partiti politici
Le molte voci del confronto politico
I partiti politici sono sorti in età moderna, in relazione all’affermazione del governo rappresentativo e dei parlamenti nazionali. Nel corso dell’Ottocento essi hanno assunto dapprima la fisionomia di ‘partiti di notabili’ e poi, con l’avvento della democrazia, quella di ‘partiti di massa’, saldamente organizzati e dominati da professionisti della politica. Questo modello di partito politico è oggi almeno parzialmente in crisi per la concorrenza esercitata da altre forme di costruzione del consenso e di mobilitazione e integrazione delle masse
I partiti politici sono gruppi più o meno coesi e organizzati di individui che si uniscono in modo volontario per conquistare il potere entro una comunità politica e realizzare attraverso di esso le aspirazioni, gli ideali, gli interessi dei propri membri, dei propri simpatizzanti e dei propri gruppi di riferimento. Essi sono lo specchio delle diverse forze – ceti, classi, gruppi di interesse e di opinione – che agiscono in una data società e degli attori che ne rappresentano le istanze a livello politico-statuale.
I partiti politici hanno iniziato a svilupparsi nel mondo moderno, per lo più in relazione alla nascita delle prime forme di governo rappresentativo e all’affermazione dei parlamenti nazionali.
Nel mondo antico e medievale esistevano gruppi in qualche modo assimilabili ai partiti politici (patrizi e plebei, guelfi e ghibellini), ma erano per lo più considerati, spregiativamente, come fazioni, potenzialmente negatrici di qualsiasi bene o interesse comune. Anche i partiti – il termine deriva dal latino pars «parte» – sono portatori di interessi ‘particolari’. Essi, tuttavia, hanno iniziato a svilupparsi nel momento in cui si è affermata l’idea tipicamente liberale (liberalismo) che la crescita e il progresso derivino dal confronto e persino dal conflitto (purché non distruttivo) tra gruppi, ceti, classi, poteri concorrenti e dalla varietà di interessi, valori e credenze che si affermano nel seno di una determinata società (conflitto sociale). In questo senso i partiti sono una delle principali espressioni del pluralismo politico, che è caratteristico di tutti i sistemi liberal-democratici contemporanei e che è stato invece abolito dai regimi totalitari novecenteschi, i quali hanno dato vita a sistemi a partito unico, fondati cioè sull’identificazione di partito e Stato.
Rispetto ai fini che perseguono, si possono distinguere partiti che si ispirano a una determinata concezione del mondo o ideologia, partiti che mirano a difendere gli interessi di un determinato ceto o di una determinata classe sociale, e ancora partiti che aspirano a conquistare i benefici e gli onori che sono connessi all’esercizio del potere.
Rispetto alla loro struttura – che quasi senza eccezioni prevede la divisione di fatto tra un circolo interno in posizione dominante e un circolo esterno che segue le direttive del primo – occorre distinguere tra partiti di tipo carismatico, caratterizzati soprattutto dalla personalità eccezionale di un leader e dalla devozione tributatagli dai seguaci, e partiti di tipo prevalentemente burocratico, organizzati su una gerarchia stabile di funzionari.
In relazione agli strumenti utilizzati per la propria affermazione, i partiti che fanno dipendere la propria fortuna dal successo nelle elezioni si differenziano da quelli che invece agiscono al di fuori di quei meccanismi, con mezzi rivoluzionari e fondati sulla violenza. Così pure i partiti di sistema, proiettati alla conquista del potere all’interno del sistema politico e sociale in cui agiscono, si oppongono ai cosiddetti partiti antisistema, i quali operano invece nella prospettiva di un rovesciamento dei rapporti esistenti.
Sul piano dello sviluppo storico, dopo le esperienze dei partiti parlamentari britannici del Settecento (whig e tory) e dei club della Rivoluzione francese, i partiti iniziarono ad assumere consistenza innanzitutto come partiti di notabili.
Diffusi in gran parte dei paesi europei durante l’Ottocento, essi erano espressione di sistemi politici fondati sul suffragio ristretto e quindi su una limitata partecipazione alla vita politica. Per questa ragione, erano privi di un’organizzazione stabile, avevano una dimensione locale e si fondavano sull’operato di ‘persone socialmente preminenti’, i notabili per l’appunto, che si dedicavano alla politica come a un’attività secondaria, soltanto in occasione delle elezioni e dei lavori del parlamento.
Questa struttura originaria dei partiti politici si modificò radicalmente tra Otto e Novecento (ma in America già nella prima metà del 19° secolo), in relazione all’avvento della democrazia e del suffragio universale (o quasi universale) e allo sviluppo della questione sociale e del movimento operaio. Rispetto all’esigenza di conquistare il consenso delle masse, di mobilitarle, di educarle e di ottenerne il voto in occasione di elezioni che coinvolgevano milioni di individui, quella struttura risultava infatti del tutto inadeguata. Era invece necessario che sorgessero partiti organizzati, saldamente insediati sul territorio e collegati a livello nazionale da una rete di organizzazioni locali intermedie. Era necessario che questi partiti operassero in modo continuativo, con meccanismi regolari di reclutamento e di finanziamento, con ampi mezzi di propaganda.
Era necessario, di conseguenza, che alle vecchie figure dei politici dilettanti si sostituissero nuove figure di politici di professione, dediti in modo esclusivo all’attività politica.
A tutte queste esigenze risposero i nuovi partiti di massa, che assunsero due diverse configurazioni. Soprattutto in relazione allo sviluppo del movimento operaio, come avvenne nel caso del Partito socialdemocratico tedesco, essi divennero partiti organizzativi di massa, che intendevano svolgere una funzione più ampia di educazione delle masse e di trasformazione sociale, considerando il momento elettorale come importante ma non decisivo nella prospettiva della rivoluzione sociale. Al di fuori di questo contesto, i partiti di massa assunsero invece prevalentemente, dapprima in America e poi in Europa, i caratteri di partiti elettorali di massa, di partiti cioè proiettati in primo luogo alla mobilitazione delle masse in vista delle elezioni.
Nel corso del Novecento i partiti hanno continuato a svilupparsi secondo una grande varietà di modalità, incarnate tra gli altri dal partito leninista dei rivoluzionari di professione, dai partiti nazionalisti e dai partiti totalitari.
Negli ultimi decenni del Novecento, nei paesi democratici i partiti organizzativi di massa sono andati progressivamente trasformandosi in partiti elettorali di massa, e quindi in ‘partiti pigliatutto’, cioè sempre meno legati a visioni del mondo o a gruppi sociali definiti e sempre più orientati al successo nel ‘mercato elettorale’.
Poco per volta, tuttavia, anche questo modello è entrato in crisi. E ciò soprattutto nei paesi democratici più avanzati, dove le trasformazioni dei mezzi di comunicazione di massa e in particolare l’avvento della televisione stanno progressivamente svuotando i partiti stessi, a prescindere dalla loro forma, in quanto veicolo di costruzione del consenso e di mobilitazione e integrazione delle masse.
Accanto alla struttura interna dei partiti politici, sono decisive le modalità con cui i partiti interagiscono tra di loro nel sistema politico.
La scienza politica distingue in questo senso diversi sistemi di partito: i sistemi a partito unico, propri dei regimi totalitari, in cui non esiste pluralismo partitico; i sistemi a partito dominante, in cui pur nel quadro di libere elezioni è un unico partito a conquistare il consenso maggioritario del popolo e quindi il potere; i sistemi bipartitici, in cui sono due partiti dominanti a competere per il potere, come avviene per esempio in Gran Bretagna e negli Stati Uniti; e i sistemi multipartitici, in cui sono più partiti, talora assai distanti tra loro sul piano ideologico, a competere per il potere.