Alberti, Leon Battista
Un grande protagonista dell'Umanesimo
Leon Battista Alberti ebbe vasti e molteplici interessi. Appassionato di letteratura ma anche di matematica, scrittore e grande architetto, pedagogista e teorico dell'arte, uomo di studi ma anche atleta, sintetizzò nella sua opera i caratteri tipici dell'Umanesimo: la straordinaria curiosità per il vasto spettacolo del mondo; l'amore per gli antichi, in modo particolare per i Romani, presi a modello non per ripetere ma per innovare; la passione per le arti come suprema manifestazione della creatività umana e come ricerca dell'armonia; l'ideale dell'uomo virtuoso, che cerca di forgiare il proprio destino contando esclusivamente sul proprio impegno
Figlio illegittimo di un esule fiorentino, che pure apparteneva a un'illustre famiglia di commercianti, il giovane Leon Battista (era nato a Genova nel 1404) sperimentò ben presto le avversità della vita. Costretto a seguire il padre nei suoi continui spostamenti di città in città, studiò dapprima a Venezia, quindi a Padova e infine all'università di Bologna, incontrando sempre difficoltà sociali e problemi economici. A 17 anni rimase orfano e la famiglia paterna, che non approvava le sue ambizioni da studioso, cercò di escluderlo dall'eredità: egli dovette quindi abbandonare l'università e tornare a Padova. Non c'è da stupirsi se in quegli anni il giovane Alberti maturò un certo pessimismo, che sarebbe poi emerso nelle opere letterarie: la vita gli sembrava come un fiume vorticoso, nel quale chi non sa nuotare è destinato a naufragare. Ma da queste stesse difficoltà egli trasse anche la ferrea determinazione a non farsi travolgere dalle onde. A Padova si mise a studiare la fisica e la matematica, due materie insolite per un rappresentante dell'Umanesimo ma che sarebbero state decisive per la sua futura carriera di architetto. Poi tornò a Bologna, dove si laureò in diritto canonico a 24 anni. La soluzione dei suoi problemi pratici venne con la scelta della carriera ecclesiastica: i numerosi incarichi affidatigli dalla corte papale gli consentirono di proseguire in piena libertà i suoi studi e di stabilire rapporti con le più importanti figure dell'arte e della cultura quattrocentesche.
Nelle prime opere di Alberti ‒ che sono tutte letterarie ‒ si avverte una chiara eco delle avversità sperimentate durante la giovinezza. Esse sono infatti dominate dalla convinzione che l'uomo debba essere autore del proprio destino. Come il fabbro forgia con fatica il metallo, imprimendogli la forma che vuole, così l'uomo deve forgiare la propria vita, ricorrendo a tutte le proprie capacità morali, intellettuali e fisiche. L'uomo virtuoso, scrive Alberti, non rimane inerte di fronte alle avversità, "non si attrista in ozio", ma fa appello a tutte le sue forze, impegnandosi attivamente "in cose magnifiche et ample". Questa è la virtù: non la possiede soltanto chi non vuole possederla. Tale convinzione emerge sia nelle opere composte in latino sia in quelle scritte in volgare. Alberti fu infatti un convinto sostenitore del volgare, che a suo parere avrebbe potuto eguagliare lo splendore del latino, una volta che i letterati l'avessero "limato e pulito". Le sue opere in lingua volgare non si ispirano però ai modelli trecenteschi (il Convivio di Dante o il Decameron di Boccaccio), bensì ai classici latini e ai loro ideali di equilibrio e armonia.
Educare i propri figli, cioè insegnare loro cosa sia la virtù, è per Alberti il compito più importante che attende un uomo, di gran lunga superiore a quello di avere successo negli affari o nella carriera. Egli infatti dedica alla famiglia e all'educazione ‒ nonostante la sua storia familiare poco felice, o forse proprio per questo ‒ un importante trattato (Della famiglia), forse il più bello apparso sull'argomento nella letteratura italiana. Un padre, dice Alberti, deve essere anzitutto un buon osservatore, per cogliere quegli indizi che svelano la natura dei figli sia nelle loro debolezze, che vanno subito combattute, sia nelle loro qualità, che vanno coltivate e incoraggiate. È importante elogiare i figli, sottolinea Alberti, perché l'alleato più potente di un educatore sta nel grande bisogno di stima e affetto che la natura ha posto nel cuore di ogni essere umano. Ma quali sono i mezzi dell'educazione? Anzitutto è fondamentale conoscere i grandi classici latini, che insegnano a riflettere e a comunicare. La riflessione non deve però rimanere isolata, perché l'uomo è stato fatto non solo per pensare, ma anche per agire concretamente nel mondo. Alberti insiste infatti sull'importanza dell'esercizio fisico: a suo parere è meglio far crescere i bambini in campagna, perché il sole e la fatica fisica li rendono più sani e robusti di quelli cresciuti nell'ozio e nell'ombra, che sono "palliducci, beccucci, occhiaje e mocci" (cioè bruttini e malaticci).
Con il passare degli anni gli interessi artistici e scientifici prendono il sopravvento su quelli letterari. I soggiorni a Firenze ‒ dove si entusiasma per la nuova arte di Brunelleschi, Donatello e Masaccio ‒ e la stabile presenza a Roma, dove studia con passione i grandiosi resti dell'architettura romana, gli ispirano tre importanti opere che diverranno una sorta di Magna charta per il Rinascimento. Nel De pictura (al quale poi seguirà il De statua) Alberti affronta la grande novità della prospettiva, che segna l'ingresso della matematica nella rappresentazione della realtà. In tal modo l'artista rivela di conoscere l'intima struttura dell'Universo, che è retto da leggi matematiche: egli quindi non è più un semplice imitatore della natura, ma quasi "un altro Iddio" capace di ricreare nelle sue opere l'armonia che regna nell'Universo. Quanto all'architettura, Alberti sostiene che essa deve ispirarsi agli ideali della bellezza classica, ma sottolinea anche la sua funzione sociale. Nel De re aedificatoria egli fissa con scrupolo i canoni dei vari tipi di edificio: il palazzo privato non deve essere imponente, ma funzionale e piacevole; la chiesa deve ispirarsi alle forme solenni della basilica romana, mentre il teatro deve abbandonare la struttura a semicerchio per quella a ferro di cavallo; negli ospedali bisogna realizzare corsie separate a seconda delle malattie. Alberti cerca infine di individuare i legami tra musica e architettura, giacché entrambe ricercano l'armonia, la prima nei rapporti tra suoni, la seconda nei rapporti tra linee.
Oltre a essere un importante teorico dell'architettura, Alberti fu anche un grande architetto. A differenza, però, del suo amico Brunelleschi ‒ che seguiva personalmente i lavori, recandosi in cantiere, salendo sui ponteggi insieme ai muratori ‒ Alberti si limitava a disegnare, lasciando ad altri la realizzazione dei suoi progetti. Nelle sue opere egli si ispira alle forme semplici e maestose dell'architettura romana, dando nuova vitalità ai moduli degli ordini sovrapposti (pensate al Colosseo), alla tipologia delle grandi arcate (come quelle degli acquedotti) e dell'arco trionfale, che vengono inseriti in disegni caratterizzati dalla simmetria e dall'armonia delle forme. Ad Alberti furono affidate varie opere (il Tempio Malatestiano a Rimini, le chiese di Sant'Andrea e San Sebastiano a Mantova), ma le più famose sono quelle realizzate a Firenze: la bellissima facciata di Santa Maria Novella, dove egli risolse brillantemente il difficile problema di completare in forme rinascimentali una facciata originariamente gotica (nella parte inferiore); il Palazzo Rucellai, splendido esempio di casa civile, ormai lontana dalla casa-fortezza medievale, nella cui elegante facciata l'elemento medievale delle finestre bifore è perfettamente inserito nello schema romano degli ordini sovrapposti; e infine il gioiello del Santo Sepolcro, un piccolo tempio a base rettangolare contenuto all'interno della cappella Rucellai.