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Il Montenegro è un paese dei Balcani occidentali, indipendente dal 2006. A seguito della guerre in Iugoslavia e della secessione di diversi paesi dall’ex entità federata socialista, quest’ultima venne dissolta e ad essa subentrò la Repubblica Federale di Iugoslavia (1992-2003), le cui dimensioni al termine delle guerre d’indipendenza furono ridotte entro i territori su cui attualmente esercitano la loro sovranità la Serbia e il Montenegro. Malgrado la crescita delle istanze indipendentiste nella regione montenegrina durante tutti gli anni Novanta, nel 2003 quest’ultima accettò l’Accordo di Belgrado, sostenuto dall’Unione Europea (Eu), che garantiva al Montenegro un’autonomia ancora maggiore all’interno della federazione e inaugurava un’unione politica con la Serbia (Unione di Serbia e Montenegro). Questo stato di semi-indipendenza durò tuttavia per un breve periodo, poiché nel maggio 2006 un referendum tenutosi nella sola regione del Montenegro ne sancì la completa indipendenza dalla Serbia: la soglia necessaria del 55% dei voti favorevoli fu superata di misura. Il Montenegro divenne allora il secondo paese dell’area dei Balcani ad aver conquistato l’indipendenza in modo pacifico, dopo la Macedonia nel 1991.
L’indipendenza attribuì al Montenegro competenze autonome nel settore della difesa e della politica estera, ma già dal 1992 in avanti, all’interno della Repubblica Federale di Iugoslavia, il Montenegro aveva gradualmente acquisito competenze sempre più vaste, fino a poter disporre di una propria politica economica e, addirittura, di una moneta differente da quella utilizzata nella regione serba.
L’attuale sistema istituzionale del Montenegro – repubblica parlamentare a struttura monocamerale – ricalca quello della regione prima dell’indipendenza. L’Assemblea è costituita da 81 deputati eletti per un termine di quattro anni. Le ultime elezioni parlamentari del 2009 sono state vinte dalla Coalizione per un Montenegro europeo, capeggiata dal Partito democratico dei socialisti (Dps) di Milo Đukanović. Il Dps, attivo dal 1991, è il partito successore del Partito comunista iugoslavo nella regione montenegrina, e il suo leader è rimasto ai vertici delle strutture istituzionali della regione e del paese per quasi un ventennio: come primo ministro nei periodi 1991-98, 2002-06 e 2008-10; come presidente tra il 1998 e il 2002.
Nel dicembre 2010, Đukanović ha lasciato gli incarichi di governo, mantenendo tuttavia la carica di segretario del partito. Al suo posto è stato nominato primo ministro il trentaquattrenne Igor Lukšić, anch’egli del Dps.
Inizialmente Đukanović fu alleato del presidente serbo Slobodan Milošević, ma andò progressivamente smarcandosi dalle sue politiche repressive sino a trasformarsi, nella seconda metà degli anni Novanta, nel leader riconosciuto dell’indipendentismo montenegrino. Le opposizioni hanno, di converso, sempre favorito legami più stretti e amichevoli con la Serbia, e oggi sono a favore della riunificazione e contrarie all’ingresso del paese nella Nato, percepita come un nemico dai tempi del bombardamento del territorio della federazione nel 1999, durante la guerra del Kosovo. Il governo è invece un convinto fautore della causa europeista e di quella atlantista.
Nel dicembre 2009 al Montenegro è stato consentito l’accesso al Membership Action Plan dell’Alleanza atlantica, e si pensa che il paese potrebbe entrare a far parte della Nato entro il 2012. Per quanto riguarda l’Unione Europea (Eu), invece, a dicembre 2010 quest’ultima ha attribuito al Montenegro lo status formale di candidato all’adesione, sebbene sia improbabile che il paese riesca ad accedervi prima del 2015. In seguito all’indipendenza, infine, le relazioni con la Serbia sono nettamente peggiorate, principalmente a causa del riconoscimento montenegrino del Kosovo quale stato indipendente a fine 2008. Tuttavia Boris Tadić, l’attuale presidente serbo, ha visitato il Montenegro a novembre 2010 e, in un gesto distensivo, ha rimarcato il suo sostegno per l’ingresso del paese nell’Eu.
Il Montenegro non è un paese omogeneo dal punto di vista della composizione etnica: secondo l’ultimo censo, precedente all’indipendenza (2003), i Montenegrini erano il 43% della popolazione (dunque maggioranza solo relativa), i Serbi il 32%, i Bosniaci il 12% e gli Albanesi il 5%. Gli equilibri sono stati notevolmente modificati dal 1991, anno nel quale, secondo il censo, i Montenegrini erano il 62% degli abitanti, e i Serbi solo il 9%. Ciò non è dovuto a significativi movimenti migratori, ma in massima misura a una diversa percezione della propria identità da parte della popolazione residente, in questo caso notevolmente influenzata dalle dinamiche politiche. Né la lingua, né la religione montenegrine differiscono infatti da quelle serbe. In primo luogo, la lingua montenegrina (štokavo) è considerata dai linguisti una variante dialettale del serbo-croato: il serbo, il croato e il montenegrino sono tutti reciprocamente intelligibili. D’altra parte, sempre secondo il censo del 2003 i cristiano-ortodossi erano il 74% della popolazione, mentre i musulmani ne costituivano il 18% e i cattolici il 4%.
Merita infine menzione il caso di Sandžak, regione che si estende da entrambe le parti del confine serbo-montenegrino e nutre aspirazioni autonomiste. I suoi componenti sono in prevalenza Bosniaci (45%), ma nella metà montenegrina della regione la maggioranza relativa è tuttavia costituita da Serbi (34%), e in entrambi i casi i Montenegrini sono una minoranza (inferiore al 15%). Questo complicato gioco etnico a incastri complica i rapporti alla frontiera tra i due paesi, sebbene non sembri suscettibile di poterli compromettere.
Già all’epoca della Repubblica Federale di Iugoslavia il Montenegro aveva perseguito una politica economica e monetaria indipendente da quella serba, con l’adozione di una valuta differente: tra il 1992 e il 2002 la regione ha infatti utilizzato il marco tedesco, e dal 2002 ha adottato unilateralmente l’euro, moneta che ha a tutt’oggi corso legale nel paese.
Nell’ultimo decennio il pil del paese è cresciuto in maniera straordinaria e le stime del pil pro capite della popolazione dell’attuale Montenegro sono passate dai 1300 dollari del 2000 ai 4500 dollari del 2009. La rapida crescita economica e dei salari montenegrini ha persino dato adito a timori di eccessivo surriscaldamento dell’economia, prima che la recessione globale giungesse a colpire anche questo paese.
Il potenziale turistico del Montenegro, che dispone di una costa di quasi 300 chilometri sul Mare Adriatico, rimane molto elevato. L’ostacolo principale al pieno sviluppo di questo potenziale è costituito dalla latente instabilità regionale, che scoraggia l’afflusso di visitatori. Malgrado ciò, dall’indipendenza i flussi turistici hanno conosciuto una veloce impennata, tanto che nel 2008 essi costituivano circa il 15% del pil nazionale. Nello stesso periodo anche gli investimenti diretti esteri sono cresciuti in maniera netta, indirizzandosi soprattutto verso il settore immobiliare.
Il sistema economico presenta tuttavia problemi piuttosto gravi. La disoccupazione, per esempio, affligge quasi un terzo della popolazione attiva. Allo stesso tempo il deficit di bilancia commerciale raggiunge quasi la metà del pil nazionale, sebbene un’alta quota di investimenti in entrata contribuisca a finanziare buona parte di tale deficit. Resta, infine, il problema della forte corruzione percepita nel paese, collegata anche alla capillare presenza delle organizzazioni criminali.
Sotto il profilo energetico il mercato interno del paese è piccolo e poco sviluppato. Il nodo principale è quello dell’efficienza energetica: nel 2005 il paese consumava una quantità di energia per punto di pil quasi doppia rispetto alla media dei paesi Oecd (260 kg equivalenti di petrolio ogni 1000 dollari prodotti, contro 150 kg della media Oecd). L’alto livello di estrazione di carbone, infine, continua a creare problemi alla salute delle persone impegnate nell’industria estrattiva e a quelle che vivono in prossimità delle miniere.
Quando l’unione di Serbia e Montenegro è stata dissolta, nel 2006, una parte dell’esercito congiunto è stata assegnata al nuovo esercito montenegrino. Il presidente Filip Vujanović ha dunque deciso di trasformare questa componente in una forza relativamente piccola di circa 3000 soldati (oggi pochi di più). Parte dell’esercito è stata poi assegnata alla creazione di una polizia di frontiera, che si concentra prevalentemente ai confini serbo e albanese. L’obiettivo primario delle forze di sicurezza del Montenegro è quello della partecipazione nelle operazioni internazionali di peacekeeping, anche se fino al 2009 il paese non aveva ancora preso parte ad alcuna di esse con i propri soldati, inviando soltanto personale civile o mettendo a disposizione parte dei propri mezzi. Nel 2010 il Montenegro ha schierato 36 soldati nella missione Isaf della Nato in Afghanistan, tra i quali è incluso anche un contingente di una decina di soldati.
La politica estera del paese si è orientata sempre più risolutamente in senso filo-atlantico, con la conclusione di alcuni accordi con gli Stati Uniti sulla cooperazione in materia di sicurezza, utilizzo delle infrastrutture e vigilanza contro la proliferazione di armi di distruzione di massa. L’obiettivo del governo del Montenegro è quello di essere ammesso nella struttura di sicurezza collettiva più prossima, la Nato, entro la fine del 2012. Tuttavia, l’opinione pubblica montenegrina è divisa in proposito: stando a un sondaggio Ipsos del gennaio 2010, solo poco più della metà degli abitanti del paese vorrebbe che il Montenegro entrasse nella Nato. D’altra parte, sotto il profilo economico, dall’indipendenza il paese non è stato in grado di sostenere tutte le spese che sarebbero necessarie per garantire l’effettivo funzionamento dell’esercito (stipendio dei militari, modernizzazione degli equipaggiamenti, manutenzione delle caserme).