Le dernier métro
(Francia 1980, L’ultimo metrò, colore, 128m); regia: François Truffaut; produzione: Les Films du Carrosse, Tf1 Films Productions, Sedif, Sfp; soggetto: François Truffaut, Suzanne Schiffman; sceneggiatura: François Truffaut, Suzanne Schiffman, Jean-Claude Grumberg; fotografia: Nestor Almendros; montaggio: Martine Barraqué, Marie-Aimée Debril, Jean-François Giré; scenografia: Jean-Pierre Kohut-Svelko, Pierre Compertz, Jean-Louis Povéda, Roland Jacob; musica: Georges Delerue.
Nel 1942, durante l’occupazione tedesca in Francia, Marion Steiner è alla guida del Teatro Montmartre di Parigi; sostituisce suo marito Lucas, regista ebreo che si dice sia fuggito in America del Sud per evitare le persecuzioni naziste. In realtà, l’uomo è nascosto nelle cantine del teatro, da dove segue le prove ascoltando le voci provenienti dal palcoscenico attraverso la condotta dell’aria. Ogni sera Marion, all’insaputa di tutti, raggiunge il marito e ascolta i suoi suggerimenti sullo spettacolo che la compagnia sta preparando: il dramma norvegese La scomparsa. I due stanno inoltre organizzando la fuga dell’uomo, che ben presto si rivela troppo pericolosa a causa dell’invasione tedesca della zona libera. A dirigere le prove, seguendo fedelmente le indicazioni di Lucas, è il regista Jean-Loup Cottins; a recitare nel dramma, oltre a Marion nella parte principale, la giovane e ambiziosa attrice Nadine e il protagonista maschile Bernard Granger, attore proveniente dal Grand Guignol che fin dalla prima scena del film vediamo corteggiare ogni donna che incontra. Bernard, estroverso e insofferente verso l’occupazione tedesca, è sfacciatamente galante con Nadine e con la scenografa Arlette, ma non con la scostante e bellissima Marion, sempre più attenta e interessata ai gesti di lui. La commedia debutta con successo sotto gli occhi di Daxiat, critico teatrale che invece ne darà un giudizio pesantemente sfavorevole sulle pagine del suo giornale collaborazionista e antisemita. Marion, il cui obiettivo è tutelare il teatro, si infuria con Bernard per la sua reazione violenta nei confronti di Daxiat. Tuttavia, è a lui che chiede aiuto per salvare il marito da un’improvvisa perquisizione della Gestapo. Quando Bernard confessa a Marion che lascerà il teatro per unirsi alla Resistenza, la donna lo schiaffeggia e i due fanno l’amore. Nelle scene finali del film, vediamo Marion che visita Bernard, invalido, in ospedale; l’inquadratura si allarga e rivela che si tratta di una nuova messa in scena teatrale, al termine della quale l’attrice chiama a ricevere gli applausi del pubblico anche Lucas, regista della pièce, ormai libero a guerra conclusa. Sul palco in mezzo ai due, Marion prende per mano prima l’uno, poi l’altro.
Seconda parte di una trilogia sullo spettacolo che aveva avuto inizio con La nuit américaine (1973; Effetto notte), dedicato al cinema, e che doveva concludersi con un’opera sul music-hall, mai girata, Le dernier métro è prima di tutto un film sul teatro, oggetto della passione che unisce tra loro i personaggi principali e che fa procedere l’azione. Il titolo del film si riferisce all’ultima corsa disponibile, prima del coprifuoco, per i parigini che durante l’occupazione tedesca continuarono a frequentare cinema e teatri, in cerca di evasione, ma anche di un posto riscaldato. Nonostante la collocazione temporale, non si tratta dunque di un film politico: Truffaut stesso dichiarerà che il suo intento era stato quello di mostrare con indulgenza la quotidianità dei francesi rimasti in attesa senza commettere azioni eroiche, ma pronti a compiere piccoli gesti di opposizione. Vediamo Bernard – il cui carattere istrionico è reso magistralmente da Gérard Depardieu – che, facendo una giravolta da buffone, evita di dare la mano al critico collaborazionista, o una madre che lava i capelli del figlio dopo la carezza di un tedesco. Grazie alle ricerche accurate effettuate dal regista insieme a Suzanne Schiffman, soprattutto leggendo le memorie degli attori, il film è infatti disseminato di piccoli, ma rivelatori episodi di vita ordinaria. Memorabile la scena in cui Nadine e Martine, la ragazza che procura ai teatranti le derrate al mercato nero, mostrano a Marion l’escamotage con cui, disegnandosi una riga nera sui polpacci, fingono di indossare calze di seta; scena che offre a Truffaut l’occasione di un omaggio, ricorrente nei suoi film, alla bellezza delle gambe femminili.
Accusato da alcuni critici di sdrammatizzare troppo un tema serio con incursioni di tono più leggero, il film ebbe invece un grandissimo successo di pubblico. Truffaut attribuirà questa accoglienza al carattere moderno dei personaggi, nessuno dei quali, dichiarerà in un’intervista, va realmente fino in fondo: Bernard vorrebbe lasciare il teatro per la Resistenza, ma tornerà presto a recitare, Lucas vorrebbe scappare, ma non prende una decisione, e così Marion, incerta tra due uomini. In realtà, l’angoscia dell’occupazione traspare dalla massiccia presenza dei militari, come evidenzia la scena in cui Bernard rinuncia a una serata al cabaret quando vede il guardaroba del locale pieno di cappelli di soldati tedeschi. Un’atmosfera claustrofobica traspare inoltre dalle riprese prevalentemente notturne e in interni. Il direttore della fotografia Nestor Almendros, premiato con un César (tra i dieci vinti dal film, inclusi quelli al regista e agli attori principali), illumina l’opera di una luce calda, mettendo in risalto nei primi piani i tratti perfetti di Catherine Deneuve.
L’attrice, particolarmente adatta a interpretare un personaggio con una doppia vita per la sua «innata segretezza», come la definirà lo stesso Truffaut, recita in effetti una parte per lei consueta, quella di una donna fredda e sicura di sé – come appare quando chiede con fermezza a Bernard di non toccarle il viso durante le prove – che nutre tuttavia una passione bruciante e irrefrenabile. L’amore tra i due attori, intuito dagli spettatori soltanto grazie a una serie di sguardi nel corso del film, si concretizza palesemente, in una sorta di esplosione, quasi al termine del racconto. Tra gli aspetti più originali di quest’opera, proprio la visione anticonformista dei rapporti amorosi: oltre al bacio intenso tra Nadine e Arlette, mostrato velocemente, ma con assoluta naturalezza, e all’omosessualità allusa ma evidente del regista Cottins, l’esito della storia sembra essere un sereno ménage à trois, tema d’altro canto già affrontato da Truffaut nel 1962 con Jules et Jim. Dopo il primo piano delle mani di Marion che stringe quelle dei suoi amori, il film si conclude con un mascherino dalla forma ellittica che incornicia il volto sorridente della donna, anello di congiunzione tra due uomini uniti anche dalla dedizione al teatro.
Interpreti e personaggi: Catherine Deneuve (Marion Steiner); Heinz Bennent (Lucas Steiner); Gérard Depardieu (Bernard Granger); Jean Poiret (Jean-Loup Cottins); Jean-Louis Richard (Daxiat); Sabine Haudepin (Nadine Marsac); Andréa Ferréol (Arlette Guillaume); Martine Simonet (Martine).