Mille e una notte
Il favoloso mondo d’Oriente
Mille e una notte (arabo Alf layla wa layla) è forse la più celebre raccolta araba di novelle. In Occidente fu conosciuta grazie alla libera traduzione del francese Antoine Galland, pubblicata all’inizio del 18° secolo. Lo svolgimento dell’opera è racchiuso in una famosa storia-cornice: la giovane Shahrazad, per scampare alla morte, con i suoi racconti intrattiene per mille e una notte il crudele re Shahriyar, che alla fine la sposa
Nel 18° secolo, quando Galland diede alle stampe la sua versione-traduzione francese della raccolta fu subito un successo: egli aveva tradotto molto liberamente l’opera, adattandola al gusto del tempo, mitigando le parti che riteneva scabrose e ripetitive. Dopo qualche decennio, si moltiplicarono gli studi sulle Mille e una notte e i primi testi arabi pubblicati misero subito in luce la molteplicità dei testi.
Si trovarono infatti numerosi manoscritti ed edizioni a stampa, ma diversi gli uni dagli altri; ogni raccolta comprendeva racconti che non corrispondevano o che erano stilisticamente differenti da quelli delle altre, compresa l’edizione di Galland.
Ma allora la versione francese su quale originale si basava? Venne fuori che Galland aveva tradotto un manoscritto arabo proveniente dalla Siria, integrandolo con altri racconti, alcuni dei quali (Aladino, Ali Babà, Il cavallo volante d’ebano) narratigli da un siriano che all’epoca si trovava a Parigi.
Era quindi impossibile trovare un unico testo che comprendesse tutte le Mille e una notte. Comunque alla fine si giunse alla cosiddetta recensione egiziana di Zotenberg, alla quale normalmente si fa riferimento quando si parla della celebre raccolta. Questa edizione è il risultato di una compilazione, che risale all’incirca al 18° secolo, effettuata da uno shaykh («saggio») del quale però non si conosce il nome. Dunque la raccolta non ha avuto un unico autore né può essere datata a un’unica epoca. I racconti, anonimi e popolari, sono stati diversamente assemblati da recensori-compilatori secondo il proprio gusto, insomma una sorta di work in progress («lavoro in corso di esecuzione»).
Ma questa raccolta orientale venuta alla ribalta in Occidente era nota fra gli Arabi? Da alcune citazioni di autori antichi risulta che gli Arabi la conoscevano fin dal 10° secolo. Questi autori fanno menzione di una raccolta iranica dal titolo persiano Hazar afsane «Mille racconti» (sebbene fossero duecento), considerata però un insieme di «storie meschine e senza sugo». Questi racconti di matrice iranica non erano apprezzati dalle classi colte, ma giravano tra i ceti popolari: nei caffè, nei mercati e nelle strade delle città venivano raccontati dai cantastorie, secondo il proprio stile e gusto.
Il nucleo originario indo-iranico, costituito dalla storia-cornice e da alcuni racconti meravigliosi, si andò così arabizzando nel corso dei secoli, prima a Baghdad, poi successivamente in Egitto (v. anche Egitto, storia dello) a partire dal 12° secolo. In particolare il più ricco incremento alla raccolta si verificò in epoca mamelucca: la maggior parte dei racconti si è infatti formata in Egitto tra il Quattro e il Cinquecento. Sulle Mille e una notte influirono dunque le culture e le civiltà di innumerevoli paesi: India, Persia, Iraq ed Egitto. Ma nonostante la materia così disparata, i racconti di Shahrazad, come osserva il primo traduttore italiano dell’edizione egiziana, l’orientalista Francesco Gabrieli, hanno una sorta di «patina unitaria».
Dal punto di vista letterario, il materiale delle Mille e una notte è stato suddiviso in sei generi: racconti meravigliosi, didattici, umoristici, romanzi, leggende e aneddoti. Ai racconti meravigliosi appartengono i famosi Aladino e Ali Babà, mentre il racconto-romanzo più lungo è la Storia del re Omar an-Numàn e dei suoi figli. Ci sono anche alcune antiche leggende che risalgono al patrimonio arabo (Iram, la città delle colonne) e numerose favole, molte delle quali con gli animali, probabilmente di provenienza indiana, come i due cicli di Sindibàd. Le storie umoristiche e gli aneddoti sono numerosi; spesso riguardano i califfi (califfato), come l’abbaside Harun al-Rashid, divenuto nell’immaginario un sovrano ideale. Ma le Mille e una notte nonostante parlino di corti e califfi rispecchiano la vita del popolo. Le classi superiori sono viste e rappresentate con gli occhi delle persone umili, che sono i veri protagonisti delle Mille e una notte.
Una delle storie più famose nella cultura occidentale è quella di Aladino e la lampada incantata. Aladino (dal nome arabo Ala al-dìn), un giovane ragazzo sfaccendato e indolente, incontra un «mago maghrebino» che si spaccia per suo zio, fratello del padre morto. Il finto zio convince Aladino a scendere dentro una caverna per prendere una lampada a olio, in cambio di una lauta ricompensa. Ma mentre Aladino sta per risalire, dopo aver attraversato giardini incantati pieni «di alti alberi e con frutta stupende di cristalli a vari colori», e dopo aver preso con sé la lampada, il mago richiude bruscamente con una pietra la stretta entrata della grotta. Aladino, disperato, si sfrega senza volere le mani: da un anello datogli dal mago appare un genio che si mette al suo servizio, e il ragazzo prontamente gli chiede di farlo uscire da quel luogo.
Tornato a casa, Aladino racconta alla madre incredula quanto gli è accaduto. Ma qualche tempo dopo, mentre la donna pulisce la vecchia lampada a olio presa dal figlio nella caverna, esce un genio enorme, pronto a esaudire ogni loro desiderio. Aladino e sua madre risolvono così ogni problema di sostentamento: avevano tanto di quel cibo che non riuscivano ad alzarsi da tavola tra il pasto di mezzogiorno e quello della sera. Ma Aladino ha ora un altro desiderio, molto più difficile da esaudire: sposare la principessa Badr al-Budùr, di cui si è innamorato. Grazie naturalmente all’intervento del genio della lampada, Aladino riesce a coronare il suo sogno e sposa la principessa.
Ma come sempre accade, la felicità è presto interrotta. Ecco tornare dall’Africa il mago, che riesce a farsi dare dall’ignara principessa la lampada magica e a farla così sparire insieme al suo castello. Dopo una serie di peripezie Aladino ritrova la principessa e, grazie alla lampada tornata nelle sue mani, trasporta la sposa insieme al castello in Cina, presso il padre di lei e gli amati sudditi.
Ali Babà e i quaranta ladroni è un’altra storia divenuta celebre soprattutto per la formula «Apriti sesamo», pronunciata dal capo dei ladroni per aprire la caverna dove era custodita la refurtiva dei loro colpi. Ali Babà, che ha assistito alla scena senza essere visto, aspetta che i ladroni vadano via e ripete la frase: «Apriti sesamo». Entrato nella caverna, prende quanti più sacchi di monete d’oro può trasportare ed esce, dopo aver pronunciato il magico: «Chiuditi sesamo».
L’improvvisa ricchezza di Ali Babà suscita la gelosia di suo fratello Kassim, il quale, fattosi svelare il segreto, s’introduce nella caverna. Ma mentre sta per uscire, carico di sacchi d’oro, si dimentica la formula magica e rimane vittima dei ladroni che ormai hanno fatto ritorno. Dopo qualche giorno, di fronte alla scomparsa del corpo di Kassim (sottratto da Ali Babà, che voleva dargli una degna sepoltura), i ladroni capiscono che qualcun altro conosce il segreto per entrare nella caverna. Decidono allora di vendicarsi dell’astuto Ali Babà, ma saranno loro a soccombere, vittime della vedova di Kassim ora nuova sposa di Ali Babà, che li fa finire tutti dentro quaranta giare piene d’olio.
Le Mille e una notte hanno influenzato notevolmente l’immaginario occidentale. Innumerevoli scrittori, registi e musicisti si sono ispirati al mondo di Shahrazad; tra di essi, Pier Paolo Pasolini, che nel 1974 ha diretto il film Il fiore delle mille e una notte. Alcune storie sono diventate film di animazione, come il fortunato Aladdin (1992, di Ron Clements e John Musker) prodotto da Walt Disney, o, per citare uno dei più recenti, Sinbad: la leggenda dei sette mari (2003, di Patrick Gilmore e Tim Johnson).