Delitto consistente nel cagionare ad alcuno una lesione dalla quale derivi una malattia fisica o psichica (art. 582 c.p.). A seconda delle caratteristiche della malattia, la lesione può essere lieve, lievissima, grave o gravissima: nel primo caso la malattia non ha una durata superiore ai 20 giorni e in assenza di aggravanti la perseguibilità del delitto dipende dalla querela della parte offesa; nel secondo caso la malattia ha una durata tra i 21 e i 40 giorni e il reato è perseguibile d’ufficio; nella terza ipotesi (art. 583, co. 1, c.p.) la lesione è circostanziata dalle aggravanti di aver causato una malattia che mette in pericolo la vita della persona offesa, o provoca un’incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai 40 giorni oppure un indebolimento permanente di un senso o di un organo; infine è definita gravissima (art. 583, co. 2, c.p.) la lesione che determina una malattia certamente o probabilmente insanabile, la perdita di un senso, la perdita di un arto o una mutilazione che renda l’arto inservibile, la perdita dell’uso di un organo o della capacità di procreare, una permanente e grave difficoltà della parola, la deformazione o lo sfregio permanente del viso.
Il regime sanzionatorio è modulato sulla base dell’intensità della lesione.
Il bene giuridico, comune a tutte le ipotesi prospettate, è l’incolumità individuale. Il delitto di lesioni non sussiste se la condotta lesiva è stata posta in essere nell’esercizio di attività sportive o di attività medico-chirurgiche: nel primo caso il discrimine giuridico è stato individuato nel consenso dell’atleta oppure nel ritenere l’attività sportiva causa di giustificazione non codificata; nel secondo caso, il fatto è giustificato dal consenso del paziente, dalla necessità terapeutica dell’intervento o dall’adempimento di un dovere (art. 51 c.p.).