memorizzazione
Ricordare per vivere
La memorizzazione è l’operazione attraverso la quale i dati sono registrati per un successivo utilizzo. Senza di essa non sarebbe possibile non solo la nostra civiltà, ma neppure la vita, che si basa proprio su un codice che memorizza e trasmette alle generazioni successive l’informazione genetica. Nel corso della sua storia l’uomo ha sperimentato diverse tecniche di memorizzazione: dalle pitture rupestri alla carta, fino alle moderne memorie informatiche
Senza memoria la nostra civiltà non esisterebbe: l’invenzione della scrittura, ma ancora prima l’uso di immagini nella pittura, è stata originata non solo dalla necessità di comunicare idee e sensazioni, ma anche da quella di conservare nel tempo una testimonianza di avvenimenti particolari.
Senza memoria, la stessa vita non sarebbe possibile. Condizione necessaria per la riproduzione di un organismo sia vegetale sia animale, per quanto primitivo, è infatti quella di ricevere dalla generazione precedente una certa quantità di informazioni che stabiliscano le modalità per la costruzione di un nuovo individuo. È questa la funzione che ha il codice genetico, nel quale sono memorizzati i dati necessari alla formazione di un essere vivente.
La memorizzazione dell’esperienza costituisce d’altronde una condizione necessaria per la crescita di un organismo vivente e per la sua sopravvivenza. Se non fossimo in grado di memorizzare le nostre sensazioni non potremmo apprendere nulla, o distinguere un pericolo da un’opportunità.
Un bambino senza memoria non potrebbe mai riuscire a riconoscere la sua mamma né imparare a camminare e a parlare. A dispetto della loro importanza, tuttavia, i meccanismi della memoria utilizzati dal nostro cervello sono ancora poco conosciuti. Grazie a tecniche come la risonanza magnetica o la tomografia (diagnostica per immagini) i ricercatori hanno individuato le aree cerebrali coinvolte nei processi di memorizzazione, ma la ricerca in questo campo è soltanto agli inizi.
Per millenni l’uomo ha utilizzato come supporti di memorizzazione la pietra, o altri materiali sui quali incideva o dipingeva segni o immagini e poi la carta.
A partire dal secolo scorso, invece, la tecnologia ha introdotto una grande varietà di supporti. Assieme alla fotografia, che utilizza la pellicola e la carta da stampa, è stato per esempio inventato il meccanismo per la memorizzazione dei suoni su cui si basa il fonografo (suono), che riproduceva suoni memorizzati per mezzo di incisioni a spirale fatte su un cilindro.
Questo meccanismo è stato poi perfezionato e ha portato alla realizzazione dei dischi di vinile a 78 giri al minuto, a 45 e a 33. In seguito alle tecniche di memorizzazione sonora si sono aggiunte quelle basate su nastro magnetico, come le audiocassette.
Un percorso analogo è avvenuto per la memorizzazione delle immagini in movimento: alle tradizionali pellicole, le cosiddette pizze, in tutto e per tutto simili a quelle fotografiche, si sono aggiunte le videocassette, basate su un sistema di registrazione e memorizzazione su nastro magnetico.
Ma la vera rivoluzione degli ultimi anni è stata la digitalizzazione, grazie alla quale è stato possibile trasformare qualunque dato in una sequenza di bit, indipendentemente dalla sua forma originaria. Possono diventare quindi sequenze binarie le fotografie (raccolte da macchine fotografiche digitali, e oggi anche dai cellulari), i filmati, i disegni, i testi scritti, la musica, le parole e le immagini in movimento.
Si afferma così, per gli apparecchi riproduttori e di memorizzazione, il fenomeno della convergenza, dovuto al fatto che informazioni di tipo anche molto diverso sono memorizzate con la stessa tecnica e possono passare facilmente da un dispositivo all’altro: per esempio i cellulari sono attualmente utilizzati per memorizzare e catturare fotografie, musiche e filmati. Allo stesso modo il computer è lo strumento unico che, attraverso alcune periferiche, è in grado di riprodurre e acquisire informazioni sonore, filmati e immagini (multimedialità).
Il cuore della rivoluzione digitale è costituito dalla memorizzazione dei bit: ossia da un sistema di registrazione basato sui due soli valori del codice binario, che sono indicati come 0 e 1. Agli inizi dell’informatica questi due valori erano rappresentati dalla chiusura o meno di un circuito elettrico attraverso interruttori: in altre parole, si trattava di oggetti di dimensione macroscopica. Un passaggio fondamentale è avvenuto con l’uso dei supporti magnetici di memorizzazione: inizialmente attraverso l’uso di nastri, e poi con i dischi rigidi dei computer. In questi ultimi apparecchi la memorizzazione avviene orientando il campo magnetico di alcune molecole.
Nelle memorie di tipo RAM (Random access memory «memoria ad accesso casuale») utilizzate dai computer, invece, la memorizzazione avviene grazie all’uso di transistor e condensatori: queste memorie consentono un accesso più rapido alle informazioni, ma hanno lo svantaggio di avere bisogno, al contrario delle precedenti, della corrente elettrica per conservare le informazioni. Altri tipi di memorie sono quelle flash, sempre basate su transistor, ma che conservano i dati anche in assenza di corrente. Grazie al sempre minore costo di memorie di questo tipo si sono diffusi supporti chiamati penne, sui quali è possibile registrare una grande quantità di dati. Anche i tradizionali registratori da passeggio di tipo walkman sono stati pressoché sostituiti da dispositivi digitali più piccoli, capaci di memorizzare un gran numero di canzoni.
Un progresso importante nei supporti di memorizzazione è legato all’utilizzo dell’ottica. I CD e i DVD, infatti, non sono altro che memorie leggibili per mezzo di una emissione di luce laser. La memorizzazione dei dati su questi supporti avviene tramite minuscole incisioni, un po’ come succedeva con i vecchi dischi in vinile. Un lettore laser illumina il disco e analizza la radiazione riflessa, registrandone le variazioni. Questi cambiamenti rivelano se in un determinato punto è presente o meno una tacca, a cui corrisponde l’informazione binaria codificata.
Tali tacche hanno dimensioni estremamente piccole, per esempio nei DVD sono lunghe poche centinaia di nanometri (ossia miliardesimi di metro) e profonde circa una decina. Il risultato è che in un disco di piccole dimensioni è possibile inserire un’enorme quantità di informazioni, per esempio un intero film, con tanto di versioni nelle diverse lingue, trailer, giochi e così via. Intervenendo poi sul tipo di radiazione utilizzata per il lettore e sui materiali usati questi dischi saranno resi sempre più capienti.
I ricercatori stanno attualmente studiando la possibilità di utilizzare altri strumenti per la memorizzazione delle informazioni digitali.
Uno dei tentativi più interessanti è offerto dalla cosiddetta elettronica spintronica. L’idea è quella di usare come strumento per la memorizzazione lo spin degli elettroni o di altre particelle elementari. Lo spin è una particolare proprietà delle particelle, che può assumere solo due valori, di solito indicati con i termini up e down («su» e «giù»). L’idea dei ricercatori è di associare i valori del codice binario al valore dello spin. In questo modo ogni singolo elettrone porterebbe un bit di informazione, mentre ora ci vogliono molti elettroni per raggiungere lo stesso risultato. Memorie di tipo spintronico, per esempio, avrebbero una velocità di lettura molto elevata, e le loro informazioni permarrebbero anche in assenza di corrente.
Altri tentativi di trovare supporti alternativi per la memorizzazione sono basati su alcune proprietà del mondo biologico. Sicuramente il DNA costituisce il migliore strumento di memorizzazione che la natura abbia saputo costruire. Gli acidi nucleici che compongono la catena del DNA potrebbero fornire un supporto di memorizzazione basato non su due soli valori ma su quattro, ossia sull’adenina, la guanina, la citosina e la timina, le quattro ‘lettere’ del codice genetico. Riuscire quindi ad assemblare a comando il DNA e a leggerlo senza problemi potrebbe condurre alla costruzione di supporti di memorizzazione di nuova concezione.