Protesi
Con protesi viene generalmente intesa la sostituzione con strutture artificiali di una parte dell'organismo che risulti mancante, fisicamente o funzionalmente, a causa di traumi o patologie. Nella sua accezione più comune il termine è principalmente utilizzato nel caso di sostituzione di arti, ma può correttamente indicare anche quella di organi di senso e denti. In un contesto molto più esteso, possono essere compresi nella dizione anche i dispositivi relativi alla sostituzione di organi interni e le apparecchiature che più propriamente andrebbero classificate come ortosi o ausili oppure come strumentazione terapeutica (v. anche organo: Organi artificiali).
Il settore relativo alle protesi per motulesi è un'area di interesse fra le più antiche dell'ingegneria biomedica: i primi tentativi di sostituzione degli arti superiori con protesi metalliche risalgono addirittura al 16° e 17° secolo. I risultati raggiunti sono stati molto diversi per i differenti tipi di menomazione e hanno portato alla realizzazione di dispositivi con vari gradi di applicabilità e diffusione. Una prima classificazione distingue le protesi di articolazione e le protesi di arti e fra queste ultime le attive e le passive, a seconda che incorporino o meno una sorgente di energia. Fra le protesi di articolazione, la più diffusa è quella relativa all'articolazione del femore, anche se, allo stato attuale, esistono protesi per quasi tutte le articolazioni di una certa rilevanza dal punto di vista funzionale. Nello standard maggiormente in uso, questo tipo di protesi è costituito da una superficie di articolazione, generalmente metallica (acciaio inossidabile, leghe cromo-cobalto e leghe di titanio) in contatto con una superficie polimerica composta, nella gran parte dei casi, da polietilene ad alto peso molecolare. Entrambi i componenti vengono cementati con cementi acrilici che riempiono tutto lo spazio fra la protesi e l'osso adiacente, in modo da realizzare la distribuzione del carico su una superficie più vasta.
È necessario rilevare che le varie articolazioni, pur comprendendo in generale due superfici opposte, cartilaginee, lisce e lubrificate dal liquido sinoviale, spesso differiscono in modo significativo dal punto di vista biomeccanico: ciò comporta, ovviamente, anche notevoli differenze nella realizzazione meccanica della protesi. Esiste inoltre un disadattamento fra le proprietà fisiche dei vari componenti: infatti il metallo ha proprietà elastiche di gran lunga superiori a quelle dell'osso, mentre i materiali polimerici presentano caratteristiche elastiche inferiori. Infine, nonostante i notevoli progressi verificatisi negli ultimi anni nel settore delle protesi di articolazione, che riescono sempre meglio a sostituire la funzionalità perduta, rimangono ancora aperti importanti problemi di progettazione meccanica, connessi alla determinazione delle forze agenti sull'articolazione durante il movimento, di biocompatibilità dei materiali utilizzati, di miglioramento della giunzione osso-protesi in modo da minimizzare i relativi micromovimenti, e anche problemi operatori e postoperatori. Tutto ciò fa sì che la durata media di una protesi di articolazione non superi in generale i 15 anni, durata ancora insufficiente nel caso di soggetti giovani.
Accanto alle tradizionali protesi meccaniche di arti, di grande interesse è stato lo sviluppo di protesi attive, fra le quali si possono distinguere quelle a controllo mioelettrico, a controllo nervoso e a controllo indiretto. Le protesi attive a controllo mioelettrico si basano sull'utilizzazione della contrazione di muscoli residui e sul rilievo e l'elaborazione del segnale mioelettrico generato da tale contrazione, per comandare il funzionamento di un opportuno attuatore inserito nella protesi stessa. Nonostante i problemi di tipo tecnico associati a tale tipo di protesi siano stati da tempo brillantemente risolti, almeno relativamente agli arti superiori in cui l'energia richiesta per il movimento è ridotta, la loro diffusione e utilizzazione è ancora abbastanza limitata, probabilmente a causa di fattori sia psicologici sia di disagio per il paziente nell'adoperare muscoli preposti fisiologicamente a scopi diversi da quelli richiesti dal movimento dell'arto artificiale. Inoltre, quando venga aumentato il numero dei gradi di libertà (si ricordi che la mano ha ben 27 gradi di libertà) il soggetto deve eseguire sequenze di contrazioni di muscoli ancora più onerose dal punto di vista dell'impegno fisico e dell'addestramento richiesto. Le protesi attive a controllo nervoso cercano di sfruttare direttamente l'attività delle fibre nervose per comandare i motori inseriti nella protesi; tali dispositivi sono prevalentemente a livello di ricerca e solo alcuni prototipi sono attualmente in fase di sperimentazione, in quanto non si dispone ancora di soluzioni completamente convincenti a due difficili problemi, ossia l'interfacciamento fra sistema biologico e sistema artificiale e il mantenimento dell'integrità del nervo, una volta che esso sia privato del suo naturale attuatore costituito dal muscolo. Le protesi attive a controllo indiretto comprendono dispositivi nei quali l'interazione fra paziente e apparecchiatura, che deve svolgere compiti complessi, come per es. il mantenimento dell'equilibrio, avviene tramite l'utilizzazione di un calcolatore, servendosi anche di tecnologie e approcci tipici della robotica.
Le relazioni fra la robotica e la realizzazione di protesi e ortosi sono sempre state molto strette e fino dagli anni Sessanta del 20° secolo, gambe, mani e braccia artificiali furono studiate sia come protesi per amputati, sia come possibili componenti per robot avanzati. Lo sviluppo più interessante è rappresentato dall'impiego di dispositivi robotici nell'ambito della riabilitazione, principalmente per il ripristino della funzione locomotoria. Per es. l'ortosi attiva ideata dall'INSERM (Institut national de la santé et de la recherche médicale) di Montpellier (Francia) e usata per la ricerca clinica e la rieducazione, e il successivo progetto CALIES (Computer aided location by implanted electro-stimulation) prevedono l'utilizzazione di elettrodi di stimolazione impiantati nei muscoli, o anche nei nervi, degli arti inferiori. Sequenze di stimolazione, preprogrammate tramite un piccolo calcolatore esterno portatile, dovrebbero permettere una deambulazione simile a quella naturale.
Altro settore importante di applicazione delle tecniche della robotica è quello relativo alla progettazione di ausili intelligenti per i disabili, ambito nel quale possono essere considerati tre principali tipi di dispositivi. Il primo è sostanzialmente un manipolatore, comprendente una workstation da tavolo, il cui principale impiego si ha nell'assistenza ai lavoratori disabili, in modo che essi possano seguitare a svolgere i compiti previsti nel loro posto di lavoro. Il secondo è costituito da carrozzelle dotate di un braccio robotico. Il successo di un ausilio di questo tipo è strettamente legato alla capacità del disabile di condurre la carrozzella nella zona in cui deve essere eseguito il compito e alla possibilità di utilizzazione al di fuori di una zona strettamente prestabilita: i principali problemi derivano infatti dalla necessità di adeguare l'ambiente alle caratteristiche (per es. altezza di lavoro) del robot. Ulteriori problemi tecnici riguardano l'accuratezza che si può ottenere nelle operazioni di presa, essendo il braccio fissato a una struttura non perfettamente rigida, nonché la possibilità di dotare la carrozzella di un sistema di controllo di facile utilizzo da parte del disabile e, quindi, necessariamente complesso. Una terza soluzione, utile nel caso di disabilità più gravi, può consistere in un veicolo mobile dotato di un manipolatore e sensori aggiuntivi tali da consentire un funzionamento autonomo o semiautonomo. In generale un sistema di tale tipo dovrebbe essere dotato di un sottosistema dedicato alla visione, un manipolatore fine, un sistema di movimento, sensori per l'acquisizione dei dati dall'ambiente nonché di un sistema di controllo, ma il costo e i problemi di utilizzazione di apparecchiature così sofisticate non sono stati ancora risolti, anche se vari prototipi di robot autonomi o teleguidati per l'assistenza di disabili, finalizzati allo svolgimento di particolari attività, sono in fase di studio. Lo sviluppo di dispositivi del tipo descritto è anche legato a quello di sistemi di trasporto che permettano di raggiungere un grado elevato di mobilità personale, quali le cosiddette carrozzelle intelligenti, cioè mezzi autonomi capaci di trasportare una persona da un luogo a un altro, che richiedano una piccola o nessuna assistenza esterna e siano capaci di affrontare superfici non preparate o eventuali ostacoli.
Le protesi sensoriali più diffuse riguardano principalmente dispositivi per non udenti e non vedenti, anche se non mancano ricerche e applicazioni significative nell'ambito della riproduzione artificiale di altri organi di senso, quali per es. il tatto, l'odorato ecc. Relativamente ai due settori indicati, tali protesi possono essere classificate come totali o parziali a seconda che debba essere sostituito l'intero sistema sensoriale o soltanto una sua parte, o ancora in protesi naturali e sostitutive, a seconda che lo stimolo sia dello stesso tipo dello stimolo sensoriale danneggiato, o venga sostituito con uno stimolo sensoriale diverso: un esempio tipico è la lettura Braille in cui lo stimolo visivo è sostituito da uno tattile. A loro volta, le protesi naturali possono distinguersi in esterne, in cui l'organo di ingresso è ancora quello naturale, e interne, in cui i segnali agiscono direttamente sul sistema nervoso a livello corticale o periferico.
a) Protesi e ausili per non vedenti.
Comprendono un numero molto vasto di apparecchiature che vanno dai semplici occhiali ai sistemi per la lettura a forte ingrandimento, per soggetti ipovedenti, per giungere alle realizzazioni rivolte a persone del tutto prive della vista. In quest'ultimo caso, è opportuno distinguere fra protesi per la microvisione e protesi per la macrovisione. Le prime riguardano principalmente la lettura di testi stampati, le seconde servono sostanzialmente ad aiutare il non vedente nell'interazione con il mondo circostante, permettendogli il riconoscimento di alcuni oggetti o di eventuali ostacoli. Il più noto tipo di dispositivo per la microvisione è costituito dall'Optacon, realizzato nel 1970 da J. Linvill dell'università di Stanford per la propria figlia; tale protesi è costituita sostanzialmente da una testina di lettura, in cui si trova una matrice di fotodiodi, e da un pannello di punti rilevati, ognuno dei quali collegato con un fotodiodo, su cui poggia la mano del non vedente: in tal modo viene presentato in rilievo il carattere effettivo e non una sua codifica, come avviene per il metodo Braille. Il vantaggio è quello di svincolare la lettura dalla necessità di disporre di un testo stampato in Braille, tuttavia le velocità di lettura ottenibili sono di circa il 50% inferiori a quelle relative al metodo Braille. L'Optacon, inoltre, richiede una serie di apparecchiature ausiliarie da utilizzare durante l'apprendimento, come per es. un visore che riproduca lo stato di eccitazione di ogni fotodiodo.
I progressi della tecnologia della miniaturizzazione hanno permesso, negli ultimi anni, di realizzare dispositivi molto più efficienti con uscita Braille o acustica; sono costituiti da: uno scanner per la scansione del testo; un calcolatore che opera il riconoscimento dei caratteri letti, la loro memorizzazione e il riconoscimento di sillabe o fonemi nei caratteri memorizzati; un trasduttore per la conversione in Braille oppure in uscita sonora. Benché già in commercio, queste apparecchiature presentano ancora alcuni problemi relativamente al costo, che si mantiene elevato, e all'ingombro, che non permette di avere, allo stato attuale, dispositivi veramente portatili: ciò ha fatto sì che la loro diffusione risulti ancora abbastanza limitata.
Per quanto riguarda le protesi sostitutive per la macrovisione, anche in questo caso viene normalmente utilizzato il senso del tatto o dell'udito. Per il riconoscimento degli ostacoli i tipi più interessanti di protesi risultano essere il bastone a raggi eco e la torcia a ultrasuoni. Nel primo caso un bastone simile a quello di normale utilizzo per i non vedenti è dotato di alcuni generatori a raggi laser o a onde ultrasonore; gli echi dovuti alla presenza di eventuali ostacoli, captati da opportuni ricevitori, vengono trasdotti in segnali tattili o sonori. Tale dispositivo non ha però avuto grande successo principalmente a causa del suo peso, del numero sovrabbondante di informazioni tattili o sonore restituite e dell'incapacità di fornire al disabile una mappa mentale del mondo circostante. Questi inconvenienti sono stati in gran parte risolti nella torcia a ultrasuoni, in tutto simile a una normale torcia elettrica tranne che per l'emissione di ultrasuoni invece di raggi luminosi. Anche questa apparecchiatura, nonostante appaia di più facile utilizzo della precedente, non ha avuto il successo previsto. Ciò ha posto in evidenza la necessità che, nell'affrontare il progetto di ausili del tipo in esame, si indaghi in maniera più approfondita sulle modalità, probabilmente significativamente diverse, con cui normali e non vedenti prendono coscienza del mondo che li circonda. Per quanto riguarda le protesi naturali interne, queste sono ancora prevalentemente a uno stadio di ricerca. Si conoscono tuttavia alcune applicazioni interessanti relative alla realizzazione di retine artificiali costituite da fotodiodi e da microprocessori che eseguono alcune delle operazioni effettuate dalla retina. In prospettiva, una protesi naturale interna dovrebbe comprendere: una telecamera inserita al posto dei bulbi oculari orientata dagli stessi nervi motori; conduttori sottocutanei che colleghino tale telecamera all'area visiva; una matrice di microelettrodi che stimolino opportunamente tale area.
b) Protesi e ausili per non udenti.
In relazione a tale genere di dispositivi è opportuno distinguere fra protesi volte al miglioramento della percezione e del riconoscimento dei messaggi acustici e protesi volte al miglioramento della fonazione. Fra le prime, le più comuni risultano essere le protesi naturali esterne che nei tipi più semplici consistono sostanzialmente in un amplificatore il cui guadagno è variabile in funzione della frequenza e riproduce sostanzialmente l'audiogramma ribaltato del soggetto disabile. Protesi più sofisticate variano l'amplificazione a seconda dei residui uditivi del soggetto, del rumore presente nell'ambiente circostante, della soglia del dolore e del livello del segnale in ingresso. In alcuni casi è prevista un'elaborazione del segnale basata sull'osservazione per cui spesso la banda nella quale un sordo profondo ha un qualche residuo è molto ristretta rispetto alla banda del parlato naturale. Si cerca quindi di portare l'informazione dalla banda di frequenze in cui il sordo non ha residui alla banda di frequenze utili; questa elaborazione è tuttavia ancora oggetto di ricerca e sperimentazione.
Accanto a tali tipi di protesi, sono inoltre da ricordare alcune protesi naturali interne, agenti direttamente sulla parte nervosa del sistema acustico. Fra queste si distinguono le protesi cocleari, in cui gli elettrodi sono impiantati sulla coclea e protesi con stimolazione corticale in cui gli elettrodi sono posti direttamente sulla corteccia cerebrale. Le prime sono costituite sostanzialmente da due sezioni: lo stimolatore impiantato, comprendente il circuito di stimolazione e l'insieme degli elettrodi, e un'unità esterna costituita da un microfono, un dispositivo di elaborazione del segnale all'uscita da questo e un dispositivo di controllo dello stimolo. Per l'applicazione di queste protesi è tuttavia necessario che le terminazioni del nervo acustico siano integre o comunque presenti; in tale evenienza è possibile ottenere un qualche riconoscimento verbale, per cui il loro uso si va diffondendo, nonostante un certo numero di problemi che risultano ancora aperti. Questi riguardano anzitutto, oltre alla scelta del soggetto adatto, la determinazione dell'elaborazione più opportuna e la selettività della stimolazione. Una maggiore diffusione è inoltre certamente connessa al miglioramento della tecnologia, soprattutto dal punto di vista della miniaturizzazione e anche al miglioramento delle tecniche chirurgiche. In una fase assai meno avanzata risultano le protesi con stimolazione corticale; infatti allo stato attuale non si ha ancora una conoscenza totale delle complesse elaborazioni che avvengono fra coclea e area corticale uditiva, di conseguenza i risultati ottenuti sono tuttora piuttosto scarsi dal punto di vista del riconoscimento verbale. Sono inoltre da ricordare le protesi sostitutive in cui lo stimolo acustico è sostituito da uno stimolo tattile o visivo.
Le protesi tattili, meno diffuse, utilizzano un display tramite il quale l'informazione acustica viene riportata in una sequenza di vibrazioni applicate ai polpastrelli delle dita del soggetto disabile. Ciò viene generalmente effettuato suddividendo la banda di frequenza del segnale acustico in un numero opportuno di sottobande e trasportando l'informazione contenuta in queste ultime nella banda del segnale tattile (protesi multicanale). Tuttavia le notevoli differenze fisiologiche dei due sistemi (frequenza massima del segnale tattile pari a 100-300 Hz e del segnale acustico pari a 16.000-20.000 Hz) costituiscono un limite notevole alla realizzazione di protesi efficienti basate su questo principio cosicché, negli ultimi tempi, ci si è indirizzati verso protesi sostitutive che integrano l'informazione tattile e l'informazione visiva. Quest'ultima può essere ottenuta tramite l'utilizzazione di un calcolatore che trasforma le lettere di un messaggio verbale in un segnale visivo o, più semplicemente, mediante l'utilizzazione di un videotelefono o di sistemi di telescrivente e display.
Le protesi sostitutive sono di particolare importanza quando il non udente non può vedere direttamente l'interlocutore, come avviene per es. durante una normale conversazione telefonica. Infine si può accennare alle protesi relative al recupero della fonazione da parte di un sordo profondo. Le più recenti tendono a utilizzare un calcolatore in modo da permettere al disabile un confronto fra caratteristiche del suono da lui emesso e caratteristiche significative del parlato naturale. Accanto a tali apparecchiature possono essere considerati anche tutti quei dispositivi progettati per consentire a pazienti con gravissime disabilità e, in particolare, non in grado di usare il sistema di fonazione, la comunicazione con il mondo esterno. Ciò può essere realizzato utilizzando un'opportuna tastiera, grazie alla quale i messaggi possono essere visualizzati sullo schermo di un calcolatore attraverso la semplice pressione di alcuni tasti. In casi estremi, il comando può anche venire espresso con il semplice movimento dei bulbi oculari.
In conclusione, va sottolineato che i risultati conseguibili con le varie protesi sono spesso profondamente diversi, anche considerando soggetti che non presentano sostanziali differenze dal punto di vista strettamente clinico. Ciò è dovuto in generale a fattori complessi, in larga parte anche di tipo psicologico, quali per es. la determinazione del paziente nel volere apprendere l'uso della protesi stessa. Di conseguenza risulta evidente la necessità di tenere sempre presenti in modo adeguato gli aspetti psicologici, anche durante la fase di progetto di nuovi dispositivi. Un approccio di questo tipo risulta di particolare importanza in quanto una validazione adeguata di nuovi dispositivi non è in generale fattibile in modo semplice, principalmente per la difficoltà di reperire una popolazione omogenea di soggetti su cui verificare la bontà dell'apparecchiatura realizzata e operare il confronto con protesi diverse da quella oggetto di validazione.
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