malaria
Dai protozoi all’uomo passando per le zanzare
La malaria è un’infezione causata dal protozoo del genere Plasmodium ed è trasmessa agli uomini dalla puntura di zanzare femmine del genere Anopheles. Si manifesta con febbre molto alta, brividi e danni a diversi organi, e può essere mortale. Il plasmodio, attraverso una serie complessa di stadi successivi, parte dei quali avviene nell’uomo e parte nella zanzara, deve passare dall’uomo alla zanzara per compiere il suo ciclo riproduttivo. La malattia è presente soprattutto nelle zone dove ci sono aree paludose e il clima è caldo-umido. Diffusa oggi nelle regioni tropicali, sino al primo dopoguerra era presente in Europa meridionale, in Italia, nell’Africa settentrionale, nel Sud degli Stati Uniti
La diffusione della malaria è correlata con quella della zanzara anofele (genere Anopheles). In molti paesi del mondo il rischio di ammalarsi è ancora assai elevato: è stato calcolato che ogni anno circa 2 milioni di persone muoiono di malaria, e tra queste soprattutto bambini e donne incinte.Questo si verifica principalmente nei paesi dove la malaria è sempre presente, ovvero è endemica. Oggi la malaria è molto diffusa nelle regioni dell’Africa subsahariana, ma fino a circa 40 anni fa anche in Italia era endemica, soprattutto nelle zone paludose intorno al delta del Po, in Maremma e nell’Agro Pontino. È dal 1970 che questa malattia è stata definitivamente debellata dal nostro paese.
Tuttavia la malaria non colpisce soltanto gli indigeni delle zone endemiche; sembra, infatti, che ogni anno circa 10.000 persone di ritorno da viaggi fatti in quelle zone si ammalano, e che una percentuale più o meno dell’1% muoia a seguito dell’infezione.
I tipi di protozoi (microrganismi formati da una sola cellula) che possono causare la malaria nell’uomo fanno parte del genere Plasmodio (nella classificazione zoologica: genere Plasmodium). Tra i più diffusi ricordiamo: Plasmodium falciparum, Plasmodium vivax, Plasmodium ovale, Plasmodium malariae.
Tutti questi plasmodi per sopravvivere e riprodursi hanno bisogno, per un periodo, di vivere nel corpo dell’uomo e, successivamente, in quello della zanzara femmina. Questo avviene proprio perché nell’organismo umano il protozoo cresce, mentre nella zanzara diventa capace di riprodursi.
Ma come fanno questi protozoi a venire in contatto con l’uomo e a trasmettergli la malattia? Nella maggior parte dei casi è la zanzara stessa che, infettata dal protozoo, lo trasferisce all’uomo pungendolo. Però è anche possibile che l’infezione venga trasmessa senza che ci sia l’intervento della zanzara, come nel caso di trasfusioni con sangue infetto o di utilizzazione di siringhe contaminate. Inoltre si può avere trasmissione della malattia dalla madre al feto durante la gravidanza, attraverso la placenta.
Dopo che la zanzara ha punto l’uomo e inoculato il protozoo, c’è un periodo di incubazione che è diverso a seconda del tipo di plasmodio: per Plasmodium falciparum i disturbi possono comparire dopo 9412 giorni, mentre per Plasmodium vivax anche dopo diversi mesi. La zanzara, pungendo l’uomo, fa entrare nel sangue il plasmodio in uno stadio del suo sviluppo in cui viene chiamato sporozoita; questo trova nelle cellule del fegato un posto ideale dove maturare e moltiplicarsi, passando allo stadio successivo di merozoita. Quando i merozoiti diventano tanti all’interno delle cellule del fegato, si verifica la rottura delle cellule con la fuoriuscita dei parassiti che raggiungono i globuli rossi nel sangue. Anche in queste cellule il parassita si moltiplica sino a causarne l’esplosione.
La morte contemporanea di molti globuli rossi è la causa dell’anemia emolitica, con i tipici attacchi di febbre e brividi, con grave affaticamento del malato. Altri parassiti poi migrano di nuovo dal fegato nel sangue e infettano altri globuli rossi, dando luogo a nuove crisi di anemia e di febbre. Dopo molti cicli i merozoiti si trasformano in trofozoiti e poi in parassiti adulti, detti gametociti, le uniche forme che possono infettare la zanzara.
Quando la zanzara punge l’uomo che ha la malaria, gli succhia il sangue che può contenere i gametociti; questi ultimi si moltiplicano nello stomaco della zanzara e poi si trasformano sino a dare vita agli sporozoiti che si vanno a insediare nelle sue ghiandole salivari. Quando poi la zanzara infetta punge un uomo sano gli trasmette gli sporozoiti, dando così inizio a un nuovo ciclo malarico.
Nell’attacco malarico ci sono tre stadi clinici: lo stadio del brivido e del freddo; lo stadio della febbre; lo stadio della sudorazione. Il malato avverte una sensazione di freddo molto forte; inoltre ha brividi così intensi da avere la pelle d’oca e le labbra quasi blu. La temperatura corporea si alza rapidamente ed è così elevata (da 39 a 41 °C) che spesso lo porta a delirare. Il malato inizia a sudare e la temperatura si abbassa sino a tornare normale.
La caratteristica della malaria è che questi tre stadi clinici si presentano ogni 1, 2, 3, 4 giorni o più, contemporaneamente alla rottura dei globuli rossi; si parla infatti di malaria terzana (comparsa della febbre ogni tre giorni), malaria quartana (febbre ogni quattro giorni) e così via.
Talvolta, però, oltre a questi sintomi, ci sono disturbi che coinvolgono altri organi, quali il cervello, con il tipico quadro di malaria cerebrale che spesso porta a morte il paziente, la milza, con frequente rottura della stessa, il rene, con grave danno sino alla perdita quasi totale della sua capacità di funzionare.
Nel caso di bambini colpiti da malaria non sempre sono presenti i sintomi descritti nell’adulto. La febbre e i brividi infatti possono mancare. Generalmente il bambino malato presenta crisi convulsive, diarrea abbondante, perdita di peso e frequentemente arriva a uno stato di coma.
Per fare la diagnosi della malaria è sufficiente una goccia di sangue che viene esaminata al microscopio per poter individuare il tipo di plasmodio e valutare il numero di parassiti presenti.
Il farmaco più antico ed efficace contro la malaria è il chinino, a cui si sono affiancati più recentemente la clorochina, molto efficace ma contro la quale molti ceppi del parassita sono diventati resistenti, e la meflochina, forse il farmaco più efficace ma anche il più costoso. Sono in corso anche studi per ottenere un vaccino che sia efficace contro il plasmodio.
Per combattere la malaria è però fondamentale la profilassi, cioè la prevenzione, che si può realizzare con la bonifica delle zone paludose, con l’utilizzazione massiccia di insetticidi e con l’assunzione, in caso di viaggi nei paesi a rischio, di farmaci antimalarici; infine con la protezione dalle punture con accorgimenti come le zanzariere alle finestre, alle porte, intorno al letto nelle case delle zone colpite dalla malattia, e l’uso di cospargersi con sostanze che tengono lontani gli insetti.
Narra una leggenda che un Indio, abitante delle Ande, stava attraversando una impervia regione per tornare al proprio villaggio, divorato da febbre malarica. Al limite delle forze e disperato per l’arsura provocata dalla febbre, trovò alla fine una pozza d’acqua: si buttò carponi a bere a sazietà ma notò che l’acqua aveva un sapore amarognolo. Il sapore era causato da un grosso ramo di un albero ritenuto velenoso dagli Indios, che lo chiamavano quina-quina.Con suo grande stupore, l’Indio non solo non morì avvelenato, ma con il passare delle ore si sentì tornare le forze. La febbre sparì e, tornato al proprio villaggio, raccontò quanto gli era accaduto. La cosa arrivò alle orecchie dei gesuiti di Lima, che decisero di sfruttare la scoperta dell’Indio. E qui la leggenda si salda con la storia perché è accertato che furono i gesuiti intorno alla metà del 17° secolo a importare dalle Americhe la corteccia di Cinchona, che contiene il prezioso principio attivo.