La nullità costituisce il tipico regime di invalidità degli atti del processo civile. L’atto processuale, però, pur se affetto da un vizio di nullità, produce comunque i suoi effetti sino a quando il giudice non dichiari la nullità dell’atto stesso. La nullità processuale, quindi, sotto questo profilo, appare radicalmente diversa dalla nullità sostanziale (Nullità. Diritto civile).
Il giudice civile deve dichiarare la nullità quando l’atto manca dei requisiti formali richiesti dalla legge a pena di nullità, o quando un certo requisito formale mancante risulta indispensabile per il raggiungimento dello scopo dell'atto. Tuttavia, la nullità non può essere pronunciata se l’atto, pur mancante del requisito richiesto, ha in concreto raggiunto lo scopo a cui è destinato (art. 156 c.p.c.). Per regola generale spetta alla parte nel cui interesse la nullità è stabilita rilevarla nella prima istanza, o difesa, successiva all’atto o alla notizia di esso, sempre che non vi abbia dato causa o non vi abbia rinunciato anche tacitamente (nullità relative; art. 157 c.p.c.). Nei casi espressamente previsti dalla legge la nullità può essere rilevata anche d’ufficio (nullità assolute). Stando alla lettera della legge, danno luogo a nullità rilevabili d’ufficio i vizi relativi alla costituzione del giudice o all’intervento del pubblico ministero (art. 158 c.p.c.). Se la nullità colpisce solo una parte dell’atto, questa non si estende alle parti che ne siano indipendenti; inoltre, se il vizio impedisce un determinato effetto, l’atto può tuttavia produrre gli altri effetti a cui è idoneo.
Particolarmente rilevante è poi il principio secondo cui la nullità di un atto non si estende agli atti anteriori, ma si estende agli atti successivi e dipendenti, sicché la sentenza stessa, contenente la decisione finale, potrà essere dichiarata nulla in ragione della nullità degli atti anteriori da cui dipende (art. 159, 1° co., c.p.c.). La nulità della sentenza soggetta ad appello o a ricorso in cassazione può essere fatta valere soltanto nei limiti e secondo le regole di tali mezzi di impugnazione (cosiddetto principio di assorbimento o di conversione dei vizi di nullità in motivi di gravame; art. 161, 1° co., c.p.c.). Se ciò non avviene la nullità viene sanata. L’unica eccezione a questo principio si realizza quando la sentenza manchi della sottoscrizione del giudice, ovvero sia inesistente (art. 161, 2° co., c.p.c.).
Nell’ipotesi in cui il giudice dichiari la nullità, questi deve, per quanto possibile, disporre la rinnovazione dell’atto viziato e degli atti a cui la nullità si estende (art. 162 c.p.c.).