memoria
L’indispensabile deposito delle nostre esperienze
La memoria è una complessa funzione della nostra mente, grazie alla quale conserviamo informazioni e impressioni, localizzandole esattamente nello spazio e nel tempo, per renderle disponibili alla coscienza attraverso il ricordo. Nel linguaggio scientifico si parla di memoria anche in un senso più ampio, per indicare un processo legato alla modificazione (detta traccia mnemonica) di un substrato organico ma anche meccanico, attraverso il quale un determinato effetto persiste e può manifestarsi nuovamente
Le informazioni che raggiungono il cervello grazie ai nostri sensi (immagini, parole, odori, e così via) vengono ‘depositate’ in due grandi magazzini, detti memoria a breve termine e memoria a lungo termine. Nel primo le informazioni sostano temporaneamente, lasciando tracce facili da cancellare che andranno perdute se non dedichiamo loro attenzione; se, invece, ripetiamo più volte l’informazione trasferiamo i nostri dati nel più capiente e stabile magazzino della memoria a lungo termine, dove vengono mantenuti per un periodo più lungo e addirittura per tutta la vita.
Memorizzare è una sofisticata funzione delle cellule cerebrali – neuroni – che attraverso la loro attività chimica (produzione di neurotrasmettitori) e fisica (elettrica) ci consentono un’acquisizione stabile di tutto ciò che apprendiamo (per esempio, il linguaggio) e di possedere la storia della nostra vita, con tutte le emozioni che la accompagnano.
I disturbi della memoria, presenti in alcune malattie del cervello, hanno permesso di individuare le regioni cerebrali che sicuramente rappresentano il substrato anatomico della memoria: corteccia prefrontale, lobi temporali, ippocampo, amigdala. Tuttavia, ricerche più recenti inducono a pensare che, attraverso fibre nervose associative, tutto il cervello partecipi all’attività della memoria.
L’ippocampo, deputato a selezionare le informazioni da trasferire alla memoria a lungo termine, fa parte ‘insieme all’amigdala, alla circonvoluzione paraippocampale, alla circonvoluzione del cingolo e al fornice, del sistema limbico implicato nella gestione della nostra vita emozionale. Per questo, memoria e dimenticanza sono influenzate dalle nostre emozioni. Per esempio, l’antipatia per una materia scolastica rende più difficile memorizzare i suoi contenuti.
Sebbene nel linguaggio quotidiano i due termini memoria e ricordo siano utilizzati in modo interscambiabile, essi definiscono due attività diverse. Sigmund Freud descrisse il meccanismo della repressione, per indicare un’operazione psichica tendente a far scomparire dalla coscienza un contenuto spiacevole, relegandolo nel preconscio. Analoga operazione, ma del tutto inconscia, è la rimozione (difesa, meccanismi di), deputata a mantenere inconscio un contenuto spiacevole o inaccettabile alla coscienza. In ambedue i casi, si tratta di meccanismi che non cancellano la memoria, ma che ci impediscono di ricordare. Più recentemente, nel 2001, gli esperimenti condotti dagli psicologi Michel C. Anderson e Collin Green, in una università americana, sembrano confermare l’affermazione di Freud. I due ricercatori sostengono che le persone possono spingere i ricordi fuori della coscienza, ‘dimenticare’, e conservare i dati come in una memoria che non viene utilizzata.
I disturbi della memoria umana possono essere determinati da varie condizioni accidentali o patologiche che inducono sofferenza o perdita dei neuroni: i traumi cranici, l’aterosclerosi, la malattia di Alzheimer, le intossicazioni da alcool o da droghe.
Le amnesie – perdite di memoria – possono essere temporanee se dipendono da un impedimento della percezione della realtà (per esempio, uno stato di shock), oppure permanenti quando le percezioni non vengono fissate (amnesia anterograda) o non possono essere riprodotte in ricordi (amnesia retrograda) come avviene, per esempio, in caso di trauma cranico. Il semplice indebolimento della memoria, invece, si chiama ipomnesia; è frequente negli anziani a causa della difettosa circolazione che compromette la nutrizione delle cellule cerebrali e, spesso, si accompagna alla conservazione della memoria del passato. L’ipermnesia (memoria prodigiosa) è una condizione che talvolta accompagna stati di scarsa intelligenza o, temporaneamente, di intense emozioni.
Tutti abbiamo esperienza di piccole e momentanee perdite di memoria. Chi non ha mai detto: «Ce l’ho proprio sulla punta della lingua»? Queste piccole ma fastidiose dismnesie della vita quotidiana sono più frequenti in condizioni di stress e affaticamento ed è possibile che qualche motivo inconscio si opponga alla nostra volontà di ricordare. La particolarità di queste situazioni è che ricordiamo parzialmente: per esempio, abbiamo davanti agli occhi l’immagine di una persona o di un luogo, ma non riusciamo a ripescare nel magazzino della memoria il nome a essi associato finché ci viene in soccorso il meccanismo dell’associazione tra lettere e suoni che compongono la parola; per esempio: «Comincia con...» .
Falsi ricordi e falsi riconoscimenti sono, invece, condizioni in cui, per motivi di ordine psicologico, inconsapevolmente si attribuisce alla propria fantasia il significato di ricordo.
Secondo la natura di ciò che viene memorizzato e ricordato (un suono, un odore, un’immagine, o altro ancora) e in base agli organi di senso (come udito, olfatto, vista) implicati nella raccolta delle informazioni che saranno decodificate a livello cerebrale, si è soliti parlare di memoria uditiva, musicale, olfattiva, visiva, associativa, intellettiva e così via, per indicare la modalità privilegiata da ciascuno di noi, ma esse agiscono sempre in associazione.
Memoria cellulare è il termine utilizzato per indicare la sequenza dei geni che viene trasmessa senza modificazioni da una cellula alle generazioni cellulari che ne derivano.
La memoria immunitaria consiste nella capacità dei linfociti del sistema immunitario di memorizzare la composizione chimica degli antigeni con i quali vengono in contatto, in modo da riconoscerli a ogni successivo incontro e produrre di conseguenza gli anticorpi atti a neutralizzarli.
L’uomo ha cercato di riprodurre la straordinaria capacità della mente di immagazzinare l’esperienza costruendo dispositivi in grado di conservare dati in macchine che vengono utilizzate nel lavoro e nella vita di tutti i giorni, come il registratore, il telefono, il computer.
Le memorie elettroniche sono elementi dei calcolatori elettronici e dei sistemi di telecomunicazione. La capacità di una memoria di questo tipo (cioè la quantità di informazioni che è in grado di registrare) si misura in byte.
Nel computer è presente un dispositivo elettronico, detto memoria centrale, che è in grado di memorizzare istruzioni e dati. La memoria centrale fa parte dello hardware, ossia della parte fisica del sistema operativo: infatti è costituita da un chip (in inglese «scheggia»), una piastrina di silicio contenuta da materiale plastico e inserita attraverso piedini (pin) su circuiti, chiamati schede, in collegamento elettrico con il resto del sistema. La memoria centrale è come una sequenza di locazioni, di dimensioni di uno o più byte, chiamate word («parola») o cella di memoria. Ogni cella di memoria, all’interno del nostro computer, viene identificata da un numero: ha un indirizzo che la macchina ci permette di raggiungere.
La memoria centrale è di tipo RAM (Random access memory «memoria ad accesso casuale»): consente un accesso diretto o casuale e rende possibile scrivere e modificare i dati. Esistono, però, memorie ROM (Read only memory «memoria di sola lettura»), che utilizziamo, per esempio, per accendere o spegnere il computer. Mentre la memoria ROM viene conservata anche se manca l’alimentazione elettrica della macchina, la RAM è una memoria volatile: il suo contenuto può andare perduto.
La memoria cache, infine, è una memoria temporanea utilizzata per trasferire dati tra dispositivi diversi che lavorano a differenti velocità. Le memorie esterne, come i CD-ROM, sono supporti a memoria permanente, utilizzabili per trasferire e archiviare i dati immagazzinati nella memoria centrale.