La libertà di religione è una delle libertà caratteristiche dello Stato di diritto e trova la sua affermazione nei più importanti documenti costituzionali sin dalla fine del Settecento (I emendamento Cost. U.S.A. 1787; art. 10 Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino francese 1789; art. 5 Cost. Francia 1814; art. 5 Cost. Francia 1830; artt. 14 ss. Cost. Belgio 1831; art. 7 Cost. Francia 1848; artt. 144 ss. Cost. Francoforte 1849; artt. 135 ss. Cost. Germania 1919; art. 4 Legge fondamentale Germania 1949; art. 16 Cost. Spagna 1978; art. 15 Cost. Svizzera 1999), oltre che nelle dichiarazioni internazionali e sovranazionali dei diritti (art. 18 Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo 1948; art. 9 C.E.D.U.; art. 18 Patto internazionale sui diritti civili e politici 1966; art. 10 Carta dei diritti fondamentali dell’U.E.). Storicamente, la libertà di religione si sviluppa in corrispondenza dell’affermazione del principio di laicità dello Stato: in linea di massima, infatti, l’esistenza di una religione di Stato impedisce un pieno riconoscimento della libertà di religione dei singoli, anche se ciò non è sempre vero. Basti pensare, infatti, che nell’esperienza statutaria la libertà di religione era garantita in maniera molto ampia, pur essendovi una disposizione come l’art. 1 dello Statuto albertino che dichiarava la religione cattolica come religione di Stato.
Per quanto riguarda la Costituzione repubblicana, le disposizioni costituzionali di riferimento per la tutela della libertà di religione sono gli artt. 19 e 20: in base ad essi, viene garantito a tutti (cittadini e stranieri) il diritto di professare liberamente la propria fede religiosa, sia in forma associata che in forma individuale, di farne propaganda e di esercitarne il culto, sia in pubblico che in privato. A questo proposito, ci si è chiesti se queste disposizioni tutelino anche gli agnostici e gli atei: di fronte di un’opinione maggioritaria favorevole, fatta propria anche dalla giurisprudenza costituzionale, ve ne è un’altra contraria, che sottolinea come l’ateismo trovi piuttosto la sua tutela nella libertà di coscienza e, in particolare, nell’art. 21 Cost. (Libertà di manifestazione del pensiero). Diretta conseguenza del principio della libertà di religione è poi l’art. 20 Cost., che vieta tutte quelle pratiche vessatorie nei confronti degli enti a sostegno delle confessioni organizzate, in quanto finirebbero per costituire degli ostacoli indiretti alla possibilità di professare la fede, celebrare riti e fare proselitismo.
Per quanto riguarda i limiti che incontra la libertà di religione, l’art. 19 Cost. fa riferimento al buon costume (generalmente inteso come legato al comune senso del pudore). A questo limite, secondo alcuni, si aggiungerebbe anche il limite generale dell’ordine pubblico.
Un caso particolare di esercizio della libertà di religione è quello che riguarda la c.d. obiezione di coscienza, cioè il rifiuto da parte di un individuo di compiere atti prescritti dall’ordinamento giuridico sulla base delle proprie convinzioni (in primis religiose). Nel nostro ordinamento, l’obiezione di coscienza è ammessa per quanto riguarda gli obblighi militari e, per quanto con riferimento ai medici, in ordine all’interruzione di gravidanza, ma non, rispetto a quest’ultima, con riferimento ai magistrati.