politeismo
Quando cielo e Terra sono abitati da molte divinità
Nella storia dell’umanità molte religioni sono state o sono tuttora politeistiche: sono cioè caratterizzate dalla credenza in una molteplicità di divinità. A lungo il politeismo è stato considerato un insieme di credenze più ‘primitive’ del monoteismo (fede in un solo dio) e ciò ha impedito di apprezzarne gli aspetti di apertura e di tolleranza
Il termine politeismo significa letteralmente «molte divinità» e viene utilizzato di solito per indicare una religione basata sulla venerazione di molti dei o esseri superiori.
Non è affatto semplice definire che cosa possiamo intendere per divinità: in generale gli dei delle religioni politeistiche sono esseri sovrannaturali, ossia si collocano al di là dell’esperienza e della realtà quotidiana. Essi, tuttavia, sono rappresentati in una forma simile agli esseri umani (antropomorfismo), nell’aspetto e nella personalità: hanno una loro volontà e un loro carattere e provano sentimenti.
Le divinità politeistiche costituiscono, per qualunque cultura, un insieme organizzato, formano cioè quello che gli studiosi delle religioni chiamano un pantheon. Il pantheon è una sorta di ‘società degli dei’, in cui sono presenti figure più importanti e figure minori, ognuna con un compito specifico: divinità del mare (come Nettuno), divinità della guerra (Marte), divinità della bellezza (Venere), divinità della morte, divinità del piacere e così via.
Gli dei, come gli uomini, entrano spesso in conflitto tra loro. Altro aspetto importante: le divinità sono capaci di intervenire nel mondo umano sia in modo positivo, per esempio favorendo buoni raccolti o una pesca abbondante, sia in modo negativo, scatenando terremoti, tempeste, carestie ed epidemie.
Antropologi e storici delle religioni introdussero nell’Ottocento la distinzione tra religioni animistiche, politeistiche e monoteistiche. Essi definirono animistiche le religioni caratterizzate dalla credenza in una molteplicità di spiriti, potenze della natura o ‘anime’: questi, per lo più, vivrebbero nello stesso mondo degli esseri umani, abitando nelle montagne, nei fiumi, negli alberi. Il politeismo è invece caratterizzato, come si è detto, dalla credenza in molte divinità sovrannaturali, a differenza del monoteismo, che è la credenza in un unico dio (comune a religioni come l’ebraismo, il cristianesimo e l’Islam).
Alla fine dell’Ottocento si riteneva che l’animismo fosse la forma più primitiva e selvaggia di religione e che il monoteismo fosse invece la forma più evoluta e, in definitiva, la migliore. Il politeismo costituiva una forma intermedia. Questa idea del politeismo come religione meno raffinata, più ‘disordinata’ del monoteismo è oggi contestata da molti studiosi. In ogni caso, nella storia dell’umanità, animismo e politeismo sono le forme di religione più diffuse. Nell’antichità ritroviamo il politeismo in Mesopotamia, nella Grecia, in Egitto, a Roma; al di fuori del mondo classico, nelle civiltà precolombiane (gli Aztechi per esempio), in Africa occidentale (gli Yoruba della Nigeria, i Bobo del Burkina Faso), in Oceania (tra i Polinesiani).
Molte religioni politeistiche nacquero e si svilupparono in società complesse e gerarchiche: con quest’ultimo termine si intendono società formate da gruppi o classi di persone dotate di diversi gradi di ricchezza e potere. In particolare, il politeismo è legato alla presenza di una classe sacerdotale che si dedica al culto delle divinità. Anche se vi sono eccezioni (società dell’Africa e dell’Oceania), spesso il politeismo si sviluppò in società urbane. L’antica Grecia con le sue città-Stato è l’esempio per noi più noto di società politeistica: nell’Iliade e nell’Odissea vediamo le divinità all’opera, nelle guerre, nei viaggi, nei riti. Non furono tuttavia soltanto Greci e Romani (si pensi all’Eneide di Virgilio) a dare vita a mitologie e racconti che vedono come protagonisti uomini e divinità: in molte religioni politeistiche esistono tradizioni orali, che narrano l’origine del mondo (cosmogonia) e il ruolo che gli dei hanno nel mantenere l’ordine o nel creare, periodicamente, disordine attraverso catastrofi naturali e guerre.
Una caratteristica del politeismo è quella di essere una religione ‘ospitale’: avviene spesso che, nel corso del tempo, il pantheon si arricchisca di divinità venute da altrove. L’arrivo di stranieri che si stabiliscono nella nuova società, i contatti e gli scambi culturali, l’annessione di nuovi territori in seguito a guerre di conquista contribuiscono all’arricchimento del pantheon locale. Molte divinità romane (si pensi a Minerva, Diana, Venere) provenivano dal pantheon greco o di altri popoli che vivevano alle periferie dell’Impero e furono ‘adottate’ a Roma.
Questa disponibilità all’apertura e al cambiamento è stata ritenuta da alcuni autori come un segno che i politeismi sarebbero in genere religioni tolleranti e rispettose della diversità culturale e religiosa. Il politeismo avrebbe saputo insomma evitare quelle forme di fanatismo e di intolleranza che caratterizzano a volte le religioni monoteistiche.
I popoli della Polinesia, che gli occidentali incontrarono per la prima volta tra la fine del Settecento e i primi anni dell’Ottocento, praticavano una religione politeista. Essi veneravano alcune grandi divinità come Tagaloa, ritenuto in alcune isole il creatore del mondo o colui che diede forma al mondo a partire da una materia già esistente.
Accanto a Tagaloa vi era un grande numero di atua, dei il cui culto poteva estendersi a un’intera isola o soltanto a una sua parte.
Ogni atua aveva una sua specializzazione: vi erano divinità della guerra (come Ku), divinità che assicuravano la fertilità della terra e la fecondità delle donne (come Lono), divinità delle canoe (mezzi fondamentali per un popolo di navigatori), divinità dei vulcani, divinità o semidei che avevano fornito agli uomini tecniche e mezzi di sostentamento (come, per esempio, Maui, una sorta di Prometeo dei mari del Sud, che fece dono del fuoco agli uomini ‘imprigionando’ il Sole con le trecce della sorella).
Il culto di ogni divinità era assicurato da sacerdoti, i quali costituivano, in isole come le Hawaii, una vera e propria classe sociale. Ogni divinità era legata a sua volta a un luogo di culto, detto marae. Piattaforme costruite con blocchi di pietra e corallo, i marae ospitavano altari, statue in legno o in pietra e altre rappresentazioni divine su cui, si credeva, discendevano le divinità, spesso in forma di uccelli.
Oltre alle divinità maggiori e agli atua, nelle religioni polinesiane avevano un ruolo importante gli eroi, esseri situati a metà tra l’umano e il divino e autori di gesta memorabili in guerra o di invenzioni e scoperte; alcuni capi inoltre, dopo la morte, erano divinizzati e si credeva che si trasformassero in stelle del cielo.
In un primo tempo i Polinesiani inserirono il Dio cristiano nel loro pantheon tradizionale ma, in seguito, l’attività dei missionari portò alla scomparsa dell’antica religione. I Polinesiani chiamano oggi Atua il Dio cristiano.
Dalle religioni polinesiane è giunto in Occidente il concetto di tabu (generalmente, ma impropriamente scritto tabù!), che noi traduciamo con «sacro» o «proibito»; attualmente il termine è utilizzato soprattutto nel secondo significato. Tuttavia si tratta di un’interpretazione arbitraria in quanto, più correttamente, il termine tabu (tapu in polinesiano) indicava individui come re e capi politici o luoghi (i templi) ai quali le persone comuni non avevano il diritto di avvicinarsi.