Vedi Montenegro dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
Il Montenegro è un paese dei Balcani occidentali indipendente dal 2006. La sua giovane storia è strettamente legata a quella della vicina Serbia. Dapprima, durante tutti gli anni Novanta, il paese è stato una repubblica federata all’interno della Repubblica federale di Iugoslavia, poi, nel 2003, per effetto dell’Accordo di Belgrado, sostenuto dall’Unione Europea – che garantiva al Montenegro una maggiore autonomia – è entrato a far parte dell’Unione di Serbia e Montenegro. La semi indipendenza si è protratta per un breve periodo, poiché nel maggio 2006 un referendum, limitato al solo Montenegro, ne ha sancito la completa indipendenza dalla Serbia. La soglia necessaria del 55% dei voti favorevoli fu superata però di misura. Il Montenegro divenne comunque il secondo paese dei Balcani ad aver conquistato l’indipendenza in modo pacifico, dopo la Macedonia nel 1991.
L’indipendenza attribuì al Montenegro le competenze nel settore della difesa e della politica estera, ma già dal 1992, all’interno della Repubblica federale di Iugoslavia, la piccola repubblica aveva acquisito prerogative sempre più vaste fino a poter disporre di una politica economica autonoma e di una moneta differente da quella utilizzata nella regione serba.
L’attuale sistema istituzionale del Montenegro, una repubblica parlamentare a struttura monocamerale, ricalca quello della regione prima dell’indipendenza. L’Assemblea del Montenegro (Skupština) è costituita da 81 deputati eletti per quattro anni. Le ultime elezioni parlamentari dell’ottobre 2012 sono state vinte dalla coalizione al governo guidata dal Partito democratico dei socialisti (Dps) di Milo Đukanović, nominato primo ministro.
L’attuale premier è protagonista incontrastato della vita politica del paese da oltre un ventennio: come primo ministro nei periodi 1991-98, 2002-06 e 2008-10 e come presidente della repubblica tra il 1998 e il 2002. Anche se il 2013 ha registrato i primi segnali di declino. Inizialmente Đukanović era stato alleato del presidente serbo Slobodan Milošević, ma si è andato progressivamente smarcando dalle sue politiche repressive sino a trasformarsi, nella seconda metà degli anni Novanta, nel leader riconosciuto dell’indipendentismo montenegrino. Le opposizioni hanno sempre favorito legami più stretti e amichevoli con la Serbia, e oggi spingono per la riunificazione e sono contrarie all’ingresso del paese nella Nato, giudicata un nemico dai tempi del bombardamento del territorio della Federazione nel 1999, durante la guerra del Kosovo. Il governo è invece un convinto fautore della causa europeista e di quella atlantista.
Nel dicembre 2009 al Montenegro è stato consentito l’accesso al Membership Action Plan dell’Alleanza atlantica, ma vi è incertezza sui tempi d’ingresso. La maggioranza di governo è fortemente orientata verso una piena inclusione nel sistema difensivo euroatlantico, ma l’opposizione continua a manifestare una forte avversione verso la Nato.
Per quanto riguarda le relazioni con l’Eu, nel giugno 2012 sono stati approvati i negoziati per l’adesione del Montenegro, ma, anche in questo caso, restano incerti i tempi dell’adesione. A pesare sulle prospettive del paese sono soprattutto le riserve ribadite il 16 ottobre 2013 anche dalla Direzione generale allargamento della Commissione europea (Dg Elarg) nel suo Progress Report per l’alto livello di corruzione e la fragilità dello stato di diritto. Un discorso a parte merita la Serbia. In seguito all’indipendenza, le relazioni con Belgrado sono state inizialmente tese, soprattutto per il riconoscimento montenegrino del Kosovo quale stato indipendente a fine 2008. Tuttavia nel novembre 2010 Boris Tadić, allora presidente serbo, ha visitato il Montenegro e, in un’ottica distensiva, ha sottolineato il suo sostegno per l’ingresso del paese nell’Eu.
Il Montenegro non è un paese omogeneo dal punto di vista della composizione etnica: secondo l’ultimo censo (2011), precedente all’indipendenza (2003), i Montenegrini erano il 43% della popolazione, i Serbi il 32%, i Bosniaci il 12% e gli Albanesi il 5%. Gli equilibri sono stati notevolmente modificati dal 1991, anno nel quale i Montenegrini erano il 62% degli abitanti, e i Serbi solo il 9%. Ciò non è dovuto a significativi movimenti migratori, ma a una diversa percezione della propria identità da parte della popolazione residente, in questo caso notevolmente influenzata dalle dinamiche politiche. Né la lingua, né la religione differiscono da quelle serbe. In primo luogo, la lingua montenegrina (štokavo) è considerata dai linguisti una variante dialettale del serbo-croato. Sempre secondo il censo del 2003 i cristiano-ortodossi erano il 74% della popolazione, mentre i musulmani ne costituivano il 18% e i cattolici il 4%.
Merita infine menzione il caso di Sandžak, regione che si estende da entrambe le parti del confine serbo-montenegrino e nutre aspirazioni autonomiste. I suoi componenti sono in prevalenza Bosniaci (45%), ma nella metà montenegrina la maggioranza relativa è costituita da Serbi (34%), e in entrambi i casi i Montenegrini sono una minoranza (inferiore al 15%). Questo complesso incastro etnico complica i rapporti alla frontiera, benché non sembra che possa portare a una modifica degli attuali confini.
Già all’epoca della Repubblica federale di Iugoslavia, il Montenegro aveva perseguito una politica economica e monetaria indipendente da quella serba, con l’adozione di una valuta differente: tra il 1992 e il 2002 la regione ha utilizzato il marco tedesco, e dal 2002 ha adottato unilateralmente l’euro, moneta che ha a tutt’oggi corso legale nel paese.
Nell’ultimo decennio il pil del paese è cresciuto in maniera straordinaria, così come la ricchezza pro capite che è passata dai 1.300 dollari del 2000 agli 11.545 attuali. La rapida crescita economica e dei salari montenegrini ha perfino suscitato timori di un eccessivo surriscaldamento dell’economia prima che la recessione globale colpisse il paese.
Il potenziale turistico del Montenegro, che dispone di quasi 300 chilometri di costa sul Mare Adriatico, è molto elevato. L’ostacolo principale al pieno sviluppo è costituito dalla latente instabilità regionale e dalle carenze infrastrutturali. Malgrado ciò, dall’indipendenza, i flussi turistici hanno conosciuto una veloce impennata, tanto che il settore rappresenta circa un quinto del pil. Nello stesso periodo anche gli investimenti diretti esteri sono cresciuti in maniera netta, indirizzandosi soprattutto verso il settore immobiliare.
Il sistema economico presenta problemi piuttosto gravi. La disoccupazione, per esempio, affligge più di un terzo della popolazione attiva. Allo stesso tempo il deficit di bilancia commerciale raggiunge quasi il 17% del pil nazionale, sebbene un’alta quota di investimenti in entrata contribuisca a finanziare buona parte di tale deficit. Resta il problema della forte corruzione, collegata anche alla capillare presenza di organizzazioni criminali.
Nonostante i problemi, l’economia montenegrina è particolarmente dinamica e nel decennio scorso ha conosciuto tassi di sviluppo superiori al 5%. Dopo la crisi del 2009 (-5,9%), il Montenegro è riuscito ad avviare una buona ripresa nel biennio successivo, per poi riassestarsi su una crescita contenuta. Sebbene le previsioni per i prossimi anni restino positive, la ripresa rimarrà vincolata da alcuni fattori esterni: innanzitutto, la persistenza della recessione nella zona euro e, in secondo luogo, il pesante debito pubblico nazionale (pari al 53% del pil), alimentato dal crollo, quasi un crack finanziario, del Kap, la principale industria di alluminio nazionale. Sotto il profilo energetico, il mercato interno è piccolo e poco sviluppato. Tra le voci dei consumi domina il carbone. In passato il Montenegro era caratterizzato da un’alta intensità energetica, ossia un alto consumo in relazione al pil, dovuto soprattutto alle attività dell’industria dell’alluminio, piuttosto sviluppata. Lo sviluppo del settore turistico ha in parte ridotto l’intensità energetica del pil, che però resta sopra la media Oecd.
Quando l’unione di Serbia e Montenegro è stata dissolta, nel 2006, una parte dell’esercito congiunto
è stata assegnata al nuovo esercito montenegrino. Il presidente Filip Vujanović ha deciso di limitare le forze armate a soli 3.000 soldati. Parte dell’esercito è stata quindi destinata alla creazione di una polizia di frontiera, che si concentra prevalentemente lungo i confini serbo e albanese. L’obiettivo delle forze di sicurezza del Montenegro è partecipare alle operazioni internazionali di peacekeeping, anche se fino al 2009 Pogdorica non ne aveva ancora preso parte. Si era invece limitata a inviare personale civile o a mettere a disposizione parte dei propri mezzi. Dal 2010 il Montenegro ha partecipato alla missione Isaf della Nato in Afghanistan con un contingente di 41 soldati.
La politica estera si è orientata in senso filo atlantico con la conclusione di alcuni accordi con gli Usa in materia di sicurezza, utilizzo delle infrastrutture e vigilanza contro la proliferazione di armi di distruzione di massa. La cooperazione internazionale è particolarmente rilevante nel settore della difesa, poiché, dall’indipendenza, il paese non sarebbe stato in grado di sostenere le spese necessarie a garantire l’effettivo funzionamento dell’esercito.