Nichilismo
Negazione totale dei valori
Nel linguaggio filosofico, con il termine nichilismo (dal latino nihil «nulla») si indicano tutte le dottrine che negano completamente i valori e i significati elaborati dai diversi sistemi religiosi, morali e filosofici.
Nel linguaggio corrente si parla di nichilismo per indicare, in modo polemico, gli atteggiamenti rinunciatari, distruttivi o autodistruttivi che derivano dal rifiuto dei valori e delle istituzioni esistenti
Entrato nel linguaggio filosofico alla fine del Settecento – quando Friedrich Heinrich Jacobi vide in esso il punto d’arrivo inevitabile delle filosofie idealistiche (idealismo), colpevoli di dissolvere nel nulla qualsiasi realtà esterna all’io – il nichilismo in seguito finì per indicare una totale caduta dei valori.
I primi a usarlo in un’accezione positiva, nel 19° secolo, furono Max Stirner e Friedrich W. Nietzsche. Stirner, considerato uno dei padri dell’anarchismo moderno, sosteneva che è necessario liberarsi da valori astratti e oppressivi come l’umanità o la storia e riconoscere nell’io concreto – e nel suo desiderio di affermazione – l’unico vero valore, che non si fonda su nient’altro (ovvero, che si fonda sul nulla).
Nietzsche diede al nichilismo un significato assai più complesso, individuando in esso la caratteristica essenziale della cultura occidentale, almeno a partire da Socrate. Incapaci di sopportare il carattere caotico e irrazionale del mondo i pensatori occidentali si sarebbero inventati, secondo Nietzsche, un altro mondo – falso e immaginario, ma consolante – dotato di stabilità, ordine e significato. Di qui sarebbero nate le dottrine metafisiche, religiose e scientifiche che si sono succedute nei secoli (dal platonismo al cristianesimo e al positivismo). Tali dottrine hanno però progressivamente rivelato il loro carattere illusorio e sono quindi crollate una dopo l’altra. Persino Dio – la più antica e la più grande delle menzogne inventate dagli uomini – è morto.
Nietzsche distingue un nichilismo passivo (avvertire la morte di Dio come perdita irreparabile) e un nichilismo attivo, attraverso il quale smascherare i falsi valori della cultura occidentale e creare le premesse per una nuova fase, nella quale all’uomo, incapace di sopportare la vita senza ricorrere a menzogne metafisiche o religiose, subentrerà il superuomo (Übermensch), ossia un essere umano capace di accettare la vita nella sua caoticità e di imporre a essa la propria volontà di potenza.
Intorno alla metà dell’Ottocento in Russia vennero intraprese alcune tardive riforme, come l’abolizione della servitù della gleba (1861) e l’apertura dell’università agli strati popolari. Ma il regime zarista ben presto si rinchiuse nel suo tradizionalismo immobilistico, provocando – soprattutto tra gli studenti e gli intellettuali – un atteggiamento di violenta contestazione dei valori e delle istituzioni esistenti e l’aspirazione a una radicale trasformazione della società. Più che una dottrina, il nichilismo russo fu quindi uno stato d’animo, un modo di vivere e di sentire che la letteratura – la corda più sensibile (e meno oppressa) della cultura russa – registrò immediatamente.
È infatti nel personaggio di Bazarov – uno dei protagonisti di Padri e figli, il romanzo che Ivan S. Turgenev pubblicò nel 1862 – che troviamo la migliore esemplificazione di un nichilista russo. Bazarov è un giovane ribelle, che detesta il regime dispotico dello zar e l’ideologia dominante (a sfondo religioso), ma che rifiuta anche le posizioni moderatamente progressiste e riformatrici dei liberali (cioè dei padri). Individualista e materialista, crede soltanto nella scienza sperimentale come strumento per liberare l’uomo ed esalta l’egoismo, il calcolo utilitaristico e il realismo. Detesta l’arte fine a sé stessa ed è convinto che un qualsiasi calzolaio valga più di un Raffaello, perché le scarpe – a differenza dei quadri – sono utili.
L’ateismo, il cinismo e un immoralismo più teorizzato che praticato furono le caratteristiche della gioventù nichilista russa, che ebbe il suo organo nella rivista Russkoe slovo («La parola russa») e che non tardò a tradurre il suo credo in un’azione politica rivoluzionaria ispirata all’anarchismo e al populismo. Sorsero così svariate organizzazioni segrete, che abbinavano alle attività sociali e di propaganda anche gli attentati terroristici. Dopo un tentativo fallito nel 1866, lo zar Alessandro II fu ucciso nel 1871 per opera dell’organizzazione Narodnaja volja («Volontà del popolo»).