Nibelunghi
L’epopea della tradizione germanica
I Nibelunghi sono una mitica stirpe di nani delle saghe nordiche, possessori di un grande tesoro; ma con questo nome si designa anche la famiglia reale del popolo storico dei Burgundi.
Queste antiche tradizioni hanno dato vita a un ciclo epico divenuto simbolo delle virtù germaniche. Dall’età medievale le gesta dell’eroe Sigfrido sono tornate a ispirare il teatro musicale dell’Ottocento in particolare con il grande autore Richard Wagner
L’eroe per eccellenza delle antiche popolazioni germaniche è l’invulnerabile Sigurdh, per noi Sigfrido. Di stirpe vichinga e di origine quasi divina, Sigfrido è il protagonista fatale della serie di scritti epici germanici che chiamiamo ciclo nibelungico, dal nome di una mitica stirpe demoniaca di nani abitatori del sottosuolo e padroni di un favoloso tesoro: i Nibelunghi.
Le origini e le imprese mitiche di Sigfrido si leggono nei Canti dell’Edda (canti dell’«ava»), scritti in un’antica lingua islandese-norvegese, il norreno, tra il 9° e il 12° secolo. Sappiamo così che Sigfrido cresce straordinariamente bello e forte sotto la guida di un fabbro nano, Regin. Spinto dal suo maestro, parte alla conquista del tesoro dei Nibelunghi, custodito dal terribile drago Fafnir. Sigfrido l’affronta, l’uccide e acquista l’invulnerabilità bagnandosi il corpo con il suo sangue, tranne che in un punto, tra le spalle, dove cade una foglia che impedisce al sangue di bagnare la pelle.
Gli uccelli, di cui Sigfrido capisce il linguaggio, gli parlano di una sacerdotessa, Brunilde, condannata da Odino – il dio più importante della mitologia nordica – a dormire su un monte circondato da alte fiamme. Sigfrido supera difficoltà e fiamme, libera la bella Brunilde, che si innamora di lui, e insieme giungono nel luogo in cui si compirà il suo drammatico destino: la corte della famiglia reale dei Burgundi, che però la leggenda chiama Nibelunghi.
I Burgundi erano una popolazione che verso il 200 d.C. migrò dalle terre vichinghe della Scandinavia in Germania centrale e poi, attorno al 400, nella Germania sudoccidentale. Nel tentativo di conquistare le province romane del Belgio, nel 437, il loro re Gunther fu sanguinosamente sconfitto dal generale Ezio. In quell’occasione il condottiero romano si servì di guerrieri mercenari Unni provenienti dall’Asia, così spietati che i Canti dell’Edda attribuiscono il massacro dei Burgundi proprio al loro re più famoso, Attila.
Dopo la disfatta, i pochi superstiti migrarono ancora più a sud e vissero per circa un secolo nei territori a nord delle Alpi e nella regione del Giura francese. Il loro fu un regno debole e instabile, sia per le continue guerre sia soprattutto per i frequenti tradimenti fratricidi tra i membri della famiglia reale. Vinti dai Franchi nel 534, di loro rimase molto poco, solo il nome di una regione, Burgundia, la Borgogna della Francia di oggi.
Il ricordo dell’eccidio dei Burgundi e delle loro cruente lotte familiari rimase però vivo nelle leggende germaniche e lentamente si fuse al grande mito di Sigfrido, fin quando – attorno al 1200, nel Sud della Germania – un autore di cui non conosciamo il nome racconta in versi la morte di Sigfrido in un’opera di grande rilievo storico, la famosa Canzone dei Nibelunghi.
Alla corte dei Burgundi – o dei Nibelunghi, come dice la leggenda – per effetto di un filtro magico Sigfrido dimentica Brunilde e si innamora di Gudrun, sorella del re Gunther. Ma il re è innamorato di Brunilde e così, in cambio della mano di Gudrun, Sigfrido inganna Brunilde per aiutare Gunther a sposarla. Questo è l’atto fatale. Brunilde scopre l’inganno e per vendetta svela il segreto dell’invulnerabilità di Sigfrido e lo fa uccidere a tradimento.
Vivissimo nel Medioevo, il ciclo nibelungico viene ripreso in molte forme nel 19° secolo, quando prende corpo la moderna cultura tedesca. Sui tanti lavori ispirati a Sigfrido in questo periodo svetta un capolavoro musicale, la tetralogia (cioè un ciclo di quattro opere) L’anello del Nibelungo (1848-76), del compositore tedesco Richard Wagner: opera fondamentale, oltre che bellissima, perché ci permette ancora oggi di scoprire le profonde radici della cultura germanica attraverso un linguaggio universale, quello della musica.