paese di cuccagna
Uno straordinario luogo alla rovescia
Creato in tempi antichi per assaporare almeno in sogno la delizia di vivere senza regole né fatiche né dolori, il paese di cuccagna ha messo radici nell’immaginario universale, seducendo grandi e piccoli con la sua idea di libertà e di abbondanza
Siamo molti secoli fa, in pieno alto Medioevo. Le condizioni di vita delle poche popolazioni che abitano le vaste regioni europee sono molto dure. Scarseggiano i beni alimentari, si abita in case fredde e umide, prive di servizi igienici, si è continuamente esposti alle malattie e alle razzie delle bande armate. Anche la semplice vita quotidiana è difficile. La gerarchia sociale è opprimente, la produzione, il commercio e il consumo delle merci devono obbedire a regole molto rigide. Le possibilità di movimento sono praticamente nulle.
In queste condizioni, nella mente delle categorie meno fortunate come gli zingari, i comici, i soldati di ventura, i servi o i contadini nasce, tra il sogno e il mito, l’idea di un paese in cui la realtà sia completamente rovesciata: il paese di cuccagna.
Il paese di cuccagna ha un motto che è, a dir poco, sbalorditivo. Il motto è: Nel paese di cuccagna chi più dorme più guadagna. Lì comanda la regina Poltroneria e chi si lava alla fonte della Giovinezza ringiovanisce fino all’età che desidera.
A partire dal Cinquecento, del paese di cuccagna sono state disegnate decine di carte geografiche e decine di componimenti in versi ne hanno celebrato le lodi. Sappiamo così che non vi possono entrare né medici né virtuosi, mentre chi ha lavorato viene subito messo in prigione. Esistono solo canti e balli e non si sente un pianto; anche il parto è giocondo per le donne, che infatti fanno nascere, ballando e suonando, bambini che sanno subito parlare, mangiare e camminare da soli.
Tutto il paese è ben più che il Paradiso terrestre. C’è una Montagna d’oro e d’argento che quanto più si scava tanto più cresce. I monti sono fatti di formaggio, nei fiumi scorrono vini preziosissimi, c’è un lago di latte e miele, e nelle campagne il pane nasce già bell’e cotto. Gli alberi danno salsicce o gioielli. Ogni giorno le mucche fanno vitelli e le galline non meno di trenta uova. Le tavole sono sempre apparecchiate e anche le tempeste sono alla rovescia: piovono confetti e canditi. Siamo insomma, come si vede, nel paese delle fantasticherie dello Zanni interpretato da Dario Fo.
Ma il bello del paese di cuccagna non sta tanto nell’abbondanza di beni materiali quanto nel fatto che lì non si fa nulla: si dorme saporitamente tutto il giorno e non c’è nessun tipo di padrone, né, di conseguenza, nessun tipo di ordine o di comando.
È evidente che l’idea di un paese come questo doveva durare per secoli. E così è stato infatti. In occasione di feste patronali o civili o nelle fiere, l’idea dell’assoluta libertà del paese di cuccagna veniva ricordata con l’albero della libertà, una lunga pertica addobbata con la bandiera nazionale, ancora oggi usata dagli Statunitensi.
L’idea dell’abbondanza la ritroviamo invece nell’albero della cuccagna presente nelle fiere di tutta Europa fino a pochi decenni fa. Al centro di una piazza veniva issata una pertica liscia cosparsa di sapone, in punta alla quale venivano appesi prosciutti, salami, formaggi e leccornie varie che andavano a chi riusciva ad arrampicarsi in cima.
Oggi non si disegnano più mappe del paese di cuccagna, non si fanno poemi, e a parte qualche raro albero della libertà anche l’albero della cuccagna è scomparso dalle fiere.
Resta però ancora vivo e vivace nel linguaggio comune e in quello giornalistico l’uso del nome di quel paese: non diciamo «da adesso tutta cuccagna!» l’ultimo giorno di scuola, o quando i genitori escono per impegni? E «è finita la cuccagna!» quando bisogna tornare al lavoro o finisce una situazione di dolce far niente?
Il fatto è che possiamo anche cambiargli il nome, ma all’idea del paese di cuccagna o di qualcosa che gli somigli molto, forse, non rinunceremo mai.