Organo
In biologia il termine organo (dal greco ὄργανον, "strumento") indica l'unità anatomica, fisiologica e funzionale costituita da diversi tipi di tessuti, associati per assolvere specifiche funzioni che interessano l'intero organismo. Ciascun organo ha forma e caratteristiche adatte a svolgere un particolare compito, lavorando in armonia con le strutture funzionalmente affini e con il resto del corpo. Organi diversi che collaborano a una determinata funzione fondamentale formano un sistema o un apparato. Con la locuzione organi artificiali vengono indicati tutti quei dispositivi atti a sostituire, completamente o in parte, un organo, quando il suo funzionamento risulta compromesso a causa di una patologia.
di Rosadele Cicchetti
La caratteristica degli animali pluricellulari è il differenziamento delle cellule e la loro divisione del lavoro, sicché le singole attività funzionali avvengono in parti differenziate dell'organismo, gli organi, costituiti da un complesso ben delimitato di tessuti che ha assunto una determinata morfologia. Il primo differenziamento cellulare è rappresentato dalla distinzione di uno strato esterno, che mette l'organismo in contatto con l'ambiente circostante e assume funzioni protettive e sensoriali, e uno strato interno, con funzioni digestive. Da questa condizione a due foglietti si passa a quella a tre con la comparsa di uno strato intermedio, che ha compiti di sostegno, di movimento, nonché di diffusione delle sostanze metaboliche. Con la formazione dei tre foglietti germinativi inizia la divisione dell'embrione: gli ammassi cellulari dei tre strati si divideranno poi in gruppi più piccoli di cellule, da ognuno dei quali avranno origine gli organi. Lo sviluppo di un organo inizia così con la separazione di un gruppo di cellule dalle altre e con la conseguente formazione di un primo abbozzo destinato ad accrescersi nel tempo, aumentando notevolmente di volume. La forma dell'organo dipende da diversi processi, che prevedono variazioni della velocità di divisione cellulare, della morfologia e dell'adesione delle cellule, comprendendo anche la morte programmata di alcune di esse (apoptosi). Durante l'organogenesi le cellule ricevono dall'ambiente circostante segnali chimici e fisici che le informano della loro posizione relativa nell'embrione e variano la loro architettura interna, permettendo loro di differenziarsi e specializzarsi.
Lo sviluppo delle strutture e degli organi non procede caoticamente, ma si compie con una logica rigorosa, in modo che ciascun foglietto, in rapporto alla posizione che occuperà alla fine della gastrulazione, vada a formare organi ben precisi. Già nella blastula, la sfera cava risultante dalla segmentazione dello zigote, formata da uno strato di cellule detto blastoderma, i foglietti germinativi occupano una posizione specifica, tanto che è possibile disegnare una mappa presuntiva dei futuri organi. Perché si possano formare gli organi, occorre quindi che le cellule si muovano per raggiungere la localizzazione definitiva dell'organo stesso. Esperimenti effettuati mediante espianto e trapianto di frammenti di blastula o gastrula precoce hanno dimostrato che le cellule hanno un ampio ventaglio di destini evolutivi, in relazione alla zona nella quale vengono trapiantate, ma che questa potenzialità risulta ridotta sin da epoche molto precoci, a partire già dallo stadio di gastrula avanzata. Quindi, mentre lo zigote risulta totipotente, cioè in grado di dare origine a tutti i tipi cellulari presenti nell'organismo adulto, in una fase precoce dello sviluppo le cellule perdono la loro totipotenza e il loro destino evolutivo risulta determinato. L'organogenesi, sia nei suoi primi stadi sia in quelli più avanzati, è sotto controllo genetico e appare influenzata da diversi geni.
Nell'uomo, l'organogenesi è completa alla fine del 1° trimestre di gravidanza, mentre i restanti mesi sono dedicati principalmente all'accrescimento e al perfezionamento della struttura. A 3 settimane inizia la formazione del tubo neurale, a 4 settimane è già evidente un cuore pompante, compaiono i primi segni di occhi e naso e gli abbozzi degli arti, e comincia la formazione di polmoni, fegato e di molti altri organi interni. Durante il 2° mese, il fegato assume il proprio compito temporaneo di principale organo ematopoietico, si formano gli organi di sostegno e di movimento e l'encefalo sviluppa gli emisferi cerebrali (v. Dal concepimento alla nascita). Nell'ambito di ciascun gruppo animale è possibile riconoscere una comune organizzazione di base del piano anatomico: in tutti i membri del gruppo possono infatti essere individuati gli stessi organi, mentre per gruppi diversi si può parlare di organi omologhi, derivanti, sia pur con modificazioni più o meno notevoli, dall'organo di un antenato comune. L'omologia fra gli organi implica quindi relazioni evolutive tra le specie che li possiedono: avviene così, per es., per gli arti dei Vertebrati terrestri, compresa l'ala degli Uccelli, nella quale è possibile riconoscere i tre segmenti tipici dei Vertebrati non volatori. Al contrario, sono definiti analoghi gli organi che, pur avendo struttura anatomica e derivazione embriologica differenti, compiono la stessa funzione, come, per es., i polmoni dei Mammiferi, le branchie dei Pesci e le trachee degli Insetti o le ali di Insetti e Uccelli, che non presentano somiglianze strutturali atte a indicare un antenato comune e che sono state acquisite indipendentemente. Sempre dal punto di vista evolutivo, si definisce organo rudimentale quello privo di funzione e strutturalmente ridotto, ma che è la testimonianza di un uso ancestrale, come avviene, per es., nel caso dello scheletro del bacino e degli arti posteriori della balena, ricordo di un progenitore comune con i Mammiferi terrestri.
di Serenella Salinari
1.
Il settore degli organi artificiali, cioè dei dispositivi che sostituiscono completamente o in parte funzioni di organi interni, ha conosciuto negli ultimi anni del 20° secolo un notevole sviluppo, con successi realizzativi anche maggiori rispetto a quelli che si sono avuti nel settore delle protesi, cioè dei dispositivi sostitutivi di arti od organi di senso. In linea generale, si può osservare che gli organi artificiali costituiscono una delle possibili opzioni, insieme ai trapianti, nella sostituzione di un organo. Nonostante i notevoli progressi che si sono realizzati negli ultimi anni relativamente ai problemi di tipo immunitario, connessi con la pratica dei trapianti, una notevole strozzatura nell'applicazione estensiva di tale tecnica è rappresentata dal reperimento di un numero adeguato di organi e dalla loro conservazione e gestione. L'organo artificiale può costituire quindi una valida alternativa, non solo quando le funzioni dell'organo naturale siano solo in parte compromesse, ma anche nei lunghi periodi di attesa del trapianto. Tuttavia permangono alcuni problemi importanti relativamente all'utilizzazione di organi artificiali, i più rilevanti dei quali consistono nella biocompatibilità dei materiali e nel reperimento di un'adeguata sorgente energetica, quando necessario. Sebbene in linea teorica ogni organo interno possa essere sostituito, le applicazioni di più consolidata utilizzazione clinica sono il rene artificiale, o apparecchiature per dialisi, il polmone artificiale e, in particolare, gli ossigenatori, il pancreas artificiale, e il cuore artificiale e gli ausili al circolo.
2.
Con le apparecchiature per dialisi, note anche con il nome di rene artificiale, si cerca di sopperire al malfunzionamento dei reni relativamente alla loro funzione di controllo sull'equilibrio idrico e salino e sull'eliminazione di molte sostanze tossiche e di rifiuto. I dializzatori consistono generalmente in membrane passive con aree di scambio di qualche metro quadrato, comparabili quindi a quelle dei glomeruli umani. Tuttavia, nelle varie parti del nefrone, unità funzionale del rene, i passaggi delle diverse sostanze nelle due direzioni avvengono secondo un meccanismo che risulta difficilmente assimilabile a quello di una membrana passiva. Inoltre, una funzione peculiare del rene naturale, quale quella della secrezione di ormoni regolatori della pressione arteriosa, non può essere, almeno allo stato attuale, duplicata. Da tutto ciò consegue che non sempre è possibile ripristinare completamente il funzionamento del rene naturale e reintegrarne tutte le funzioni relative allo scambio di materiali. Il trattamento con dializzatori interessa molte patologie renali, sia croniche sia acute, come per es. alcune forme di avvelenamento; è tuttavia al caso di patologie croniche, in cui tali apparecchiature costituiscono l'unico mezzo di sopravvivenza del paziente in attesa di trapianto, che si rivolgono principalmente gli studi e la ricerca per un miglioramento del dispositivo. Lo schema di principio di un dializzatore prevede sostanzialmente due compartimenti: uno in cui circola il sangue del paziente e l'altro in cui scorre il fluido dializzante. Questi due compartimenti sono in comunicazione tramite una membrana porosa, attraverso la quale possono avvenire scambi di particelle di dimensioni opportune.
I più comuni tipi di dializzatore sono: quelli a spirale, costituiti da un tubo con parete semipermeabile, arrotolato secondo una spirale in modo tale che il fluido dializzante possa scorrere fra le singole spire; quelli a piatti paralleli, consistenti in piatti di materiale poroso fra cui scorrono alternativamente il sangue e il dializzante; quelli a fibre cave, formati da un numero elevato di tubicini sottili (10.000-15.000), di diametro approssimativamente di 0,2 mm e lunghi circa 150 mm, posti in parallelo, entro i quali viene fatto scorrere il sangue mentre il dializzante scorre all'esterno. Le pareti delle fibre svolgono la funzione di membrana semipermeabile. La sostanza dializzante è acqua opportunamente trattata, le sostanze più nocive che si formano nel sangue e che devono essere eliminate sono l'urea, la creatinina e l'acido urico, con pesi molecolari compresi fra 60 e 170 circa. Le dimensioni delle particelle di sostanza che devono attraversare la membrana sono proporzionali ai loro pesi molecolari; di conseguenza, la permeabilità della membrana alle varie sostanze dipende dal rispettivo peso molecolare. In base a tali considerazioni, le membrane per dializzatori vengono attuate con pori di circa 50 Å, anche se pori di tale entità permettono il passaggio di molte sostanze utili, quali calcio, potassio, sodio ecc., per cui è necessario, al fine di evitare un eccessivo impoverimento di questi elementi, immettere queste stesse sostanze nel fluido dializzante in concentrazioni simili a quelle normalmente presenti nel sangue.
Opportuni accorgimenti devono poi essere osservati quando ci si trovi in presenza di patologie che determinino un eccesso di acqua nell'organismo. Infatti, essendo la concentrazione di acqua nel sangue più bassa che nel dializzatore, questa tende a passare dalla soluzione al sangue stesso. È quindi necessario ricorrere a un meccanismo di ultrafiltrazione, in cui una parte di acqua con le sostanze disciolte è forzata attraverso la membrana per mantenere il sangue a una pressione più alta del fluido dializzante. Abbastanza delicata risulta anche la realizzazione della connessione fra l'apparecchiatura e il circuito sanguigno del paziente. Durante il funzionamento del dializzatore è inoltre indispensabile un monitoraggio continuo del paziente (misure usuali sono quelle relative alla pressione sanguigna e alla quantità di sangue eventualmente presente nel dializzatore) e delle caratteristiche del fluido dializzante, quali pressione, portata, temperatura e concentrazione, al fine di controllare che la dialisi avvenga in conformità dei criteri prestabiliti. L'acqua utilizzata deve essere opportunamente depurata e i sali presenti devono essere puri e miscelati nelle quantità volute.
3.
Gli ossigenatori sono dispositivi atti a sostituire la funzione polmonare dal punto di vista dello scambio ossigeno/anidride carbonica. Le loro principali applicazioni cliniche riguardano l'uso durante interventi operatori che richiedano la circolazione extracorporea, o nel caso di menomazioni transitorie delle funzioni polmonari. In questa evenienza diventano rilevanti, nella scelta del dispositivo, i problemi relativi all'emolisi del sangue. Va inoltre sottolineato che un sistema completo di ossigenazione richiede l'utilizzazione di una pompa, per assicurare la circolazione sanguigna, e di uno scambiatore di calore, per ottenere valori desiderati di temperatura del sangue. I più comuni ossigenatori sono di tre tipi: a bolle (o a gorgogliamento), a film e a membrana. In quelli a bolle l'ossigenazione viene ottenuta facendo gorgogliare dell'ossigeno in un recipiente in cui viene fatto passare il sangue. Tali dispositivi determinano però un'elevata emolisi e vengono quindi adottati solo nei casi in cui sono previsti tempi di utilizzazione molto limitati. Gli ossigenatori a film consistono invece in una superficie su cui scorre un sottile strato di sangue che viene lambito da una corrente di ossigeno. Nonostante in questo caso l'emolisi sia decisamente minore rispetto agli ossigenatori a bolle, pur essendo ancora mantenuto il contatto diretto fra sangue e ossigeno, che garantisce uno scambio gassoso più efficiente, questi dispositivi sono, allo stato attuale, pressoché abbandonati a causa di varie difficoltà pratiche, quali quelle inerenti alla loro sterilizzazione. I più utilizzati risultano quindi essere gli ossigenatori a membrana, realizzati secondo vari schemi. In questi il fluido purificante è una corrente di ossigeno che entra in contatto con il sangue attraverso una membrana. Gli ossigenatori di questo tipo permettono la sopravvivenza del paziente anche per alcune settimane e sono quindi oggetto di numerosi studi tesi a migliorarne le caratteristiche e le prestazioni.
4.
Sotto il nome di pancreas artificiale è compreso un certo numero di apparecchiature, alcune delle quali ancora in fase di sperimentazione, altre già in uso, che sostituiscono la funzione del pancreas dal punto di vista della produzione di insulina. Fra queste si possono distinguere: gli infusori di insulina intracorporei a funzionamento continuo e portata costante e quelli a funzionamento programmato, il pancreas artificiale extracorporeo e il pancreas artificiale intracorporeo. Gli infusori di insulina intracorporei a funzionamento continuo consistono in un serbatoio contenente insulina in quantità tale da soddisfare il fabbisogno per circa un mese, e in una micropompa per il rilascio dell'insulina nei vasi peritoneali. Questi dispositivi, da tempo utilizzati in alcune cliniche, si avvicinano, dal punto di vista del rilascio di insulina, che è continuo, al funzionamento naturale, tuttavia si comportano sostanzialmente come dispositivi ad anello aperto, cioè senza che su tale rilascio vi sia un controllo dipendente dal livello di glucosio nel sangue. Tale inconveniente è stato in parte risolto negli infusori di insulina intracorporei a funzionamento programmato, in cui il versamento di insulina nei vasi peritoneali avviene secondo le presumibili esigenze del paziente nell'arco della giornata.
Un sistema più complesso è il pancreas artificiale extracorporeo, in cui viene realizzato un vero e proprio sistema di controllo a ciclo chiuso. Infatti, in questa apparecchiatura un sensore misura in modo continuo la glicemia e una micropompa inietta la quantità di insulina ritenuta, istante per istante, necessaria per il paziente. Tali sistemi, ancora piuttosto ingombranti, non vengono utilizzati per pazienti cronici, ma risultano di grande utilità per lo studio del metabolismo dei carboidrati nei diabetici e per l'assistenza di pazienti diabetici in attesa del trapianto del rene. Infatti, molto spesso una delle complicazioni del diabete è una grave disfunzione renale. Questi dispositivi costituiscono la base per il pancreas artificiale intracorporeo, un'apparecchiatura, di cui attualmente sono stati realizzati solo alcuni prototipi, del tutto analoga alla precedente, tranne che per l'uso di componenti miniaturizzati. In tale ambito rimangono tuttavia ancora aperti i problemi relativi alla determinazione della zona migliore in cui allocare l'infusore e del criterio migliore per la somministrazione di insulina. Inoltre, un punto ancora critico, connesso alla realizzazione di un dispositivo veramente impiantabile, è costituito dalla disponibilità di un adeguato sensore della glicemia.
5.
Rientrano nell'ambito qui preso in esame, oltre alle effettive protesi cardiache, anche tutti quei dispositivi che vengono utilizzati in casi di malfunzionamento di parti del sistema cardiovascolare, quali valvole cardiache, pompe cardiache, ausili per il cuore e, infine, il cuore artificiale totale. Le valvole cardiache sono, fra i dispositivi di ausilio al circolo, quelli di uso più comune: soltanto in Italia, infatti, se ne impiantano alcune migliaia ogni anno. All'inizio del loro impiego i principali problemi derivavano dalla biocompatibilità dei materiali utilizzati e dall'ottenimento di buone caratteristiche fluidodinamiche durante il funzionamento. Allo stato attuale, tali problemi sono stati quasi completamente risolti, anche se, negli ultimi anni, valvole biologiche prelevate da animali sono divenute competitive con le valvole artificiali. Le pompe cardiache vengono generalmente utilizzate nel corso di interventi che implicano la circolazione extracorporea o in connessione con altri organi artificiali, come dializzatori od ossigenatori. Il tipo più comune di pompa, la pompa roller, è costituito da un elemento rotante che comprime il tubo in cui scorre il sangue, realizzando in tal modo un flusso pressoché costante nel tempo. Poiché il flusso fisiologico è però nella realtà di natura pulsante, questa discrepanza può provocare una serie di inconvenienti, legati principalmente al verificarsi di una circolazione fortemente disomogenea nei capillari: ciò può provocare anche delle ischemie localizzate. Tuttavia, tali effetti sono facilmente recuperabili e possono essere ridotti in pochi giorni grazie a opportuni farmaci. Questo fa sì che la pompa roller, che risulta molto semplice e affidabile, sia tuttora utilizzata estesamente.
Negli ultimi anni del 20° secolo, accanto alla ricerca relativa alla realizzazione di un cuore artificiale totalmente impiantabile, una via di sperimentazione molto seguita è stata quella relativa alla realizzazione di dispositivi di assistenza, i ventricoli artificiali, che trovano impiego in patologie che investono un numero molto elevato di pazienti (per es. l'infarto miocardico). La teoria alla base dell'utilizzazione di tali dispositivi è che essi permettono, nell'ambito di un'applicazione di alcuni giorni, un recupero del miocardio dal punto di vista della ricostituzione delle riserve energetiche perdute durante l'ischemia. Le apparecchiature possono essere classificate dal punto di vista del loro intervento nella circolazione sanguigna come apparecchiature in parallelo, in serie e in contropulsione rispetto al cuore. I dispositivi in parallelo realizzano sostanzialmente un bypass parziale o totale del ventricolo sinistro, prelevando il sangue a livello atriale e reimmettendolo poi direttamente in un'arteria. I dispositivi in serie (palloncino intraortico) realizzano una pompa posta in serie al cuore: durante la fase di sistole il palloncino è vuoto e pertanto non aumenta apprezzabilmente il carico idraulico alla contrazione del ventricolo, durante la diastole, riempiendosi di gas, facilita il pompaggio del sangue in arteria. Nel funzionamento contropulsante, la pompa extracorporea aspira il sangue durante la sistole, aiutando il ventricolo nella sua fase di pompaggio, mentre, durante la diastole, restituisce il sangue accumulato, spingendolo in arteria. In tutti i casi, il problema comune consiste nella sincronizzazione con il ciclo naturale imposto dal cuore, ancora parzialmente funzionante.
I primi esperimenti relativi alla realizzazione di un cuore artificiale totale datano alla fine degli anni Sessanta del 20° secolo e i primi impianti su pazienti risalgono ai primi anni Ottanta (a opera di R.K. Jarvik, D. Cooley, M.E. De Bakey). In particolare, il cuore artificiale Jarvik-7 (v. bioingegneria; cardiochirurgia), impiantato su paziente per la prima volta nel 1982, consisteva in due ventricoli in poliuretano ed era azionato in modo pneumatico. Non si richiedeva ossigenazione in quanto i polmoni del paziente non venivano bypassati. Il primo paziente sopravvisse 112 giorni e morì in conseguenza di numerose complicazioni dovute all'impianto, e la stessa sorte subirono pazienti cui fu successivamente impiantato lo stesso dispositivo. Ciò portò a dedurre che la tecnologia dell'epoca non era sufficientemente evoluta per consentire la realizzazione di un dispositivo affidabile e che potesse essere applicato per lunghi periodi. Per tali motivi il cuore artificiale è stato fino a tempi recenti prevalentemente utilizzato quale mezzo di mantenimento in vita di pazienti in attesa di subire un intervento chirurgico e, quindi, sostanzialmente in ambito ospedaliero. Protesi cardiache totalmente impiantabili ad azionamento elettrico (cuore artificiale di seconda generazione) sono attualmente in fase di studio e sperimentazione in ambito clinico e in laboratori di ricerca. A titolo di esemplificazione, il cuore artificiale totalmente impiantabile sviluppato a Houston (Texas) presso il Dipartimento di chirurgia dall'équipe di De Bakey, nel 1992, aveva forma, dimensioni (diametro 97 mm, spessore 82 mm, volume totale di 510 cm3) e peso (620 g) tali da consentire un buon adattamento anatomico. Il sistema di controllo, anche esso impiantabile, era realizzato utilizzando la tecnologia VLSI (Very large scale integration). L'energia veniva fornita per via transcutanea, attraverso due bobine, da batterie portatili che avevano un'autonomia di 7-8 ore e che potevano essere ricaricate. Una batteria interna permetteva un'autonomia di 30-40 min e poteva rimpiazzare la sorgente di energia esterna nel caso questa dovesse essere rimossa. Allo stato attuale i problemi più importanti, legati all'impianto della sorgente di energia e alla realizzazione di un sistema di controllo che regoli il flusso energetico secondo i bisogni del paziente, possono essere considerati parzialmente risolti. Tuttavia la diffusione di tali dispositivi è legata principalmente a scelte e soluzioni di carattere economico e politico, rispetto alle quali è difficile fare delle previsioni.
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