Monoteismo
La fede nell’esistenza di un unico Dio
I popoli antichi adoravano molte divinità concepite, ciascuna con particolari caratteristiche, a somiglianza dell’uomo. Accanto a questi culti si è venuta sviluppando una concezione più spirituale della divinità, identificata con un solo Dio, onnipotente e onnisciente. Le grandi religioni monoteistiche sono l’ebraismo, il cristianesimo e l’Islam, ma anche in
altre religioni è emersa la tendenza a privilegiare una particolare divinità, considerata superiore alle altre
Gli antichi credevano in genere nell’esistenza di più dei (politeismo). Il mazdeismo (zoroastrismo), la religione dei Persiani, tendeva però al monoteismo, in quanto considerava la storia del mondo come una lotta continua tra il dio buono e un dio cattivo, destinato alla sconfitta. Gli Egizi veneravano molte divinità, anche se nel 14° secolo a.C. un faraone, Amenofi IV detto Ekhnaton, cercò di imporre il culto di un unico dio, il Sole, associato alla figura del sovrano.
Gli Ebrei sembrano costituire, con il loro monoteismo, un’eccezione rispetto agli altri popoli antichi. Gli stessi testi biblici (Bibbia) contrappongono spesso Israele ai popoli che adorano falsi idoli. Oggi però molti studiosi non interpretano più queste pagine come racconti storici fedeli, ma come l’espressione di una lenta conquista spirituale. Essi ritengono che solo dopo molte incertezze e compromessi con le pratiche religiose dei popoli confinanti gli Ebrei abbiano deciso di venerare un unico Dio, Yahweh: un Dio ‘geloso’ che non consentiva al suo popolo di adorare altre divinità (che tuttavia per molto tempo furono considerate realmente esistenti). Questo atteggiamento religioso viene definito monolatria o, con un significato leggermente diverso, enoteismo (vale a dire la scelta di venerare un solo dio, quello del proprio popolo, considerato superiore a tutti gli altri).
Nella Bibbia il Decalogo – ovvero l’elenco dei Dieci comandamenti – inizia con queste parole: «Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla condizione di schiavitù: non avrai altri dei di fronte a me» (Esodo 20,2). A Sichem Giosuè chiese al popolo di scegliere definitivamente se venerare il Signore oppure gli dei dei popoli vicini, che evidentemente esercitavano ancora una notevole attrattiva. Solo con la riforma religiosa del re Giosia (622 a.C.), e soprattutto grazie alla predicazione dei Profeti – che presentavano il Dio d’Israele come «luce delle nazioni», e quindi come il Dio di tutti i popoli –, questa fede si trasformò in una vera e propria religione monoteistica (giudaismo), che negava decisamente l’esistenza stessa degli altri dei, considerati come un’invenzione umana o identificati con forze demoniache. Il libro del Deuteronomio afferma che «il Signore è Dio lassù nei cieli e quaggiù sulla Terra; e non ve n’è altro» (4,39), ed il Salmo 115 dichiara che «gli idoli delle genti sono argento e oro, opera delle mani dell’uomo. Hanno bocca e non parlano, hanno occhi e non vedono». Questa concezione è espressa con maggiore forza dal profeta Isaia – «Prima di me non fu formato alcun dio né dopo ce ne sarà» (43,10) – e soprattutto nei libri di Daniele (cap. 14) e della Sapienza (cap. 13-15), redatti in epoca più tarda.
Il cristianesimo concepisce Dio come la comunione di tre persone uguali e distinte, identificando la figura di Gesù con il Figlio di Dio: riduce in questo modo la distanza tra l’uomo e un Dio Padre che suscitava timore. Ebrei e musulmani (Islam) considerano però il Credo cristiano come un cedimento al politeismo.
Oggi l’idea monoteistica, che considera inesistenti le divinità venerate dalle altre religioni, è accusata da qualcuno di favorire l’intolleranza e lo scontro tra le culture.
Nel corso della storia questo rischio si è verificato abbastanza spesso, e ancora oggi agiscono gruppi fondamentalisti (fondamentalismo) che considerano i seguaci delle altre religioni come nemici da sconfiggere. Tuttavia i credenti più maturi concepiscono la rivelazione di Dio all’umanità come un processo graduale che non rinnega gli sforzi compiuti da ciascun popolo per chiarire la natura della divinità, ma ne rispetta il cammino – spesso tortuoso – di ricerca della verità.