oralità Carattere di ciò che è detto, comunicato o trasmesso a voce.
Molte società cui l’antropologia ha rivolto la propria attenzione, pur non ignorando affatto forme grafiche di comunicazione, sono caratterizzate dalla trasmissione in forma orale della loro cultura. In tali società la trasmissione del sapere e lo stesso uso sociale quotidiano della parola assumono forme peculiari, lontane da quelle proprie di culture in cui hanno maggior rilievo forme di comunicazione scritta. In tutte le società dominate dall’o. esistono specialisti della parola (per es., gli sciamani di molte società indigene d’America, o, nelle società polinesiane e in alcune dell’Africa occidentale, coloro a cui è demandato il compito di comunicare), individui che conoscono le formule retoriche appropriate attraverso le quali narrare eventi o descrivere situazioni significative per il gruppo.
Per quanto la trasmissione del sapere tradizionale appaia legata a una meccanica ripetizione della conoscenza, tale sapere va tuttavia soggetto a una continua ridefinizione: diversamente da un sapere scritto, quello trasmesso oralmente è infatti un sapere manipolabile, fluido, legato, oltre che alle capacità individuali, alla concreta interazione sociale e alla sua intrinseca dinamicità. Nelle culture orali, d’altra parte, si pone particolare attenzione ai contesti sociali nei quali si svolge l’interazione linguistica e a una loro definizione. Esistono pertanto anche contesti più formali (riunioni politiche, sedute giuridiche, eventi rituali ecc.) in cui alla fluidità tipica dell’interazione linguistica viene imposta una cornice comunicativa costituita da formule retoriche che sembrano cristallizzare i contenuti trasmessi. Di particolare importanza, infine, l’attenzione con la quale alcuni popoli hanno elaborato riflessioni specifiche sulla parola e sull’o., inserendo questa dimensione dell’interazione sociale in un complesso sistema di credenze rituali e religiose; per es., i Dogon del Mali, per i quali la parola è una qualità, insieme spirituale e fisica, intimamente connessa con la natura psichica, emotiva e materiale di ogni persona.
L’o. rappresenta uno dei principi ai quali si ispira il processo civile contemporaneo. Il processo civile dichiarativo, volto all’accertamento giudiziale dei diritti soggettivi sostanziali bisognosi di tutela (Azione. Diritto processuale civile; Accertamento. Diritto processuale civile), si struttura come una complessa e articolata attività di cognizione che il magistrato svolge nel contraddittorio tra le parti, alle quali spetta il compito di proporre la domanda, sollevare le eccezioni, allegare i fatti storici rilevanti per la decisione, proporre le prove di cui intendono avvalersi per dimostrare la verità di tali fatti. A seconda delle forme giuridiche con le quali il materiale di causa ora indicato è dedotto all’interno del processo è possibile distinguere tra processo scritto e processo orale: nel primo la forma delle deduzioni è prevalentemente scritta; nel secondo, invece, la forma delle deduzioni è prevalentemente orale.
Fin dagli inizi del Novecento la scienza giuridica processual-civilistica italiana, e in particolare G. Chiovenda, ha evidenziato i pregi del processo orale rispetto a quello scritto. Nel processo civile ispirato all’o., infatti, si verrebbe a realizzare un immediato confronto tra le diverse tesi di volta in volta sostenute dalle parti in riferimento alle diverse questioni di fatto e di diritto che debbono essere risolte dal giudice per addivenire alla decisione finale, agevolando la pronta chiarificazione delle stesse. La struttura del processo orale agevola una più attiva partecipazione dell’organo giudicante nella fase della trattazione e dell’istruzione della causa, in quanto il giudice indirizza e collabora con le parti per una più rapida e sollecita risoluzione della controversia.
La contrapposizione tra processo scritto e processo orale non deve, peraltro, essere intesa in senso assoluto. Come rilevato dalla dottrina tradizionale, nessun processo è solo scritto o solo orale. Piuttosto occorre verificare quale delle due forme prevale rispetto all’altra e ancor più la funzione che viene assegnata alle due diverse forme all’interno del processo. Anche nel processo orale, infatti, la scrittura ha in primo luogo il compito di preparare la trattazione della causa, preannunciando le difese di cui le parti intendono avvalerdi. Espressione tipica di questa funzione sono gli atti introduttivi della controversia, ovvero l’atto con il quale l’attore propone la domanda (Citazione; Ricorso. Diritto processuale civile) e l’atto con il quale il convenuto si costituisce in giudizio apprestando le sue difese (Comparsa). In secondo luogo, la scrittura risponde a un’insopprimibile esigenza di documentazione. Il processo verbale rappresenta sotto questo profilo lo strumento tipico attraverso il quale le scritture assolvono al compito di dare certezza al processo garantendo la successiva ricognizione delle precedenti fasi del giudizio.
Pur nella compresenza di momenti scritti e momenti orali, peraltro, l’o. diviene effettivamente principio ispiratore nel processo allorquando si coniuga con altri due fondamentali principi: quello di immediatezza e quello di concentrazione. Il principio di immediatezza vuole che il giudice sia in rapporto diretto con le parti. Applicazione di tale principio è, per esempio, la regola secondo cui il giudice deliberante deve essere lo stesso che ha assistito alla discussione della causa. Il principio di concentrazione richiede, invece, che sia il più breve possibile l’arco temporale entro cui vengono svolte le diverse attività processuali necessarie per rendere la causa matura per la decisione. Come è ovvio, infatti, gli effetti benefici del principio di o. non possono prodursi se intercorre un lungo lasso di tempo tra le diverse udienze. Il trascorrere del tempo andrà inevitabilmente a scolorire i ricordi del giudice e delle parti e la loro attenzione sarà giocoforza riversata sulle scritture processuali.