 1828 si divise tra la corrente di A. Jackson, che avrebbe costituito il moderno Democratic Party, e la corrente di H. Clay che formò un partito d’ispirazione whig.
Durante l’“età jacksoniana” (dagli anni trenta dell’Ottocento alla guerra civile) il sistema politico ebbe dunque i maggiori contendenti nel Democratic Party e nel Whig Party, ma emersero anche partiti che presentavano istanze speciali come la lotta alla massoneria e l’abolizione dello schiavismo, e quest’ultima tendeva a violare la convenzione tra Democrats e Whigs a non sollevare la questione degli schiavi. In particolare il Partito democratico era anche espressione degli agrari del Sud, contrari al protezionismo industriale, e sosteneva la dottrina dei “diritti degli Stati” (che di fatto costituiva la difesa dello schiavismo) in opposizione al programma di rafforzamento del potere centrale sostenuto dai repubblicani.
Una svolta si ebbe nel 1855 con la costituzione del Republican Party, formato da modernizzatori liberali di tendenza whig e attivisti antischiavisti, che divenne rapidamente l’antagonista del Democratic Party. Se sul piano nominale la creazione del Republican Party rendeva il sistema politico statunitense simile all’attuale, non sono ancora visibili nei due partiti quei generali orientamenti politici (verso il centrosinistra i democratici e i repubblicani verso il centrodestra) che si sarebbero iniziati a percepire dagli anni trenta del Novecento; nelle elezioni presidenziali del 1860 i democratici del Sud e quelli del Nord presentarono due diversi candidati e la vittoria andò al repubblicano A. Lincoln. Nella ripresa repubblicana giocarono un ruolo importante elementi quali una marcata presenza protestante (e soprattutto pietista) e un forte richiamo nazionalista che si fece veramente rilevante dinanzi alla secessione degli stati del sud.
La guerra civile e il suo esito dunque corroborarono l’egemonia repubblicana, che si estese al lungo periodo della ricostruzione postbellica, caratterizzata da un forte sviluppo dell’industria e da imponenti opere pubbliche come la rete ferroviaria, mentre i democratici – che si erano divisi anche nella guerra civile – tendevano a rafforzare le posizioni negli stati meridionali.
Ancora repubblicana fu la prevalenza nella grande fase di sviluppo nei primi decenni del XX secolo, eccezion fatta per la presidenza del democratico W. Wilson (1913-21) che segnò l’inizio di una nuova presenza statunitense nella politica mondiale.
Con la grande crisi economica del 1929 gli Stati Uniti registrarono importanti cambiamenti anche politici. Nel 1932 il democratico F.D. Roosevelt prevalse (1933-45) con un programma di New Deal, un nuovo corso economico e sociale che caratterizzò in profondità la politica interna statunitense, e da allora i democratici guidarono il paese nella seconda guerra mondiale e, con H. Truman (1945-53), contribuirono a costruire il complesso equilibrio planetario che seguì la vittoria, con la fine dell’alleanza militare con l’Unione Sovietica e l’inizio della guerra fredda.
Dal punto di vista del sistema politico, con la presidenza di F.D. Roosevelt si può notare una sorta di stabilizzazione, nel senso che dopo la sua presidenza non vi sono stati periodi molto lunghi caratterizzati dalla continuità di governo di uno o dell’altro partito né sembrano essere emersi punti di vista caratterizzanti un’intera fase storica, come più volte era accaduto in precedenza. Ciò è visibile se si osserva la più recente sequenza dei presidenti: D. Eisenhower (1953-61, rep.), J.F. Kennedy (1961-63, dem.), L.B. Johnson (1963-69, dem.), R. Nixon (1969-74, rep.), G. Ford (1974-77, rep.), J. Carter (1977-81, dem.), R. Reagan (1981-89, rep.), G.H. Bush (1989-93, rep.), B. Clinton (1993-2001, dem.), G.W. Bush (2001-09, rep.), B. Obama (2009-17, dem.), D. Trump (2017-2021, rep.) e J. Biden (2021-).
Per quel che riguarda i democratici, l’attenzione verso lo stato sociale e i diritti delle minoranze (che hanno progressivamente attratto il voto dei neri) hanno caratterizzato con una certa continuità la loro presenza nella società statunitense; negli ultimi decenni, il partito democratico ha adottato un programma per lo sviluppo di un sistema di libera impresa temperato da un intervento pubblico. Il più marcato conservatorismo sociale dei repubblicani e una più netta tendenza alla deregolamentazione della vita sociale (per es. nella libertà nel possesso delle armi) si sono poi caratterizzati – specie nell’amministrazione di G.W. Bush dopo l’attentato dell’11 settembre 2001 – con una tendenza a interpretare un ruolo internazionale fortemente attivo nel promuovere la lotta al terrorismo e la democrazia globale, ma con modalità che a volte sono sembrate aumentare la solitudine del paese più potente del mondo, sensazione avvertita anche in ampi settori statunitensi.
Ciò contribuisce a spiegare sia l’esito della competizione per la nomination democratica alla candidatura presidenziale, nel 2008, tra B. Obama e H. Rhodam Clinton (per la prima volta un nero e per la prima volta una donna erano in lotta per la candidatura), sia la forte affermazione democratica e la vittoria del primo presidente afroamericano, riconfermato nella carica alle elezioni presidenziali tenutesi nel novembre 2012. Nei primi due anni di presidenza O. si è dovuto confrontare con una Camera dei rappresentanti a maggioranza GOP e, dopo le elezioni di medio termine del 2014, con la caduta anche del Senato nelle mani dei repubblicani, ciò producendo uno scontro istituzionale, con la Casa Bianca che è spesso dovuta ricorrere al veto presidenziale per aggirare l’ostruzionismo del partito rivale. Alla conclusione di otto anni di presidenza obamiana, il Partito democratico sembra comunque uscire rafforzato dalle politiche avviate dall’amministrazione e su diversi temi la sua piattaforma programmatica ha virato a sinistra, con la presa in carico di questioni cruciali quali l’aumento del salario minimo, la tutela dei diritti, l’accesso alle cure, un sistema fiscale più equo, l’integrazione delle diversità, la difesa dell’ambiente –punti ben evidenziati nell’agenda della candidata alle presidenziali del 2016 Clinton, nota per il suo impegno per l’accesso dei più poveri all’assistenza sanitaria e, da senatrice dello Stato di New York , per le battaglie a difesa dei diritti dei bambini, ciò che le ha conferito una postura politica competente e credibile. Sul fronte repubblicano, il partito non sembra essere riuscito a superare le fratture interne, né a presentare al Paese un candidato forte, fatto che lo aveva già penalizzato nelle consultazioni del 2012; la risposta anti-establishment, populista e rabbiosa, agli effetti di lungo periodo della crisi economica si è incarnata nella figura del magnate D. Trump, che fomentando il radicalismo e la polarizzazione politica ha incanalato la rabbia sociale e le ansie di una società spaesata per il declino delle più fondanti appartenenze collettive, accentuando nel GOP la divisione tra una base infiammata dai discorsi del magnate e un’élite preoccupata dalla sua ascesa. Il confronto tra democratici e repubblicani sembra dunque essersi configurato alle presidenziali dell'8 novembre 2016 come il confronto tra un’America emergente delle minoranze e un’America declinante, identificabile con il ceto medio e medio-basso - quello meno avvantaggiato dalle politiche sociali obamiane - che ha scelto come quarantacinquesimo presidente del Paese Trump, assegnando al Partito repubblicano anche il controllo del Senato e della Camera, quest'ultimo riconquistato dai democratici alle elezioni di metà mandato svoltesi nel novembre 2018. Tale quadro di netta polarizzazione si è ulteriormente accentuato in vista delle consultazioni del novembre 2020, svoltesi in un clima caratterizzato dall'inasprimento dei conflitti razziali, dall'aggravarsi della crisi economica e dalla pandemia di Coronavirus, per far fronte alla quale l’esecutivo ha elaborato risposte inefficienti: nonostante la perdita di popolarità dovuta all’inadeguatezza delle soluzioni adottate per fra fronte a tali nodi problematici, Trump è riuscito comunque a mantenere una soglia di resistenza costituita da elettori di classe medio-alta e alimentata dalle teorie cospirazioniste e dai miti salvifici di QAnon. Alle consultazioni svoltesi il 4 novembre 2020, il presidente uscente è stato sconfitto dal candidato democratico J. Biden, di posizioni inizialmente moderate ma con una agenda politica che ha accolto quali temi prioritari la riduzione delle emissioni inquinanti, un programma di aiuti destinato alle fasce a più basso reddito, l'assistenza all'infanzia e l’estensione dei piani sanitari federali già previsti dall’Obamacare, affiancato dalla candidata alla vicepresidenza K. Harris, prima donna nera nominata in un ticket per la Casa Bianca nella storia degli Stati Uniti.